Il lato oscuro del Bernabeu

È il minuto 67 e il tetto chiuso del nuovo Bernabéu amplifica l’assordante sibilo dei fischi del popolo madridista. L’effetto acustico rende l’atmosfera ancora più surreale. Rimbomba la protesta dei tifosi del Real Madrid, nel momento in cui capiscono che, nonostante 23 minuti più recupero da giocare, contro il Manchester City non si ripeterà quella dolce remuntada, che in tempi diversi, scandì in modo eloquente una delle più belle rivalità contemporanee contro l’eterno avversario Pep Guardiola. D’altronde lo raccontano tutti. Da Capello ad Ancelotti, due leggende del calcio che hanno arricchito la bacheca madridista, fino a Cristiano Ronaldo, miglior giocatore della storia del club. Quasi nessuno vanta una fedina immacolata al Bernabéu. Tutti, almeno una volta, sono caduti sotto le grinfie del popolo più esigente del mondo del calcio. Al Bernabéu o vinci o vinci. Non c’è altra strada. Non esiste credito. Quello che hai fatto ieri, domani non conta. Lo si potrebbe chiedere a Gareth Bale, in gol a Lisbona nella leggendaria notte della Decima, autore di una doppietta nella finale di Kiev contro il Liverpool. Gli ultimi mesi del gallese al Real Madrid sono stati costellati da critiche feroci. Si infortunava e non andava bene. Sbagliava un passaggio e non andava bene. Una volta lo hanno fotografato con una bandiera gallese e la scritta “Galles, golf, Madrid. In questo ordine”. Non lo avesse mai fatto. È indubbio che il nuovo corso Xabi Alonso sia solamente all’inizio. Il basco, che con il Real Madrid ha giocato e vinto 5 trofei tra cui la già citata Decima, a metà dicembre è già di fronte a un bivio. O vince nella sua terra, nei Paesi Baschi, contro il Deportivo Alaves o è fuori. E pensare che il 26 ottobre, con la vittoria nel Clasico contro il Barcellona, il +5 in classifica aveva inalato di ottimismo ed entusiasmo tutto il popolo madridista, infastidito dal modo in cui Vinicius JR aveva reagito alla sostituzione, mandando esplicitamente a quel paese il suo allenatore davanti a 80.000 persone e in mondovisione. È bastato un mese e mezzo di passi falsi, due in Champions League e 4 in Liga , per rovesciare il progetto di Xabi Alonso. Come dice Guardiola, al Real Madrid e al Barcellona il tempo non c’è. Servirebbe per costruire un progetto innovativo e vincente, ma semplicemente non c’è. Fa parte della cultura di questi club. E dunque eccoci già di fronte al dentro o fuori. Xabi Alonso non riesce ancora a vedere la squadra come l’aveva pensata, complice anche il diluvio di infortuni che si è abbattuto sull’ex allenatore del Bayer Leverkusen. Le assenze di Mbappé, Camavinga, Militao, Alaba, Alexander-Arnold, Mendy, Carvajal, Hujsen però non bastano a giustificarlo. Perché al Real Madrid conta solo vincere. E se Xabi non lo farà domenica, nessun sentimentalismo verrà a dargli una mano. Resta però un interrogativo dal sapore amaro: se ha senso tutto questo. Perché sembra che al Bernabéu ci sia una percezione del calcio quasi patologica. O si vince o si vince. Il resto non conta. Ora, sicuramente nessuno potrà mai sostenere che la vittoria non sia importante. Però quando la necessità di risultato diventa ossessiva, vincolante, e determinante allora forse sentiamo qualcosa che stride con l’essenza stessa del calcio. Il senso di aggregazione, di appartenenza. La partecipazione. L’amore incondizionato. I ricordi con familiari e amici. Tutto questo sembra non avere alcuna importanza nel ghiacciaio emotivo del Bernabéu. Che sicuramente è uno stadio di impagabile suggestione, teatro di leggende che hanno scandito intere epoche del football. Ma che è in grado di dimenticare molto in fretta, accecato da quel punteggio che non a caso campeggia a caratteri cubitali sul nuovo maxi-led che domina lo stadio dopo la ristrutturazione. Per ricordare a chi gioca che il Bernabéu è un posto speciale, unico al mondo, ma solo fintanto si vince.

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Filippo Benincampi