La partita manifesto del calcio di Italiano

Se qualche appassionato di calcio, forse appena atterrato da Marte, non conoscesse ancora Vincenzo Italiano potrebbe partire dalla visione di Bologna-Brann per farsi un’idea. Una partita-manifesto delle sue concezioni tattiche applicate. Una spiegazione concreta della sua filosofia di gioco. Ma perché proprio Bologna-Brann? Perché ogni allenatore ha un piano-partita. Ma poi c’è la partita, quella reale. Con la sua dinamica e i suoi mille imprevedibili episodi. Come un’espulsione, ad esempio. Al 23’ il rosso a Lykogiannis spezza in due la partita: 67’ più recupero da giocare in inferiorità numerica contro una squadra ben organizzata e reduce da due vittorie consecutive in Europa. Per molti allenatori il famoso piano-partita finirebbe accartocciato in un cestino come le prime pagine sbagliate di uno scrittore. In molti, pur avendo preparato qualcosa di diverso alla vigilia, virerebbero su un blocco basso in difesa provando ad affidarsi agli strappi di Bernardeschi e Cambiaghi per ripartire . Per puntare poi tutto o quasi sulle situazioni da palla inattiva a favore. Ma Italiano ha pensato e agito in modo differente. Ha inserito Miranda sacrificando Fabbian per ricostituire una linea a quattro classica. Ma non ha cambiato atteggiamento. Restando in campo con un 4-2-3 dove i tre davanti erano tre attaccanti puri: Bernardeschi e Cambiaghi sugli esterni e l’inesauribile Castro al centro. “Siamo in dieci, d’accordo, ma la partita continuiamo a farla noi. Noi attacchiamo, difendiamo, giochiamo andando in avanti. Come sempre”. Questo ha pensato Vincenzo Italiano sfidando la serata fresca e umida del Dall’Ara in occasione del suo ritorno in panchina dopo lo stop per polmonite. E così è stato. Dopo qualche minuto di sbandamento comprensibile subito dopo l’espulsione la squadra ha cominciato a salire di tono. 4-2-3 si diceva, con una linea difensiva molto alta - anche più di prima - per non dare profondità al Brann, accompagnata dalla consueta aggressione e riaggressione appena persa palla. Altro che blocco basso. Altro che scappare indietro: la squadra si è difesa correndo in avanti. Come vuole Italiano. Con un uomo in meno, ovviamente, è stato tutto più difficile. E ovviamente si concedeva al Brann la libertà di impostare con il portiere Dyngeland vero e proprio play basso della squadra. Uno swiffer-keeper alla Neuer in piena regola, che abbandonava spesso la propria area di rigore per impostare sulla trequarti in mezzo ai due centrali. Ma sui lanci lunghi di Dyngeland - e non solo - Heggem e soprattutto un gigantesco Lucumí - alla quinta da titolare di fila - hanno dominato giocando un secondo tempo strepitoso spingendo continuamente tutta la squadra a salire. Ben supportati nel mezzo da Moro, che si abbassava da play-basso tra i due centrali difensivi per impostare e non far rimpiangere l’assenza dell’infortunato Freuler, e da Ferguson andato in crescendo come tutta la squadra nel secondo tempo. Ecco il punto è stato proprio questo: il Bologna è stato più aggressivo e più pericoloso nel secondo tempo, giocato interamente in inferiorità numerica, rispetto al primo. Questione di organizzazione di gioco, certo. Mista a un grande cuore. Ma soprattutto la squadra ha dato la forte sensazione di sposare in pieno il progetto di Vincenzo Italiano. Il Barone Nils Liedholm, maestro di calcio e di paradossi, diceva: “In dieci si gioca meglio”. Forse da un’altra dimensione avrà sorriso anche lui guardando il secondo tempo del Bologna. Passato dallo 0.22 di xG a favore del primo tempo allo 0.79 del secondo. Più che raddoppiando i tiri in assoluto e passando da 0 a 3 tiri nello specchio della porta. E ribaltando a proprio vantaggio l’andamento della statistica dei duelli vinti. Qualcosa di simile a quanto accaduto in un Bologna-Hellas Verona del 30 dicembre del 2024. In quell’occasione la squadra di Italiano riuscì a raggiungere il pareggio al 58’ in inferiorità numerica sul 2-2 con un gol di Dominguez, prima di concedere il 2-3 finale all’88’ a causa di uno sfortunato autogol di Castro. Stavolta il Bologna ha addirittura sfiorato la vittoria. Anzi l’avrebbe strameritata. Nel secondo tempo ha dominato e nel finale ha addirittura assediato i norvegesi e solo due grandi parate di Dyngeland hanno negato prima a Ferguson e poi a Lucumí la giusta gioia del gol-vittoria. Sarebbe stata l’estasi per un pubblico caldo e in simbiosi con la squadra. Al fischio finale l’immagine che spiega tutto. Con i norvegesi a festeggiare il pareggio malgrado 67’ di superiorità numerica. E i giocatori di Vincenzo Italiano quasi disperati. Perché questo Bologna crede nella filosofia del suo allenatore. A calcio si gioca per vincere. Anche in dieci. E Nils Liedholm, forse, non aveva tutti i torti.

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Paolo Ciarravano