Nadia Nadim: "Sono scappata dalla guerra, il calcio mi ha ridato una vita"

Sad-u-bist ruz, il vento dei 120 giorni, si attiva con tutta la sua forza durante l’estate afghana, riuscendo a sfondare la soglia degli 80-90 km/h e raggiungendo a volte picchi estremi di ben 100-110 km/h, accompagnati da intense tempeste di polvere che possono offuscare il cielo per intere giornate. Ripararsi e imparare a difendersi dal San-u-bist ruz. È questa l’unica preoccupazione di Nadia Nadim. Tutto il resto è gioia di vivere, la spensieratezza di un’infanzia felice. Ma un giorno quello stesso vento spazza via ogni residuo di umanità, ogni stralcio di speranza e, soprattutto, la vita di Rabani Nadim. Avrebbe dovuto trattarsi di un semplice incontro politico tra alcuni esponenti talebani e il generale dell’esercito afghano, il papà di Nadia per l’appunto. Invece finisce per trasformarsi nell’inizio dell’incubo: Rabani Nadim catturato e trasportato dall'Afghanistan devastato dalla guerra al deserto di Karbala. Per i successivi sei mesi nessuno riesce a sapere cosa sia capitato a Rabani. Fino alla notizia: giustiziato, lontano dalla sua famiglia e lontano dalla sua città, Herat. Lontano da casa. “Ho sempre pensato che sarebbe tornato da noi, lui per noi era come James Bond, come un supereroe”, ci dice durante la nostra chiacchierata. Ma invece Rabani, generale dell’esercito considerato espressione dell'esiliato governo di Burhanuddin Rabbani, dalla sua famiglia non farà mai ritorno. Cambiando drasticamente la vita della piccola Nadia. “I miei ricordi si dividono in due quando ripenso ai miei anni in Afganistan: prima della guerra, prima dei talebani ho vissuto un’infanzia davvero felice. Mio padre era un generale e mia madre un’ispettrice scolastica. Avevo una vita serena, spensierata, mi divertivo tanto. Ho dei ricordi molto belli di alcuni luoghi, di alcuni momenti legati alla mia infanzia lì”. Poi c’è la seconda parte della vita di Nadia, quando i talebani prendono il potere in Afghanistan. La felicità spazzata via da un vento disumano che insabbia i ricordi e seppellisce i legami. Tutto diventa orribile, l’orizzonte della vita di prima invisibile. “Hanno ucciso mio padre. Ricordo tanto dolore, orrore, panico. Ero pervasa dalla paura e dall'incertezza su cosa sarebbe successo dopo: saremmo sopravvissuti o saremmo stati uccisi anche noi? Avevo 12 anni, ero ancora piccola, ma avevo pensieri così grandi e devastanti. E poi non mi era più permesso fare nulla, non potevo uscire, non potevo andare a scuola. Nemmeno mia madre poteva più uscire di casa. La nostra vita era diventata una prigionia”. La fuga A quel punto evadere è l’unica strada possibile per provare a ricominciare. È una famiglia benestante quella di Nadia e questo di certo le è di grande aiuto per lasciare il paese. La mamma Hamida, con quattro figlie e un figlio al seguito, riesce a vendere quasi tutti i propri beni, tra cui l’appartamento, un’auto e alcuni gioielli per investirli nella fuga. In una notte qualunque Nadia e la sua famiglia lasciano il paese a bordo di un piccolo minivan con la speranza di una vita migliore. Attraversano il confine con il Pakistan, scendendo a sud fino a Karachi dove attendono più di due mesi prima di ottenere i passaporti falsi. “Noi sorelle eravamo solo delle bambine. Dovevamo stare zitte e seguire le istruzioni. Una cosa ci era molto chiara: si trattava di una questione di vita o di morte”. Trovata la documentazione necessaria per la loro partenza e nuovi abiti per somigliare alle persone sui passaporti, decollano finalmente verso l’Italia. Fino a Milano. Una città vista allora con gli occhi pieni di speranza di una bambina in fuga, vissuta oggi con la consapevolezza di aver lasciato un’impronta storica. 8 dicembre 2024. La data che idealmente dà l’inizio al Natale. San Siro è il regalo per un derby al femminile che per la prima volta nella storia si gioca al Meazza. Finisce 1-1. Al vantaggio nerazzurro di Elisa Bartoli, risponde Nadia Nadim. Primo sigillo con la maglia del Milan, quasi un anno dopo dal suo arrivo in rossonero. “Questo gol l’ho fortemente voluto, rientra tra quelli che non dimenticherò. E poi questa maglia del 125esimo anniversario è stupenda, l’ho già messa via per conservarla”. 23 anni prima nella città meneghina atterra con addosso vestiti che non sentiva suoi, ma che le salvarono la vita. Resta a Milano solamente quattro giorni nascosta in un luogo che ricorda come un seminterrato angusto, freddo, molto buio e molto sporco. Le notti lunghe, la paura ancora forte. Mamma Hamida le parla di Londra, del Big Ben, di come tutto si sarebbe sistemato. Lo sforzo maggiore è quello di riuscire a fidarsi del prossimo, sperare che qualcuno, oltre a loro sei, tenga alla loro sopravvivenza. Partono verso nord stipate dentro un camion per raggiungere quella che credevano essere Londra, ma dopo più di 50 ore di viaggio si ritrovano in un campo profughi nella campagna danese, dove rimangono per 9 mesi. Ma è proprio lì, dietro a una recinzione, che Nadia vede per la prima volta nella sua vita un gruppo di ragazze giocare a calcio. “Abbiamo trovato una seconda casa in Danimarca e ho sentito di aver ricevuto una seconda possibilità nella vita. Mi è stata data la libertà di istruirmi, di andare a scuola, di fare sport, di costruire il mio futuro. Tutta la mia famiglia ha dato valore a questa opportunità: tutti i miei familiari ora sono medici o infermieri. Mia madre ci ha sempre insegnato quanto sia potente l’istruzione. Diceva sempre: l’istruzione ti darà una voce e una comprensione del mondo. E penso che questo sia ciò che la Danimarca mi ha dato: una voce, nel senso di comprendere a pieno me stessa e il mondo che mi circonda”. Nata a Herat, un’antica città sulla via della Seta, situata nella fertile valle del fiume Hari, in un Afghanistan soggiogato dalla guerra e dalla mancanza di libertà, Nadia Nadim si ritrova in un luogo in cui i diritti umani e le pari opportunità vengono tutelati come in nessun altro paese. "La libertà personale è inviolabile. Nessun cittadino danese può essere sottoposto a forme di limitazione della libertà a causa delle sue convinzioni religiose o politiche o della sua origine", cita testualmente l'articolo 71 inserito nel titolo VIII. “Danimarca e Afghanistan in questo momento, purtroppo, sono due universi agli antipodi. Credo che per colmare questo divario ci si debba concentrare sull’istruzione e sullo sport. Due aspetti della vita che vanno di pari passo, perché lo sport è una forma di educazione. L'accesso alla scuola e all’università per le ragazze afghane è il passaggio fondamentale che deve avvenire. Solo così si può capire come funziona il mondo, come possiamo migliorarlo e cambiare la nostra situazione”. L’istruzione è al centro della nuova vita danese di Nadia che culminerà con il raggiungimento della laurea in medicina all’Università di Aarhus, con specializzazione in chirurgia ricostruttiva. Ma piano piano anche il calcio inizia a ricoprire un ruolo importante. La sua carriera calcistica inizia con il club B52 Aalborg. Gioca poi per il Team Viborg e per l'IK Skovbakken dove nel 2009 arriva la prima agognata convocazione con la Nazionale della Danimarca. Il 24 giugno 2022 raggiunge quota 100 presenze con la maglia danese. Nel 2012 si trasferisce al Fortuna Hjørring, dove vince uno scudetto prima di emigrare negli Stati Uniti dove sfrutta il campionato corto per studiare durante la stagione di gioco e concentrare i tirocini nella pausa dal campionato, più lunga rispetto all’Europa. “Ho una grande passione ed empatia nell'aiutare le persone, soprattutto quelle che hanno bisogno di aiuto. Penso che sia questo il senso dell’umanità. Ho intenzione di usare la mia laurea in medicina per fare la differenza, magari, con un po’ di fortuna, avrò anche il tempo di unirmi a Medici Senza Frontiere per andare in luoghi dove nessun altro vuole andare. In Afghanistan? Non sono riuscita ancora a tornarci. Non è un luogo sicuro per me. Però è il mio grande sogno: vorrei tornare a ricordare i momenti speciali che ho vissuto lì, i luoghi, le persone a cui sono stata legata. E poi mi piacerebbe anche tornare per fare qualcosa per il mio paese”. Intanto la sua carriera calcistica prosegue: dopo aver vestito le maglie di Sky Blue e Portland Thorns negli Stati Uniti, nel 2018 Nadia si trasferisce al Manchester City e in quell’anno Forbes la inserisce nella lista delle 20 sportive più influenti. L’anno successivo arriva la nomina come ‘UNESCO Champion for Girls and Women’s Education’ e si sposta al Paris Saint Germain, prima di tornare negli Usa nel 2021 con il Racing di Louisville. Allo stesso tempo inizia anche la sua avventura, ormai sempre più apprezzata, come commentatrice tecnica, prima agli Europei del 2020 e poi ai Mondiali in Qatar 2022. Ma la sua vita viene scombussolata da un altro drammatico scossone. È il 22 novembre 2022 quando, durante la partita Danimarca-Tunisia, Nadia abbandona all'improvviso la diretta tv sul canale britannico Itv, senza dire una parola. È appena stata avvisata della prematura scomparsa di mamma Hamida, investita da un camion mentre rientrava dalla palestra. “La mia mamma era orgogliosa e felice per me, sapeva quanti sacrifici avevo fatto. Non passa partita senza che io non guardi verso l’alto, dove ora si trova insieme a papà. E sarebbe stata così felice di questo gol nel derby, mi avrebbe mandato un’emoji con le fiamme com’era solita fare!”. Queste le sue dichiarazioni dopo la rete del pareggio nel derby di San Siro. A Milano, dove tutto è cominciato. E dove dopo il suo approdo in rossonero a gennaio dello scorso anno, è venuto a trovarla anche Gianni Infantino, presidente della Fifa. “Per il mio futuro non penso a un coinvolgimento politico, non credo che faccia per me, sono troppo onesta. Ciò che è giusto è giusto, ciò che è sbagliato è sbagliato. Dico sempre quello che penso, sono troppo diretta per riuscire a sopravvivere in un contesto politico. Ma sento che lavorare per la FIFA, ricoprendo una delle posizioni più alte, sarebbe un'ottima scelta, perché lo sport, e il calcio in particolare, hanno un potere enorme per poter cambiare il mondo in meglio. Chissà, magari sarò il futuro presidente della FIFA, magari la prima presidentessa donna…”. Scherza ma non troppo, Nadia. Che anche grazie alla sua vita ha imparato a dare valore alle ambizioni. E a seguire quella scintilla in lungo e in largo, anche se il viaggio per tenerla sempre accesa può risultare impervio e doloroso. “Il trauma non scompare. È qualcosa che sarà sempre con me. Ma è attraverso tutto questo che oggi sono qui. E tutto sommato sono grata a ciò che ho vissuto, perché mi ha mostrato molti aspetti della vita e mi ha reso una persona difficile da spezzare. Mi chiedi quanto mi senta a mio agio con tutto ciò… è qualcosa che accetto e basta. È la vita. Queste cose accadono. Ho cercato di trarne il meglio. Il calcio mi ha aiutato moltissimo, ad affrontare il dolore e ad avere uno sbocco per esprimermi e scaricarmi di tutti i pensieri. E per creare qualcosa di grandioso per la mia vita”.

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Nadia Nadim: "Sono scappata dalla guerra, il calcio mi ha ridato una vita"