Tutto il senso della vita di Sara Gama: storia di una campionessa dentro e fuori dal campo

“Un campo in mezzo alle acque del villaggio” e un cigno elegante che si fa strada contro ogni avversità, difendendo la sua porta dagli attacchi avversari, ma anche i diritti di ogni donna di poter vedere il calcio non soltanto come uno sport per maschi. La capitana della Juventus ha dato l’addio ai colori bianconeri, attraverso un video emozionante sui canali social della società. ‘Sara Gama saluta il calcio’ cita il titolo della clip. Certo, ovvio. Non può trattarsi di un vero e proprio addio. Nessuno sarebbe pronto. Sara Gama è il calcio e le loro strade sono inseparabili. Poi, certo, a 36 anni probabilmente la scelta naturale è quella di proseguire in un altro campo, con il prato verde visto da un pochino più lontano, ma pur sempre al centro del gioco. E allora ecco che la storia del calcio femminile va di nuovo a capo, salutando una leader del movimento, una vincente sotto tutti i punti di vista. Anzi, come si direbbe oggi, una vera ‘game changer’, un punto di riferimento anche per il futuro. UNA VITA IN DIFESA I traguardi raggiunti a favore di tutte le calciatrici di ieri, di oggi e di domani sono talmente importanti che, a volte, si rischia di sminuire quanto Sara Gama ha fatto in campo. Sbagliatissimo. Perché per 8 anni è stata al centro del progetto della Juventus con cui ha condiviso ogni attimo fin dal primo giorno. Con la Nazionale ha vissuto da protagonista i momenti più significativi della storia del calcio femminile azzurro e la sua carriera è stata costellata di esperienze che l’hanno resa una giocatrice molto forte. Dotata di un elevato atletismo, Sara ha maturato negli anni grande senso della posizione, una spiccata capacità di lettura delle situazioni in campo e una leadership che sarà difficile da emulare. Affina la sua tecnica fin da piccola sul lungomare di Barcola, poi con gli amici di sempre si iscrive alla prima scuola calcio allo Zaule, una squadra mista. Qualche bambino la guarda male, ma lei mostra già una personalità dirompente e con quei compagni in campo si trova benissimo. Verrebbe quasi voglia di fermare il tempo. Ma a 12 anni arriva l’occasione di andare a giocare in una squadra femminile, alla Polisportiva San Marco di Villaggio di Pescatore, “un campo in mezzo alle acque del villaggio”, appunto. Dopo 6 anni, nel 2005 Sara sceglie il Tavagnacco, sempre in Friuli, a un’oretta da casa, da Trieste. È la Serie A, quella ancora dilettantistica, ma pur sempre un sogno che si avvera. Al termine della quarta stagione, Gama decide che è tempo di cambiamento e si trasferisce al Chiasiellis, in provincia di Udine, club che nel 2010 le consente durante l’estate di andare a provare un’avventura all’estero: il Pali Blues a Los Angeles. Lì dove il calcio femminile è all’avanguardia, lì dove a calcio vincono di più le donne degli uomini. Sì, lì negli Stati Uniti vive un’esperienza a tutto tondo, tra gioco e realtà, dove porterà con sé strategie e idee su come migliorare il mondo del calcio femminile in Italia. Ma Sara sa bene che tutto questo sarà una conseguenza della sua carriera, di quello che farà vedere sul rettangolo verde. Ed è così che nel 2012 va al Brescia, una delle squadre più forti in Serie A. Una stagione in Lombardia e poi un’altra esperienza in terra straniera. Questa volta l’occasione si presenta a Parigi, impossibile non coglierla. Al Paris Saint-Germain, Sara resta per due stagioni, nelle quali non riesce a mostrare tutto il suo valore, complice anche un infortunio. Ma, arricchita comunque dall’impegno francese, torna a Brescia dove arrivano i primi trofei con uno scudetto, una Coppa Italia e due Supercoppe italiane. Vive due stagioni memorabili che la portano a essere scelta come una delle protagoniste del progetto Juventus. E così inizia la sua storia in bianconero. Otto anni, 153 presenze, 6 scudetti, 3 Coppe Italia e 3 Supercoppe italiane. E poi la Nazionale. Quella maglia azzurra indossata sempre con umiltà e autorevolezza. Il 23 febbraio dello scorso anno gioca l’ultima partita con la maglia del suo paese contro l’Irlanda. Ma quello che ha vissuto da capitana della Nazionale sarà ricordato per sempre. ‘SPEEDY SARAGAMA’ Il Mondiale in Francia del 2019 è stato il culmine della vita calcistica di Sara Gama. Non solo perché dopo 28 anni l’Italia femminile di calcio ha raggiunto i quarti di finale della Coppa del Mondo, ma perché quel torneo ha rappresentato la svolta per tutto il movimento da un punto di vista di credibilità, visibilità e riconoscibilità. E lei ne è stata il volto. La capitana di quella Nazionale era una donna, calciatrice, nera, diventata una Barbie nel 2018 grazie alla Mattel che l’ha inserita tra le 17 personalità femminili internazionali “Che hanno saputo diventare fonte di ispirazione per le generazioni di ragazze del futuro”, un’icona con quei suoi folti capelli ricci, un poster nelle camerette, un’eroina da cui prendere spunto. Ma soprattutto Sara Gama è stata il simbolo della rinascita. Conosciuta, apprezzata, valorizzata per talento calcistico e propensione comunicativa. Ricordo un aneddoto di quando mi capitò di incontrare una bambina italiana appassionata di calcio. Le chiesi quale fosse la sua calciatrice preferita. “Sara Gama”, mi rispose. Poi ci pensò un attimo e aggiunse: “In realtà non so quale sia il suo nome, conosco solo il cognome Saragama”. In effetti si pronuncia così velocemente che Saragama potrebbe essere tutta una parola. È ‘Speedy’ anche nel nome e non solo nel soprannome che si porta dietro da tanto tempo. ‘Speedy’ per velocità nel difendere la sua zona di campo, ‘Speedy’ per velocità di pensiero e azione. Perché da quell’estate del 2019 non è stato più possibile dire Saragama soltanto pensando al difensore centrale della Nazionale. No, da quel momento un neologismo si è insinuato nella lingua italiana, un nuovo suono: quello della ribalta, quello di lotte che attraverso lavoro e sacrifici hanno permesso al calcio femminile di raggiungere obiettivi fino a quel momento nemmeno lontanamente sperati. TRE Non ha mai parlato per una. Non si è mai espressa solo per sé stessa. Lei è il collettivo. Attraverso la sua voce, attraverso le sue conquiste, l’Italia ha trovato in Sara Gama - laureata in lingue e letteratura straniere - un personaggio sano e onesto, capace di combattere contro pregiudizi, razzismo e disuguaglianze. “Porto il numero 3 sulla maglia, è il numero della nostra bellissima Costituzione secondo cui siamo tutti uguali davanti alla legge senza distinzione alcuna”, si pronunciò così in Quirinale dopo i Mondiali francesi davanti al Presidente Mattarella e alle sue compagne di squadra. Nel 2020 è diventata vicepresidente dell'Aic e nel 2021 è entrata nella Commissione Nazionale Atleti del Coni. A testa alta, Sara non si tira mai indietro, con la durezza del suo sguardo e con la concretezza delle sue parole, ha trasformato il modo di vedere lo sport al femminile, nei più scettici e nelle bambine, oggi, consapevoli di poter inseguire lo stesso sogno. Anzi, di poterlo rendere un lavoro. La più grande delle conquiste: 1 luglio 2022, il calcio femminile diventa professionistico. Nel suo ruolo istituzionale ancora una volta Sara Gama è stata fondamentale nel sostenere la battaglia che ha portato la Serie A femminile allo storico passaggio al professionismo. Uno status che prevede un salario minimo , contributi previdenziali e il fondo di fine carriera. E poi tutele per infortuni e maternità. Resterà una giornata storica per tutto il movimento e lei lo ha voluto mettere nero su bianco, ricordandosi bambina, a 7 anni, scrivendosi una lettera pubblicata sul ‘The Player's Tribune’, piattaforma multimediale americana: “Cara Sara, imparerai che questa fissa del calcio non è solo un hobby, è una storia d'amore che durerà tutta la vita… Sarai una giocatrice importante in campo ma ancor più determinante sarai fuori dal campo. E per questo, cara Sara, sono così orgogliosa”. Sono trascorsi 29 anni dalla Sara di 7 che teneva sotto il braccio un Supertele. Oggi porta quella palla verso un futuro più istituzionale, più coinvolto nella ricerca di crescita ed evoluzione di tutto un movimento che non può far altro che dirle “grazie” per non aver mai permesso a nessuno di mollare, per averlo portato fin qui e per dove lo condurrà in futuro. Per “far diventare realtà anche i sogni che non sapevamo di avere”.

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