Il piede destro di Luka Modric

Sarebbe bello un giorno alzarsi dal letto con il piede destro di Luka Modric e scoprire di poter fare tutto con quel piede, sensibile e preciso come fosse una mano, meglio di certe mani: accarezzare, disegnare, sollevare, magari una di quelle coppe che l’appiglio ce l’ha, perché pare abbia grandi orecchie. Sarebbe bello un giorno alzarsi e scoprire di avere la stessa rapidità di pensiero di Modric: intuire e agire nel tempo di un sospiro. Oppure scannerizzare lo spazio con quella stessa velocità. Sarebbero qualità utili, anche nella vita di tutti i giorni. Per non parlare del coraggio, quello che si allena da bambini in tempo di guerra, ma a che prezzo? Con quello sì che si farebbero grandi cose. Anche oggi però ci siamo alzati sprovvisti di parecchie di queste qualità e anche per questo non indossiamo la camiceta blanca numero 10, ancora per qualche scampolo di gioco. Gioco? Chissà se ha continuato ad esserlo anche dopo la prima, la seconda, la quinta Champions League, o se ha smesso di esserlo subito, quando c’era da ricomprare una casa ai genitori perché la loro era stata distrutta dalla guerra civile nei Balcani. Resta il fatto che per chi ha cominciato a sei anni nel parcheggio dell’hotel Kolovare, albergo che nel 1991 ospitava i rifugiati croati a Zara, ritrovarsi a quasi 40 a palleggiare ancora al Santiago Bernabeu per un’ultima volta deve essere qualcosa di speciale. Ma d’altronde questo è Luka Modric, un giocatore speciale. L’annuncio del suo addio al Real Madrid che si consumerà davvero dopo il Mondiale per club non è stato una sorpresa, era già chiaro al momento dell’ultimo rinnovo. Eppure, appartiene a quel genere di distacchi ai quali non si arriva mai emotivamente preparati. Non serve essere tifosi del Madrid per sentire un graffio al cuore, basta amare il calcio nelle sue infinite declinazioni, e magari iscriversi a quel partito di opposizione che ha venerato Modric più di Ronaldo negli anni d’oro dell’ultimo grande Real. Per spiegare cosa sia stato per il Real, nel Real, con il Real, insomma qualunque preposizione scegliate va bene, come al solito potremmo citare le presenze, che saranno 591 contro la Real Sociedad, o i trofei che per sintesi riduciamo a 6 Champions, 4 campionati di Liga, 5 Supercoppe europee e sei Mondiali per club. Oppure basterebbe ricordare che Modric è stato il giocatore capace di spezzare la catena dei fenomeni che ha legato il pallone d’oro a Messi e Ronaldo per dieci anni, ininterrottamente, prima che il 2018 magico di Luka, anche con la Nazionale finalista al Mondiale, ribadisse che ci sono molti modi di esprimere il talento su un campo. Ma è proprio un’immagine del suo talento a raccontare forse tutto Modric, giocatore così tecnico che avrebbe potuto giocare da fermo ma ha scelto di non farlo mai, come se lottare in mezzo al campo fosse un’esigenza ineluttabile, come se controllo e pressing avessero qualcosa di atavico, così come ‘liberare’ un compagno tra gli avversari avesse a che fare con quel bimbo sfollato a cui era stato ucciso il nonno e rapito il padre dalla guerra. L’immagine è difficile da scovare tra tante meraviglie ma è iconica: è l’assist di esterno destro per Rodrygo, contro il Chelsea, nei quarti della penultima Champions alzata dal Real nel 2022. Ci vuole proprio la fantasia di un bambino per disegnare questo passaggio, la stessa con cui forse a sei anni immaginava che il parcheggio di un albergo dismesso potesse essere uno stadio. Da domenica, nella geografia sentimentale di Modric, saranno uno accanto all’altro, il parcheggio dell’hotel Kolovare e il Santiago Bernabeu: nulla di più lontano eppure, nel cuore di Luka, nulla di più vicino. Distanti un passo, un piede, possibilmente destro.

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Veronica Baldaccini