Scampare tre volte alla morte grazie al calcio: la storia di Julian Calero

Per qualcuno il calcio è una ragione di vita, inteso come colori, tifo, passione, emozioni. Per altri, però, lo è per davvero, il calcio come un mezzo per scappare verso una vita migliore o, addirittura, sopravvivere. Non metaforicamente, letteralmente. Come nel caso di Julian Calero, allenatore spagnolo che fino a poche settimane fa sedeva sulla panchina del Levante, arrivato a 50 anni ai massimi livelli dopo che, proprio il calcio gli ha salvato la vita per tre volte. Periferia di Madrid, prima metà degli anni ’80, un periodo di boom per la distribuzione e il consumo di droga, soprattutto eroina, nei dintorni della capitale spagnola. Un Calero adolescente, cresciuto in un quartiere poco raccomandabile, sta tornando verso casa con due compagni di scuola quando sua madre, vedendo il gruppetto attraversare il campo di calcio sotto il palazzo dove vivono, gli intima di tagliare i ponti con quei ragazzi. “O loro o il calcio”, è l’ammonimento: scegliere tra due amicizie di circostanza o la propria grande passione. Per il giovane Julian la scelta è semplice, a maggior ragione quando poi verrà a sapere che, poco tempo dopo, quei due vicini di banco sono morti di overdose a nemmeno 20 anni. “Mia madre ha avuto un ruolo incredibile, perché mi ha salvato la vita senza nemmeno saperlo. Sono convinto che, senza il suo intervento, sarei morto anch'io”, ha raccontato a The Athletic. Passa il tempo, Calero decide di appendere gli scarpini al chiodo a 29 anni, per i troppi infortuni e perché la sua carriera da centrocampista non è mai davvero decollata. Diventa un poliziotto, ma non abbandona del tutto il ‘suo’ mondo, reinventandosi allenatore. Nel 2000 diventa l’allenatore delle giovanili del AD Parla, il piccolo club della periferia di Madrid dove aveva mosso i primi calci da bambino, mentre contemporaneamente è agente di pattuglia per le strade della capitale spagnola. L’11 marzo 2004 il secondo episodio che gli cambia la vita: alle 7.30 del mattino, un attacco terroristico fa deflagrare una decina di ordigni esplosivi in quattro punti diversi della capitale spagnola, uccidendo in totale 192 persone. Il punto più colpito dall’attacco è la stazione ferroviaria di Atocha, area che l’agente Calero quella mattina sta pattugliando. Insieme al suo collega è il primo ad arrivare sulla scena, tra fiamme, rottami e corpi riversi a terra: “Appena arrivarono i paramedici mi procurai un defibrillatore. Per cinque ore passai da una carrozza all’altra per prestare soccorso, decidendo chi aveva possibilità di sopravvivere. Molte persone morirono tra le mie braccia”, ha confidato sempre a The Athletic. Una di quelle esperienze che possono cambiare e condizionare la vita e la prospettiva di essa, ‘riacciuffata’ proprio grazie al calcio. Perché quel fine settimana è in trasferta a Getafe, al seguito dei ragazzi dell’Atletico Madrid, di cui nel frattempo è diventato allenatore. La partita finirà 3-3, ma è solo un dettaglio di cronaca. Perché dopo la prima rete tutta la squadra corse ad abbracciare Calero, in un gesto di meravigliosa spontaneità. Nonostante lui avesse deciso di non raccontare nulla, ogni giocatore sapeva cosa aveva passato pochi giorni prima, e i suoi ragazzi, con sensibilità e discrezione, non vollero fargli mancare il loro sostegno, ‘salvandolo’ una seconda volta. Avanti veloce una seconda volta, fino al giugno del 2024. Nel frattempo Julian Calero è diventato un ‘vero’ allenatore: diverse esperienze come vice all’estero, qualche stagione in Segunda Division, addirittura una chiamata nello staff tecnico della Spagna al Mondiale del 2018, il momento in cui decide di abbandonare una volta per tutte il posto al commissariato di polizia. Ma torniamo all’estate dello scorso anno. È il Levante a dargli una possibilità, pronto per tentare l’assalto alla promozione in Liga. La stagione inizia bene, i bianco-rossi sono al secondo posto, quando il 29 ottobre 2024 un’inondazione improvvisa colpisce tutta la regione di Valencia: in mezza giornata cade la quantità di pioggia registrata in media in un intero anno, strade, case e automobili vengono spazzati via, 232 persone muoiono. Tra di loro avrebbe potuto esserci anche Calero, che per la terza volta nella sua vita è scampato per un soffio alla morte. Perché il ponte spazzato via dall’inondazione del fiume Magro, diventato tristemente virale nell’ottobre dell’anno scorso, è tappa fissa nel percorso mattutino di Calero verso il centro di allenamento del club. Quel 29 ottobre non fece differenza, perché il mister vi passò sopra solo un paio d’ore prima che la furia della natura distruggesse la struttura e devastasse la città. Il calendario aveva previsto per il Levante una trasferta di Copa del Rey da giocare a Potevedra, in Galizia, a nord della Spagna, con conseguente partenza di buon mattino per andare in aeroporto. Arrivati sul posto la partita fu rinviata, lasciando che il mister e i giocatori scoprissero quanto successo solo tornati a Valencia: proprio Calero, evidentemente grato al destino, sfruttando le sue conoscenze e il suo passato da poliziotto, fu tra i primi a prestare soccorso, distribuendo cibo, medicinali e aiutando nelle operazioni di recupero. "Non so se la morte mi stesse di nuovo cercando, ma sono riuscito a schivarla”, è stato il suo commento, con un pizzico di ironia. Il resto non è molto di più che cronaca. Dopo quell’episodio il Levante subì un forte contraccolpo psicologico, scivolando fino a metà classica ma riprendendosi nella seconda parte della stagione e così conquistando la promozione in Liga al termine della stagione 2024/2025. Per quella parte di Valencia, Calero è diventato un eroe per ben due volte. E poco importa se alla fine di novembre le strade dell’allenatore e della società si siano separate per mancanza di risultati, con il Levante all'ultimo posto. Perché se il calcio, e lo sport in generale, per qualcuno è ragione di vita, chi grazie a esso è sopravvissuto addirittura tre volte non può avere paura di un banale esonero.

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Simone Dagani