Il lungo cammino di Laxalt fino ai Mondiali

Mondiali

Tommaso Giagni

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La grande stagione con il Genoa ha permesso a Laxalt di raggiungere il suo obiettivo: andare in Russia con l'Uruguay e dimostrare di poter essere un giocatore importante anche per la "Celeste"

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È uno coi piedi per terra e non si tira indietro se c'è da faticare. Uno che si tiene ai margini del campo, lontano dalla porta, bravo a spingere ma pronto a coprire e tenere a freno la sua qualità migliore. Quando torna in Uruguay, gli piace passare in officina dal padre e aiutarlo con qualche riparazione: “Mi sporca le mani ma mi libera la mente”.

All'arrivo in Italia si presentava come un volante di centrocampo e indicava Edgar Davids come modello. Oggi Diego Sebastián Laxalt Suárez è uno dei più interessanti cursori di fascia in circolazione e sembra maturo per il salto professionale. Perché la provincia gli ha dato molto, con il Genoa ha superato le cento presenze, ma la sua carriera sembra destinata altrove. Ha caratteristiche che non è semplice trovare, il ruolo è delicato, e le prestazioni di questa stagione promettono che la volta buona è dietro l'angolo.

Sulla sua Bmw 2002 TI, una specie di ossessione.

Santa Catalina è un barrio occidentale di Montevideo, affacciato sull'oceano. Un posto povero, stigmatizzato, dove secondo Laxalt è “meglio farsi gli affari propri”. Ci è nato il 7 febbraio 1993. Ci ha iniziato a giocare, con la maglia del locale Cerro Junior. E fu un vicino di casa a cambiare la sua vita, notando come a nove anni toccasse la palla, e segnalandolo al cognato che lavorava al Defensor Sporting.

Il padre era sempre al lavoro, meccanico in officina. Così è stata la madre, insegnante, ad allenare Laxalt: “Mi spiegava la tecnica, poi si metteva in porta”.

Gustavo Laxalt è “il vero idolo” di Diego. Aveva anche lui le treccine, i rollos, da giovane. A cinquant'anni lavora ancora, ha iniziato a diciotto. E nell'officina LSS Mecánica di Montevideo c'è l'auto preferita da suo figlio, una Bmw rossa e compatta degli anni Settanta, che i genitori gli hanno regalato per i diciott'anni e il padre ha personalizzato per lui. Perché la passione per i motori è stata trasmessa.

Lo conferma la sua pagina Instagram. Negli ultimi mesi Laxalt l'ha divisa scrupolosamente in tre colonne: una dedicata al calcio, una alla vita privata e una alle automobili. Ma all'inizio della sua attività social pubblicava solo le foto delle auto.

La vita privata significa soprattutto la storica compagna, Antonella, che ha lasciato l'Uruguay per venire in Europa con lui ed è stata l'unica ragazza con cui Diego sia stato.

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Laxalt e Gasperini

Gasperini, l'allenatore della svolta.

Esile e rapidissimo. L'origine è la stessa: da bambino non voleva mangiare, la madre lo inseguiva e lui correva più svelto possibile. Dice che la velocità l'ha sempre avuta, d'accordo, ma è grazie a Gasperini che ha imparato a usarla.

Quando gli elencano le sue statistiche di palle recuperate, scatti, assist e tentativi a rete, Diego Laxalt si accende: “Questi sono i numeri in cui credo, non le giocate per lo spettacolo. Mi è sempre piaciuto essere concreto”.

Uno che in campo tiene sempre a mente il collettivo, lo spirito di gruppo. Il padre dice che questa è la migliore qualità di Diego, perché secondo lui “una squadra è come un'auto, ogni parte deve funzionare per ottenere prestazioni elevate”.

Tanto ha energia e agonismo in campo, quanto fuori è tranquillo, composto. Dice che l'adrenalina la riserva per le partite e che gli piace “ragionare con calma, osservare, studiare”. Perciò, quando gli chiedevano se avesse sofferto d'insonnia dopo l'esordio in Italia con doppietta al Milan, lui rispondeva semplicemente: “No, ho dormito bene”.

A quindici anni, fa un provino con il Chelsea, notato da un osservatore uruguayano. Laxalt ha un'esplosione di capelli folti, sembra Valderrama, al punto che in Uruguay lo chiamano ancora El Valde. La figlia dell'osservatore gli dà un consiglio: “Per andare in Inghilterra devi farti le treccine”. Così lascia che lei gli intrecci i capelli. E anche se poi in Inghilterra non ci è andato, da allora porta le treccine.

Il Defensor Sporting non è certo la società più titolata di Montevideo, ma ha cresciuto varie conoscenze del calcio italiano (Darío Silva, Álvaro González, Diego Pérez, Martín Cáceres) e leggende come Maxi Pereira, El Manteca Martínez e El Loco Abreu. Laxalt era nelle giovanili quando il club raggiunse il suo massimo risultato internazionale, i quarti di finale della Libertadores.

Col Violeta ha fatto l'intera trafila nel vivaio, insieme a Giorgian De Arrascaeta (con cui condivide l'origine basca del cognome), poi una manciata di gare in prima squadra nel 2012/13. Non è rimasto oltre. Per l'ambizione professionale e per una questione economica, non lo nasconde: “A parte Peñarol e Nacional, tutti i club uruguayani pagano 1.000 euro al mese. Un operaio arriva a 400”. E in quell'intervista a «Repubblica» del 2013, il ventenne Laxalt era già consapevole: “La tentazione di spendere subito c'è stata. Ho visto in centro un Rolex che mi piaceva, poi ho pensato che vale dieci anni di lavoro dei miei. Bisogna ricordarsi da dove si viene”.

Doveva essere l'Inter, la grande piazza dove esplodere. Ma il club non ci ha mai puntato davvero, cedendolo in prestito a Bologna, Empoli e Genoa, prima che proprio il Grifone lo riscattasse.

Fino alla firma del contratto, Laxalt non aveva creduto possibile andare all'Inter. Una grande società, un grande campionato europeo. I colori indossati dal suo calciatore preferito, Álvaro Recoba. E quando arrivò in Italia, per sbrigare le pratiche e conoscere persone e strutture, trascorse dodici giorni di meraviglia: “Ero stupito da tutto”.

Poi le cose non sono andate. Nessun rimpianto però, anzi: “Non essere rimasto all'Inter è stato un bene. Mi ha permesso di guardarmi dentro e capire dove sbagliavo”.

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Laxalt al Mondiale Under-20 del 2013

Contro Óliver Torres ai Mondiali U20 del 2013.

Ha fatto parte della scintillante U20 uruguayana che nel 2013 si è presa il bronzo ai campionati Sudamericani e l'argento (sconfitta ai rigori dalla Francia di Pogba e Thauvin) ai Mondiali. Poi la nazionale l'ha considerato poco: appena sei presenze, due da titolare. Le cose sembrano aver preso il verso giusto, però, se Laxalt è stato impiegato per novanta minuti in due delle ultime tre uscite della Celeste.

A venticinque anni ha raggiunto l'obiettivo dichiarato, essere convocato per i Mondiali di Russia. Per una strana convergenza, l'ambizione di un giocatore di gran corsa era legata alla scelta di Tabárez, vecchio CT malato di una neuropatia che attacca il sistema motorio,.

Era l'obiettivo dichiarato, in verità, anche quando Laxalt era appena arrivato in Italia: “Mi prenoto per i Mondiali 2018” diceva, “Sarebbe una gioia per la mia famiglia: mi vedono come un sogno vivente”.