Il mio amico Didier: cosa c’è dietro l’addio di Deschamps alla Francia

Ho conosciuto Didier Deschamps nel 1998. Inviata al seguito della nazionale francese per il Mondiale ‘98. Il mio primo incarico importante. Un’esperienza resa ancora più forte in seguito alla vittoria di quella Nazionale stellare, proprio in Francia. Solo per fare qualche nome: Barthez, Blanc, Candela, Desailly, Thuram, Viera, Zidane, Henry, Trezeguet e Didier appunto. Ai tempi era tutto meno rigido e i giornalisti potevano passare più tempo con la squadra. In quegli anni, alla stampa, era anche permesso soggiornare nello stesso hotel/ritiro di giocatori e staff, e quindi poteva capitare il caffè al bar, la chiacchierata post cena o la partita a carte prima di andare a dormire. Un mondo che ti permetteva di creare rapporti professionali importanti. Da qui parte il racconto dell’uomo Deschamps. Nella vita si incontrano persone con le quali, nonostante non ci si senta per mesi, si crea un legame forte che va al di là del tempo e delle parole. Non ci si perde mai di vista, anche se non ci si vede per anni. Con Didier è stato così. Non da subito per la verità. L’uomo Deschamps prima ti studia, capisce chi sei, come ti comporti e soprattutto se ti reputa una persona perbene. Perché lui è una persona perbene. Corretto, leale, schietto, deciso. Decide chi mettere in campo e chi mettere in panchina anche nella sua vita. Le mie vittorie più importanti sul campo le devo a lui. Come il mio primo scoop giornalistico - condiviso con il nostro attuale direttore, all’epoca inviato a Torino, Federico Ferri - quando diede le dimissioni e lasciò a sorpresa la panchina della Juventus . O come il campionato vinto alla guida del Monaco, il campionato e la coppa di Francia conquistati sulla panchina del Marsiglia che veniva da 17 anni senza vittorie. E ancora riflessioni condivise, commenti, e ogni tanto qualche accenno alla sua amata Juventus. Un rapporto basato sulla fiducia, nel rispetto dei ruoli, sempre professionale, ma al contempo profondamente umano. Prima di Italia–Francia dello scorso 17 novembre a San Siro sono andata a trovarlo. Non lo vedevo da anni, ma come vi dicevo i legami veri vanno al di là del tempo e delle parole. Mi ha raccontato della sua idea di lasciare la Nazionale dopo il Mondiale del 2026, delle difficoltà di portare avanti una squadra con un potenziale enorme ma tutta da costruire, della volontà di dedicarsi alla sua famiglia e di dare spazio ai suoi interessi . Sapevo tutto ma ho scelto la fiducia. E i tempi giusti per dirlo. La base del nostro rapporto. Vi sto raccontando l’uomo Deschamps per capire che dietro la decisione più importante della sua vita, dopo quella di lasciare la Juventus portata dalla serie B alla A, c’è una persona, un ct corretto che capisce quando è il momento di chiudere un capitolo. Quando finisce un ciclo. Quando si è dato tutto. E lui a questa Francia ha dato tutto, nel bene e nel male, nelle decisioni popolari e in quelle impopolari, come quella di tenere fuori le più amate stelle francesi su tutti Benzema e Mbappé. Corretto, leale, schietto, deciso, anche a costo di risultare “scomodo”. Un metodo che ha utilizzato non solo nella vita, ma anche sul campo. Prima da giocatore e poi da allenatore. Sempre vincente. Capace di creare un gruppo su basi solide. A dispetto di tutto e tutti. Nonostante il talento di una squadra da un potenziale immenso, è finito un ciclo. Non c’è nessun giallo da risolvere nell’addio di Deschamps alla sua amata nazionale francese. Non c’è una nuova panchina. Non c’è un contratto faraonico già firmato con qualche super squadra degli Emirati. Forse in un futuro ci sarà una carriera dirigenziale . Al momento c’è solo la voglia di staccare la spina dopo 14 anni dedicati alla Francia e ai francesi. La gente lo ama e vorrebbe proseguire con lui. Durante il ritiro milanese, prima di Italia-Francia, un continuo andirivieni di tifosi per una foto, un autografo ma soprattutto per ringraziarlo e chiedergli di non andarsene. Raramente mi è capitato di vedere tanto amore per un ct dopo tutti questi anni. Didier in Francia e con la Francia ha vinto praticamente tutto, ecco la spiegazione. Prima da giocatore poi da allenatore. Solo gli Europei gli sono sfuggiti di un soffio, e probabilmente rimarrà il suo grande rammarico anche se non lo ammetterebbe mai perché ha sempre sdrammatizzato le sconfitte e celebrato il giusto le vittorie. “Per essere grandi bisogna essere umili e sinceri” . Questo mi ha sempre detto. E con umiltà e sincerità ha preso la sua decisione. Merci pour tout Didier.

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Simona Larocca