Il 'Massimo' della Premier: l'Arsenal dei francesi

Premier League
Massimo Marianella

Massimo Marianella

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Una scelta coraggiosa, un "professore" innovativo e un calcio champagne interpretato da 27 giocatori francesi tra il 1996 e il 2018: Marianella racconta l'Arsenal di Arsene Wenger, illustrando pregi e difetti del manager che ha reso i Gunners "Invincibili"

La squadra in Inghilterra più legata alla tradizione, all’aristocrazia e ai banchieri della City dalla metà degli anni 90 ha capito che in un momento in cui il calcio stava cambiando, legandosi a valori economici e di corporate, doveva prendere una decisione coraggiosa. Fare una mossa calcisticamente innovativa rispetto al suo passato per stare, sul campo, al passo di Yen, rubli e petrodollari. Per una visione del vice presidente plenipotenziario del club David Dein dalla Francia via Giappone arrivò ad Highbury un personaggio un po' austero e certamente sconosciuto che assomigliava più a un professore che a un allenatore. Era circolata la voce, molto concreta, che nel nord di Londra sarebbe potuto arrivare il genio di Johan Cruijff e invece si presentò questo Wenger ai più sconosciuto. "Arsene Who?" titolò l’Evening Standard, storico giornale del pomeriggio londinese. Invece è stata la fortuna dell’Arsenal.

"Arsene Who?". Un frammento della pagina con cui l'Evening Standard "accolse" Wenger nel 1996
A sinistra Wenger con gli occhiali durante un match del 1996; a destra il manager francese con David Dein nel 2001 - ©Getty

Gli "Invincibili"

È rimasto con i Gunners 22 anni, ha vinto e ha cambiato la storia e la mentalità del club. L’ha messa al passo con i tempi, ha combattuto sul piano tattico come su quello economico, ha supervisionato, disegnato e battezzato la nascita di un centro di allenamento moderno e di uno stadio scintillante come quella di straordinari calciatori. Wenger ha commesso degli errori certo, ma ha regalato un calcio fantastico, ha forgiato giovani talenti, vinto trofei, reso alcuni campioni ancora più grandi ed è entrato nella leggenda dalla porta principale con i suoi "Invincibili". Ovvio ha avuto anche il torto d’intestardirsi nelle sue convinzioni, non ha mai curato (una volta che è stato abbandonato dal reparto che gli aveva lasciato in eredità George Graham) la fase difensiva come avrebbe dovuto e ha danzato un po' troppo sul limite della presunzione, ma chiaramente resterà per sempre una delle leggende della Premier League, perché ne ha contribuito in prima persona all’evoluzione.

L'Arsenal degli "invincibili" 2003-2004, che vinse il campionato inglese con 26 vittorie, 12 pareggi e zero sconfitte - ©Getty
Wenger e Patrick Vieira con il trofeo della Premier 2004 - ©Getty

Ci sono state molte squadre vincenti in Europa, ma all’apice del suo progetto, belle come il suo Arsenal davvero poche. Geniale riconvertire Petit in centrocampista e non solo di contenimento, aver fatto cambiare status a campioni come Henry, Bergkamp e Vieira sarà sempre la sua legacy, così come aver rigenerato umanamente Tony Adams, trovato la dimensione giusta a Pires, lanciato Ashley Cole, scoperto Fabregas e sviluppato il potenziale di Van Persie per una lista che potrebbe essere ancora lunghissima. 

Intesa in campo tra Thierry Henry e Wenger - ©Getty

L'innovatore che non curava la fase difensiva

Non solo. Ha creato una struttura di scouting capillare, trasformato la cultura medica e alimentare del clubintrodotto un osteopata (francese), portato all’Emirates un cuoco stellato (francese) e ossessionato i suoi giocatori con lo stretching. Alla fine gli è mancata l’elasticità per contemplare soluzioni diverse. Poco flessibile nella struttura tattica della squadra che non ha mai voluto adattare alla forza degli avversari, tanto quanto ha scioccamente insistito per anni su uno dei peggiori portieri della storia del calcio inglese, Manuel Almunia, che gli è costato punti e trofei, anche se alla fine quello di non capire che la sua squadra avrebbe dovuto avere una disposizione difensiva diversa è stato l’errore più grave

Wenger e lo stretching, una delle sue ossessioni; a fianco l'ex manager dell'Arsenal con Raymond Blanc, chef director del ristorante "Diamond Club" all'Emirates - ©Getty
Wenger a colloquio con Almunia prima del suo ingresso in campo nella finale di Champions League 2006 persa 2-1 contro il Barcellona - ©Getty

Champagne e tradizione

C’è voluto coraggio in Inghilterra a dare una struttura francese a una squadra importante come l’Arsenal, ne ha schierati 27 nella sua gestione, ma sono proprio quelle bollicine di champagne calcistico che hanno fatto la differenza. Ha schierato una squadra transalpina, ma lo ha fatto rispettando la storia e la sacralità del calcio inglese e del suo Arsenal, anche se curiosamente è sempre stato tifoso e appassionato della Bundesliga dove non ha mai né giocato né allenato.

Festa a base di champagne nello spogliatoio dei Gunners dopo la vittoria della Premier nel 2004 - ©Getty

Se la FA Cup è il trofeo nazionale per club più intrigante e dalla tradizione più lunga lui lo ha sollevato 7 sette volte. Un record assoluto. È mancata una Coppa Europea e resterà una macchia, ma la continuità ad alto livello che ha dato ai Gunners a livello continentale è stato forse il termometro migliore per valutare il livello e la continuità del suo lavoro con una dimensione economica decisamente inferiore agli avversari, perché alla fine quello che mancava nel portafoglio ce lo metteva lui col talento. Il suo Arsenal era come una bella attrice francese. Affascinante e capricciosa. Umorale e bellissima. Unica anzi INVINCIBILE!

Un'istantanea fuori dall'Emirates nel giorno dell'ultima panchina di Wenger nello stadio dei Gunners, il 6 maggio 2018 - ©Getty