Calafiori: "La mia Londra, dopo una vita da romanzo"

Quanto è stato difficile all’inizio abituarsi a vivere in un nuovo Paese e in una nuova città come Londra? “In realtà all’inizio mi sono un po' catapultato in questo mondo, ho cominciato a giocare da subito e non ho risentito molto del cambiamento. Poi stavamo andando bene anche dal punto di vista della classifica, vincevamo molte parte e mi sono sentito subito parte del gruppo. Tutti quanti sono stati molto bravi a farmi integrare fin da subito. Invece ho avuto qualche difficoltà a ottobre, quando mi sono fatto male per la prima volta. In quel momento mi sono fermato a ragionare su tutto quello che mi era capitato nell’ultimo anno e mi è arrivata la botta tutta insieme. Sono arrivato al Bologna, non dovevo giocare e ho fatto una stagione stupenda, anche grazie ai compagni. All’Europeo non pensavo neanche di andarci e ho fatto benissimo. Poi l’Arsenal, forse non avevo realizzato. Mi è servito” Hai sofferto un po'? “Sì, un pochino sì. Due mesi di buio e di freddo... un po' ho sofferto. Però poi mi sono adattato benissimo” Ti fai aiutare da qualcuno quando hai questi momenti? “Prima provo a risolverli da solo ma a volte bisogna farsi aiutare. Bisogna avere il coraggio di farsi aiutare da qualcuno perché non sempre siamo forti abbastanza. Può essere anche un amico che ti viene a trovare o un familiare, è importante parlare con qualcuno. Vedere qualcuno di italiano ti può aiutare, l’ho capito dopo e ti fa stare molto meglio” Chi ti ha aiutato di più nella vita a Londra? “Non lo so, in realtà ho un rapporto bellissimo con tutti i compagni. L’unica cosa è che come mentalità qui è un po' diverso rispetto all’Italia. Specialmente rispetto a come era a Bologna l’anno scorso, qui ognuno sta molto con la propria famiglia dopo l’allenamento, è una mentalità loro… ce l’abbiamo solo in Italia di fare gruppo fuori dal campo” A Bologna uscivate insieme? “Sì, spesso, almeno una volta a settimana c’era qualche cena. Sicuramente aiuta, qua non ce l’hanno proprio anche se provi a dirglielo” Obiettivo verso la prossima stagione: insegnare come si fa gruppo all’italiana! “Sì sì, perché poi aiuta” Nel tempo libero, anche poco che hai... la passione più grande? “Subito dopo l’infortunio ho iniziato a suonare la chitarra, a prendere lezioni e questo mi ha aiutato tantissimo e poi è una passione, non è stata una cosa passeggera ma è proprio una cosa che mi è rimasta dentro. Anzi, mi appassiona sempre di più” Il tuo maestro di chitarra è una persona che hai frequentato tanto e che continui a frequentare? “Sicuramente e lo porterò stasera al concerto di Mannarino, lo avevo promesso e lui sarà felicissimo perché ormai conosce tutte le canzoni” Se dovessi descrivere la tua vita lo faresti come fosse un libro o come un disco pieno di canzoni? “Un’altra passione che ho sono i libri, quindi direi come un libro. Un romanzo” Primo capitolo della tua vita calcistica, c’è un prima della Roma. “Sicuramente, tre anni alla Petriana dai sei ai nove anni” Con vista Vaticano? “Sì ma non mi allenavo su quel campo, giocavo a cinque” Poi la Roma, il sogno che diventa realtà. Giocavi anche con Bove e Cobolli. “Il primo anno Edo non c’era ancora, Cobolli già c’era” Sei rimasto in contatto con loro? “Con Edo sì, è uno dei miei migliori amici nel calcio. Con Flavio molto meno” Come hai vissuto quel momento orribile di Edo? “Non stavo guardando la partita ma a un certo punto ho acceso la tv per vedere il risultato e ho visto che la partita si era fermata ma non capivo il motivo. Poco dopo mi chiama mia madre in lacrime e mi dice ‘Forse Edo si è sentito male’. Lì non ci ho capito più niente, mia madre piangeva proprio. Lei è molto amica della madre di Edo e l’ha sentita, io mi sono spaventato ma non ho saputo neanche reagire. Non capivo niente. Poi fortunatamente ho scritto anche alla sua ragazza e mi ha detto che si era risvegliato e che dopo ci sarebbero stati tutti gli accertamenti del caso. Però una bella botta... posso solo immaginare lui e la sua famiglia che momenti hanno vissuto” Capitolo Roma: a 16 anni ti infortuni e ti dicono che potresti non giocare più… “Mi hanno detto ‘Facciamo un’operazione subito e una tra un mese o due, ma ti diciamo la verità: non crediamo che potrai più giocare a calcio’. Così mi hanno detto, il giorno stesso. Con mia madre vicino” E tu sei crollato? “No no, in realtà non ho voluto crederci. Il primo pensiero era che non ci credevo. Non volevo sentirlo” L’incoscienza del giovane? “Lo dico sempre, lo ripeto sempre anche ai miei familiari, ai miei amici: fosse successo tre o quattro anni dopo, non so se ce l’avrei fatta. Sicuramente non sarei tornato come sono tornato, perché l’incoscienza, l’essere ancora un bambino, non pensare alle conseguenze... avevo solo tantissima voglia di tornare a giocare. Era una sfida con me stesso e contro chi mi aveva detto che non sarei tornato a giocare” Sei cambiato tanto? “Sì, tantissimo. Però non lo rifarei…” Riesci a superare il brutto infortunio, torni a giocare con la Roma, l’amicizia con Dzeko e De Rossi ma poi qualcosa non va come speravi. “Tante cose. Se ripenso a quei momenti lì, se valuto le prestazioni e valuto l’età che avevo, non penso di aver fatto male. Però mi ricordo come vivevo le partite e non era fattibile. In confronto a ora…” Troppa pressione? “Non riuscivo, forse perché ero romanista ed ero cresciuto lì, sentivo il triplo delle aspettative rispetto agli altri. Sbagliavo sicuramente, ero troppo piccolo e troppo coinvolto a livello emozionale. Mi ricordo che ero contento quando la partita finiva” Pensa che ansia… “Sì, sì: stavo malissimo. E invece adesso è tutto il contrario, non vedo l’ora che arrivi la partita. E quello è l’unica cosa che mi fa stare bene” Quel capitolo come lo chiamiamo? “Diciamo è stata la prima caduta a livello professionale” Ma sei ripartito, hai avuto anche il coraggio di andare fuori: “Sì, il coraggio… ma era l’unica opzione andare fuori. Non ero convinto ma appena arrivato ho avuto la sensazione che dal punto di vista del giocare cambiava tutto. Ho capito che mi avrebbe aiutato” Poi forse c’è il capitolo più bello prima di arrivare qua: Bologna? “Il più bello in generale. Qualcosa di magico e anche lì inaspettato, perché arrivo l’ultimo giorno di mercato quasi forzato, ci sono degli aneddoti…” Raccontaceli. “Non posso dire tutto” Chi ti ha chiamato: Sartori o Di Vaio? “In realtà la verità è che non ero una necessità per loro, non servivo a molto, forse a livello numerico per essere più coperti dietro, ma terzini li avevano, i centrali li avevano... forse poteva servire un mezzo centrale mancino dietro, ma io avevo fatto due mesi a Basilea da centrale mancino, non avevo mai giocato. E invece poi appena arrivato ho avuto un bel feeling con il mister, che mi ha rassicurato dicendomi che avrei avuto le mie occasioni anche come centrale. E poi succede che Lucumí si fa male, si stira il quadricipite, e da lì ho cominciato a giocare. Anche lì non benissimo, contro il Cagliari appena entrato faccio rigore, ma dalla partita dopo poi non ho più lasciato il campo e ho giocato una partita dopo l’altra. Eh niente, una stagione che si commenta da sé…” Ti brillano gli occhi quando parli di Bologna. “Per forza, quello che abbiamo fatto e abbiamo passato è qualcosa di irripetibile non solo a livello calcistico ma anche a livello umano” Però era irripetibile anche l’occasione di arrivare in Premier League? “Dal mio punto di vista sì, non penso di aver sbagliato a venire qui. Io ambivo al mio sogno, un altro dei miei sogni era giocare in Premier. Era anche una sfida personale, perché gli italiani in Premier hanno sempre fatto fatica, sono sempre stati in pochi quindi volevo superare questo. Poi quando ti chiama l’Arsenal come fai a dire di no?!” Cosa ti manca di più dell’Italia? “Il sole. Direi il sole” Perciò Roma e Bologna. “A Bologna c’è un po' di nebbia… Dell’Italia mi mancano il sole, la famiglia e gli amici” Ci sono dei momenti in cui uno dice ‘Vale veramente la pena stare lontano dalla mia famiglia, dai miei amici per inseguire il mio sogno?’ o no? So che la risposta è scontata e che ne vale la pena però… “Sì, ci sono questi momenti. Parlo del mio caso e non penso che tutti arrivino a ragionare in questo senso, bisogna essere più sensibili, un po' più intelligenti emotivamente. Ci sono persone che non fanno questi ragionamenti e a volte è un bene, perché soffrono meno. Nel mio caso, purtroppo o per fortuna, mi rendo conto e mi sono reso conto che non è così. Ma devo dire che quest’anno ho sicuramente imparato qualcosa. Per prima cosa ho capito che questo lavoro lo sto facendo per me stesso. Sì lo faccio per la mia famiglia, sì lo faccio per i tifosi e per rendere felici le persone, ma per prima cosa devi stare bene tu. Se tu non stai bene, puoi inventarti quello che vuoi ma non rendi in campo. Spero di essere in grado, un giorno, quando non sarò più felice, di cambiare vita e di avere il coraggio. Ma tutto sta nelle piccole cose. Nel riuscire a crearsi una felicità e nell’essere sereno nel quotidiano. Adesso sono migliorato tanto e sto trovando la felicità e la serenità” Ti aiuta anche la musica? “Sì, la musica mi aiuta tantissimo, ma ci sono tantissime altre cose: l’amicizia, vedere un amico, andare a vedere un concerto, leggere un libro… ci sono tante cose che ti possono aiutare in questo senso. Il mio consiglio è questo: non pensate che siete solo dei calciatori, siete prima di tutto delle persone, quindi dovete prima stare bene come uomini e persone e poi il resto viene da sé. I miei genitori sono stati importantissimi fin da quando ero bambino, io sono sempre stato maturo per la mia età e capivo i sacrifici che facevano perché non abbiamo passato sempre momenti bellissimi, ma nonostante tutto io non mi spiego ancora come abbiano fatto a rimanere insieme. Anche il fatto di portarmi al campo 4 o 5 volte a settimana quando lavoravano entrambi, si sono inventati ‘l’acqua Paola’, come si dice. Più cresco e più mi sento fortunato di aver avuto come genitori due persone che amavano tanto i loro figli e che sono rimaste unite nei momenti più difficili” Chi è il giocatore con cui sei rimasto più in contatto? “Ho tanti amici della mia età ma penso a Bove. Con Edo sarà per sempre. Ci vediamo molto meno ma adesso che torno a Roma spero di vederlo. Un altro che mi ha sempre dato una mano anche con le cose personali è stato Lorenzo Pellegrini” Non sta vivendo un periodo buonissimo. “Sono Sicuro che si rialzerà, è una grande persona, un grande uomo. A me ha aiutato tantissimo, su tante cose, lo stimo tantissimo e gli auguro tutto il meglio” Ti ha dato consigli lavorativi? “Sia lavorativi che non, mi è stato vicino nei periodi in cui facevo più fatica a Roma” C’è un posto in particolare che ti piace, in cui ti piace passeggiare? “Londra per passeggiare è stupenda, hai trecento parchi. Mi piace Regent’s Park. Mi piace andare nei parchi ma me ne mancano ancora un bel po'. Per gli inglesi è importante prendersi questi momenti da soli, magari in pausa pranzo vedi gente che va al parco a mangiare senza telefono e legge un libro. E questo mi piace” La cosa che ti piace di più di Londra? “La libertà. E’ una cosa davvero opposta all’Italia. A me piace vestirmi stravagante ma qui mi sento bene anche per questo, qui non importa a nessuno” C’è qualcosa di cui hai paura? “Non lo so… ho paura di perdere la spensieratezza e la felicità in quello che amo. Spero che quello che faccio non diventi mai veramente troppo un lavoro o meglio un dovere verso qualcun altro. Forse questo oppure, anche se manca tanto, sto già pensando a cosa vorrei fare dopo ma non lo so… Vorrei trovare qualcosa di bello e che mi appassioni ma non è facile” Tra vent’anni non sai dove ti vedi? “No, assolutamente. Però spero in un posto con il sole!” Ripercorriamo insieme questa prima stagione in Premier League: sei partito con l’esordio a Villa Park. “Sì, da subentrato. Bella partita tra l’altro. Mi avevano già parlato dell’atmosfera calorosa lì. La partita è stata difficile ma sono entrato bene perciò ho ricordi bellissimi del mio esordio in Premier” Cosa ti ha detto Arteta prima di entrare? “Lui mi dice sempre di fare le cose che so fare bene e di trasmettere la mia energia sul campo per aiutare i compagni” Poi titolare contro il Manchester City. “Sì, subito la partita più importante dell’anno. Con i ragazzi che il giorno prima mi dicevano: 'Non hai idea, il 90% del tempo non hai la palla, ti massacrano'” E hai segnato un gol importante: prima te lo sentivi? “Di solito quando segno o succede qualcosa di bello, me lo sento. Tra l’altro c’era un mio amico che era venuto a vedermi per caso in quella partita a Manchester ed era venuto anche a Italia-Croazia, perciò mi porta bene. C’erano good vibes” Quante volte hai rivisto il tuo gol? “Tantissime” E quante volte hai sentito Marianella urlare ‘Calafiori!’? “Tantissime, ormai lo so a memoria. È stato bellissimo e non lo dimenticherò mai” Nel complesso come valuti la stagione? “Sono felice, felicissimo del mio livello personale di prestazioni. Era un campionato nuovo, difficile e quando ho giocato è andata bene, il problema è stato che ho avuto qualche up e down per la continuità. Non credo alla sfortuna ma diciamo che doveva andare così, non sono stato particolarmente aiutato e sicuramente la prossima stagione sarà migliore sotto questo punto di vista. Ho avuto questa stagione di adattamento e mi è servita tanto” Come obiettivi stagionali speravate in qualcosa in più? “Sicuramente avevamo in testa di vincere quest’anno, perché ormai sono anni che l'Arsenal è lì e questo sembrava l’anno giusto, ma il calcio è così e andiamo avanti. Il prossimo sicuramente” Arteta cosa vi ha detto dopo l’eliminazione dalla Champions? “Ha detto la verità, che in entrambe le partite tra andata e ritorno abbiamo giocato molto bene, forse abbiamo pagato i primi 20’ dell’andata in cui abbiamo subito gol troppo facilmente e ha detto che se dovevamo uscire, preferiva farlo in questo modo perché abbiamo dato tutto fino alla fine. Ci è mancato poco per non riaprire la partita nel finale…” Il calcio inglese? “Come ho detto più volte, ha un’intensità diversa ma la cosa che mi ha insegnato di più è che non puoi mai spegnere l’attenzione o il cervello per un secondo, perché ti ‘ammazzano’ qui. Sono attentissimi e si gioca sull’errore dell’altro” Che tipo è Arteta? “Un tipo particolare, come tutti gli allenatori. Però lui è stato il primo a convincermi a venire qui, mi ha chiamato spesso anche prima degli Europei ed è sicuramente un perfezionista. Sono felice della scelta. Non so se ha un occhio di riguardo nei miei confronti, però secondo me vede tanto potenziale in me e vuole farmi arrivare più in alto possibile” Parla tanto con te? “Sì, ogni volta, allenamento o partita, mi dice sempre in cosa posso migliorare” Il compagno di squadra con cui hai un rapporto un po' più speciale? “Vado d’accordo con tutti. Ho trovato una squadra di ragazzi giovani e molto bravi. Forse dico Jorginho e Neto, parlano tutti e due italiano. Neto abita nel mio stesso palazzo” Un avversario che ti ha colpito? “Van Dijk fa un po' impressione perché è enorme ed un grande giocatore” Non ti ispiri a un giocatore in particolare ma c’è qualcuno che ti piacerebbe imitare? Magari proprio Van Dijk? “Cerco di prendere un po' di tutto dai giocatori che stimo e che sono a un livello più alto del mio. In Nazionale c’è Bastoni, qui c’è Van Dijk, ce ne sono tantissimi… Prendo esempio un po’ da tutti”

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Calafiori: "La mia Londra, dopo una vita da romanzo"

Valentina Mariani