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Simone Inzaghi ed Eriksson: nessuno come loro alla Lazio

Serie A

Gianluca Maggiacomo

Simone Inzaghi in 7 partite ha fatto un solo punto in meno di Sven Goran Eriksson nell'anno dello scudetto (Getty)

I biancocelesti in queste prime sette partite sono a quota 16 punti in classifica. Uno in meno della squadra guidata dallo svedese nella stagione 1999-2000, quella che è poi terminata con la conquista dello scudetto. In rosa c’era anche l’attuale allenatore della Lazio

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L’allievo quasi come il maestro. Simone Inzaghi in queste prime sette giornate di campionato è andato vicinissimo a replicare quanto fatto da Sven Goran Eriksson alla Lazio nella stagione 1999-2000, quella che poi si concluderà con la vittoria dello scudetto all’ultima giornata ai danni della Juventus e con la conquista della Coppa Italia. L’attuale allenatore biancoceleste, dopo aver portato a casa la Supercoppa italiana ad agosto, ha iniziato la stagione con il piede pigiato sull’acceleratore. La sua Lazio è una delle realtà più interessanti del campionato. Finora ha incassato 16 punti, frutto di 5 vittorie, una sconfitta e un pareggio che valgono il quarto posto a 5 lunghezze dalla vetta attualmente occupata dal Napoli. Nella recente storia della Lazio, mai nessun allenatore era riuscito in una partenza così prolifica. Per trovare un inizio migliore, bisogna andare indietro di 18 anni, quando i biancocelesti erano guidati da Eriksson e Inzaghi era in campo. Dopo sette turni di campionato erano a quota 17 punti, appena uno in più di adesso. Lo svedese aveva ottenuto 5 vittorie, 2 pareggi e nessuna sconfitta. I gol realizzati fino ad ora da Immobile e soci sono 19, mentre erano 17 quelli fatti dalla squadra futura campione d’Italia, che però aveva subìto meno: 8 reti Eriksson, 9 Inzaghi.

Questione di budget

Il parallelismo tra la Lazio di oggi e quella di 18 anni fa è fuori luogo, forse blasfemo. Rosa di talenti quella di allora, squadra di collettivo oggi. Nella stagione 1999-2000 la Lazio aveva a disposizione risorse imparagonabili a quella di adesso. Questione di soldi. E, di conseguenza, di prospettive ed obiettivi. La Lazio di fine anni Novanta era figlia della grandeur di Sergio Cragnotti. Fuoriclasse in quantità e investimenti da capogiro. C’era Alessandro Nesta, Roberto Mancini, Luca Marchegiani, Matias Almeyda, Sinisa Mihajlovic, Marcelo Salas e Pavel Nedved. Era una squadra costruita per vincere lo scudetto e dire la sua anche in Europa: non a caso l’anno prima di diventare campione d’Italia aveva conquistato la Coppa delle Coppe e, pochi mesi dopo, la Supercoppa Europea battendo il Manchester United. Quella era una Lazio che spendeva. Solo nell’anno dello scudetto arrivarono nella Capitale Juan Sebastian Veron (30 milioni di euro di oggi), Nestor Sensini (7,5), Diego Pablo Simeone (10,5, come contropartita per la vendita di Vieri all’Inter) e l’allora 23enne Simone Inzaghi, giunto dal Piacenza per l’equivalente degli attuali 15 milioni di euro. Cifre che non si possono certo paragonare a quelle di adesso. Prima si comprava, ora si investe guardando in prospettiva. Claudio Lotito e il ds, Igli Tare, in estate hanno speso 28,5 milioni di euro, a fronte di un incasso di 71,5, dove pesano le cessioni di Keita Balde al Monaco per 30 milioni di euro più 2 di bonus, dell’ex capitano Lucas Biglia al Milan per 17 più 3 di bonus e dell’olandese Wesley Hoedt al Southampton per circa 17 milioni. La Lazio ha perso una pedina importante in attacco e una a metà campo in regia. Malgrado ciò, finora, la squadra non ha avuto scossoni. E questo è sicuramente un merito del lavoro Inzaghi.

Tra ieri e oggi

Assodato che si parla di due squadre e due società completamente differenti, è possibile intravedere dei parallelismi tra alcuni giocatori della Lazio di 18 anni fa e quella di oggi. Ben chiaro: confronti non tecnici, ma fatti di curiosità. Nella Lazio di oggi, come in quella di allora, la fascia parla portoghese. Nel 1999-2000 c’era Sergio Conceiçao. Oggi Nani. Il primo agiva a destra, il connazionale a sinistra. Tutti e due sanno calciare con entrambi i piedi, sono veloci e precisi nei cross. Conceiçao il suo nome nella storia della Lazio lo ha scritto. Ora tocca a Nani, che intanto, però, ha già conquistato i tifosi.

I leader

Sempre in mezzo al campo: nella Lazio di oggi, oltre a Marco Parolo, quello che si fa sentire è Milinkovic-Savic, serbo nato in Spagna quasi 23 anni fa. Nel centrocampo di Eriksson, assieme tanti fuoriclasse, c’era Diego Simeone. Il Cholo non aveva i piedi dei connazionali Veron e Almeyda. Ma era un leader. Proprio come lo è Milinkovic-Savic nella Lazio di oggi. Al punto che l’allenatore dell’Atletico Madrid, nel 2015, quando Lotito prese il serbo dal Genk, non ha mancato di apprezzare: “E’ un ottimo acquisto”, disse in una conferenza stampa.

I giovani

Nella squadra della stagione 1999-2000, in mezzo a tanti campioni, c’era un giovane che si faceva notare. Era Dejan Stankovic che, malgrado fosse da poco maggiorenne, aveva già alle spalle quattro campionati con la Stella Rossa e qualità da vendere. Uno come il serbo nella Lazio di oggi non c'è. Ma, basandoci esclusivamente sull’età, un parallelo lo si può tracciare con Alessandro Murgia, 21 anni compiuti da poco, gli stessi che aveva Stankovic nella stagione dello scudetto. Il serbo 18 anni fa giocò 16 partite in campionato e mise a segno 3 gol. Murgia, dopo le giovanili con la Lazio, è arrivato in prima squadra la passata stagione (2 reti in 14 gare) e lo scorso agosto si è tolto la soddisfazione di regalare ad Inzaghi la Supercoppa Italiana segnando il 3-2 definitivo contro la Juve. Una rete importantissima. Che ha fatto diventare il centrocampista il più giovane laziale ad aver deciso una finale, un primato detenuto fino ad allora proprio da Stankovic, che con un suo gol aveva dato ai biancocelesti la Supercoppa Italiana nel 2000.

Il fattore Inzaghi

Ma, al di là del gioco dei parallelismi, il vero ponte tra la Lazio di oggi e quella di fine anni Novanta, è proprio Inzaghi. Quando Simone sbarcò in biancoceleste dal Piacenza era un giovane di belle speranze, fratello d’arte in una squadra di campioni. Arrivò a Formello in punta di piedi e pian piano, tra giganti come Mancini, Salas e Boksic, riuscì a ritagliarsi i suoi spazi in attacco fino a diventare protagonista, anche grazie ad Eriksson. Un po’ come ha fatto quando si è seduto in panchina. Partenza in sordina, arrivata quasi per caso, e dopo poco tutti conquistati dalle sue qualità. Corsi e ricorsi. In campo come in panca.