Il nuovo spirito di sacrificio di Perisic, trasformato da Spalletti

Serie A

Dario Saltari (in collaborazione con "l'Ultimo Uomo")

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L'impegno difensivo dell'ala croata si sta rivelando fondamentale per la solidità dell'Inter di Spalletti. Punti di forza e limiti del nuovo Perisic, terzino nel tempo libero

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Nel calcio si attacca e si difende in undici, nel 2017 è persino troppo ovvio. Ma è utile ripeterlo senza nessuna retorica, ormai è letteralmente così: nessuna squadra può permettersi di esonerare un giocatore da determinati compiti difensivi. Possono essere di più, di meno, in copertura o in pressione, ma non c'è scampo. Spalletti, ad esempio, chiede alle ali del suo 4-2-3-1 di seguire gli inserimenti dei terzini fino nella propria trequarti. Di solito, lo sforzo è rischiesto soprattutto sul lato in cui si sviluppa l’azione, a volte, quando l’Inter si abbassa troppo (tipo per difendere un risultato negli ultimi minuti) Candreva e Perisic si abbassano anche contemporaneamente, formando addirittura una sorta di provvisorio 6-3-1.

Candreva e Perisic, in questo senso, sono fondamentali per la sostenibilità difensiva della propria squadra, al di là del sacrificio che comunemente si richiede a giocatori di fascia, e cioè di seguire l'avversario che li supera. Ovviamente ogni giocatore partecipa in maniera diversa in base alle proprie caratteristiche, influenzando in maniera più o meno macroscopica gli equilibri tattici della squadra. In questo senso l’affetto rinnovato dei tifosi interisti per Perisic (dopo un'estate passata ad immaginare di doverne fare a meno) non si deve ormai solo ai gol o agli assist per Icardi, ma anche al suo contributo difensivo, che è peculiare e specifico proprio per via delle caratteristiche del croato.

Certo, il punto di partenza sulla base del quale iniziare ogni ragionamento di questo tipo è che Perisic non è un difensore. Non ha un'attitudine difensiva istintiva, non ha la tecnica di base di un giocatore abituato a ricoprire ruoli difensivi, o che ci abbia giocato anche poche volte in passato. È normale che un allenatore con a disposizione un giocatore con le sue qualità tecniche e atletiche si preoccupi anzitutto di sviluppare il suo contributo offensivo. Per questo, quando Perisic si ritrova a dover difendere sostanzialmente improvvisa, commettendo sbavature che un difensore puro di medio livello non commetterebbe: si posiziona frontalmente con il corpo, subisce in maniera passiva i cambi di direzione, abbocca alle finte banali, gestisce istintivamente i tempi di attesa e intervento.

Il che non vuol dire che non abbia delle caratteristiche che tornino utili a Spalletti in fase difensiva. Come il tempismo nell’aggredire gli avversari in avanti in fase di pressing. Non è solo questione di aggressività, che pure al croato non manca: Perisic sa quando scegliere il momento migliore in cui attivare il pressing, cioè in quella zona grigia che va dal passaggio del centrale difensivo allo stop del terzino vicino alla linea del fallo laterale. In quel momento, il terzino non può controllare con lo sguardo sia il pallone che l’uomo che sta arrivando alle sue spalle, ed è costretto ad accelerare le proprie scelte anche solo dall’idea che un velocista come Perisic gli stia correndo incontro per rubargli il pallone.

Quando Silvestre scarica esternamente per Bereszynski, Perisic è già in posizione per scattare verso il terzino della Sampdoria.

L’esplosività di Perisic, insomma, non è solo un’arma quando il croato è in possesso del pallone, ma può essere proiettata come un’ombra sulla mente dei difensori avversari anche quando sono loro a gestire il possesso.

Ma il contributo di Perisic non si ferma qui. È anche molto attento quando stringe la sua posizione in mezzo al campo per comprimere un’azione avversaria che si sta sviluppando dal lato opposto al suo. Anche in questo caso, l’ala croata sa maneggiare sapientemente il tempo dell'intervento mentre l’avversario è impegnato a controllare il pallone o a riflettere sulla scelta da prendere. Di prenderlo alla sprovvista prima che quello se ne renda conto, insomma, come un ninja.

Quando è particolarmente concentrato, poi, Perisic sa persino predire l’andamento delle linee di passaggio avversarie, che è una qualità che di solito si associa solamente ai grandi mediani e difensori. 

In questo caso, per esempio, Perisic intuisce il movimento incontro di Iago Falque esattamente nel momento in cui lo vede De Silvestri, andando in maniera controintuitiva all’indietro e posizionandosi proprio nel punto in cui cadrà la diagonale del terzino del Torino. Poi, però, non riesce a girarlo di testa a un compagno e l’azione del Torino riparte.

Ma Perisic dà il meglio di sé in fase difensiva quando può letteralmente rincorrere gli avversari: alla fine correre, da un punto di vista atletico, è quello che sa fare meglio. In Serie A non ci sono calciatori che possono correre col pallone più velocemente di quanto non corra Perisic senza il pallone, che sappiano sommare il suo stesso numero di scatti e sforzi muscolari, rispondere ai suoi cambi di velocità, competere con la sua resistenza quando si tratta di andare al contrasto ad alta velocità. Questo, in sostanza, vuol dire non poter attaccare la profondità dalla sua parte. E per una squadra come l’Inter, che non ha meccanismi organizzati di riconquista del pallone e quindi tende a sbilanciarsi facilmente, perdendo le distanze con frequenza in transizione difensiva, avere un giocatore capace di coprire porzioni di campo praticamente illimitate, anche all’indietro, è fondamentale. 

Certo, tutto dipende dall’intensità mentale che riversa sulla partita. L’azione che porta al momentaneo vantaggio della Roma, in questo senso, è una specie di distillato di ciò che Perisic può dare e togliere all’Inter in fase difensiva.

La Roma sta cercando di sviluppare l’azione nella metà campo avversaria. Strootman vorrebbe andare in orizzontale da Nainggolan ma il passaggio, già di per sé non pulitissimo, viene intercettato proprio dal ritorno di Perisic, che però sbaglia l’appoggio all’indietro e serve involontariamente proprio il centrocampista belga della Roma. A quel punto corre verso la propria porta per rimediare all’errore fatto, ed è impressionante vederlo mangiare il campo alle spalle di un giocatore altrettanto esplosivo come Nainggolan. Perisic riesce a bloccare il tiro ambiziosissimo di Nainggolan parandosi davanti a lui in scivolata, ma non l’azione della Roma, che di lì a poco trova la diagonale giusta per Dzeko, che batte Handanovic e segna l’1-0. Sul cross di Nainggolan, Perisic non porta pressione sul pallone restando a guardarlo: forse sta solo riprendendo fiato dalla corsa appena fatta, sarebbe comprensibile, anche se fa strano pensarlo per un atleta del suo calibro.

Il mestiere del calciatore negli ultimi anni è diventato più complesso e faticoso che mai, soprattutto dal punto di vista mentale. Il calcio contemporaneo ha eliminato quasi del tutto la retorica del sacrificio richiesto a giocatori deputati a compiti più nobili e a tutti gli uomini in campo è richiesta una concentrazione massima e compiti specifici in tutte le zone. Spalletti chiede a Perisic di trasformarsi in un dodicesimo uomo, attaccante e difensore aggiunto, con compiti specifici come il pressing alto e le coperture centrali evidenziate sopra, e un lavoro extra ritagliato totalmente sulle sue qualità atletiche, con coperture profonde che lo trasformano di fatto in un aiuto supplementare al pacchetto difensivo quando l'Inter si allunga. Una richiesta che pochissimi altri giocatori sarebbero in grado di esaudire.

Quando Perisic ha iniziato a fare il calciatore magari non pensava che un giorno sarebbe finito a fare anche da terzino aggiunto (di solito non si sogna di correre senza il pallone dietro a un avversario); oggi però questo aspetto è diventato una parte imprescindibile del suo lavoro. Al di là degli inevitabili limiti, il fatto che l’abbia capito e che esegua le richieste delll'allenatore in maniera così efficace è segno sia del suo coinvolgimento nel progetto di squadre, sia del lavoro straordinario di Spalletti sulla mente dei suoi giocatori.