Milan, i 40 anni di Gattuso: storia, miracoli sportivi e aneddoti. Da Corigliano Calabro al Mondiale

Serie A

Marco Salami

I suoi primi 40 anni Gennaro Gattuso li compie seduto sulla panchina del Milan, la squadra con cui ha vinto tutto da giocatore. Dal Perugia ai rossoneri, passando per Glasgow. Vita, miracoli sportivi e aneddoti della carriera di uno dei calciatori più vincenti del calcio italiano. Da Corigliano Calabro al Mondiale: legato alle sue origini, sempre di corsa, sempre con grinta, sempre col cuore

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GATTUSO: "SOGNO DI RESTARE AL MILAN, QUI E' CASA MIA"

Quest’anno a San Siro, quando il Milan scende in campo per il riscaldamento prima delle partite, la musica di sottofondo che parte dagli altoparlanti dello stadio è Eye of the Tiger dei Survivor. Poi ecco anche Jump, dei Van Halen. È il momento dell’ingresso dei titolari, che con una leggera corsa, iniziano la loro preparazione al match. Anni fa a San Siro risuonava invece We Will Rock You, dei Queen, e a guidare il riscaldamento, in testa a tutto il gruppo c’era Gennaro Gattuso. Lui non passeggiava durante il suo ingresso in campo, scattava. Senza nemmeno il vago timore di farsi male. Partiva in testa al gruppo, dall’angolo sotto la curva nord dove un tempo spuntava il tunnel che collegava agli spogliatoi - oggi invece situato a metà campo tra le due panchine - fino a sotto la curva dei tifosi del Milan. Suonava la carica per tutta la squadra. Negli occhi tutta la voglia di vincere. Un fuoco che ardeva. Dai big match di Champions a qualunque partita di campionato. Era la squadra di Ancelotti e Maldini. Shevchenko, Kaka e Pirlo. E in mezzo a tutti quei fuoriclasse c’era anche lui. Anzi, più che in mezzo, in testa. A guidare il gruppo. L’anima di quella squadra era Gattuso. Lui, che lo ha sempre detto, “mai avrei vinto senza di loro”. Già, ma forse nemmeno loro - intesi come i campionissimi da Pallone d’Oro - avrebbero vinto così tanto senza di lui. Perché in fondo anche “Rivera senza Lodetti, Maradona senza Bagni o Platini senza Bonini, probabilmente non avrebbero reso così tanto” - parola sua, di Gennaro Gattuso, e della sua biografia del 2007 chiamata "Se uno nasce quadrato non muore tondo”. Già, un titolo che era tutto un programma, fatto di quella saggezza popolare che non tradisce le origini di un uomo profondamente legato alla sua terra, portata sempre nel cuore anche se a distanza. Infatti inizia tutto da lì, da Schiavonea, una frazione di Corigliano Calabro, e quei calci ad un pallone dati da bambino su di una spiaggia di pescatori.

Cuore impavido

La carriera calcistica di Gennaro Gattuso, fresco dei suoi 40 anni, parte dalle giovanili del Perugia, dove gioca poi in prima squadra tra il 1995 e il 1997, esordio in Serie B a 17 anni e in Serie A a 18, il 22 dicembre 1996 contro il Bologna. Poi l’anno all’estero, un tirocinio per il calciatore, ai Rangers. Lì in Scozia ci rimane solo una stagione, diventa per molti Braveheart, cuore impavido, quello di un lottatore che non molla mai nemmeno un centimetro in campo. Non solo calcio, già, perché oltre ai campi della Scottish Premier League, conosce anche la moglie Monica, figlia di ristoratori italiani emigrati a Glasgow. La donna della sua vita che lo seguirà poi in Italia: una anno alla Salernitana e poi il Milan, quello fresco di scudetto del centenario del 1999. Chi l’avrebbe mai detto? Probabilmente nemmeno lui, da sempre grato per la fortuna che ha avuto nella sua vita. In rossonero ci rimane per tredici stagioni e 467 partite. Settimo per presenze nella storia del club, alle spalle di altrettanti mostri sacri come Paolo Maldini, Costacurta, Baresi, Rivera, Ambrosini, e Tassotti. Già, altrettanti, perché anche lui è una leggenda del club. Con l’onere pesantissimo della panchina attuale. Impossibile non commuoversi dopo tutti quegli anni. Impossibile trattenere le lacrime quel 13 maggio 2012: Milan-Novara, l’addio dei senatori. Oltre a Inzaghi, Seedorf e Nesta saluta anche lui. E nel riscaldamento scoppia in lacrime, abbracciato da tutta la squadra, ma soprattutto dai figli, Gabriela nata nel 2004 e Francesco, oggi undicenne. In quel pianto c’è tutta l’anima di chi ha giocato e lottato per due colori. Col destino ancora a tenerlo vicino al Milan, e fin da subito, anche nella sua carriera da allenatore.

Glorie europee

La racconta lo stesso Gattuso, in quella sua autobiografia, della sua Vita da mediano. Quella cantata da Luciano Ligabue e diretta però verso l’altra sponda di Milano. “Grande cantante, anche se interista” - ironizzava lui. Eppure ha giocato davvero così, in ogni singola partita Gattuso, “a recuperar palloni, nato senza i piedi buoni e a lavorare sui polmoni”. Talmente tanta corsa e sacrificio da far dimenticare un livello tecnico non certo all’altezza di quei suoi compagni di squadra con cui inizierà a vincere tutto dal 2003 in poi. In panchina l’amico Carlo Ancelotti, da sempre legatissimo. In campo l’amico Andrea Pirlo, quello delle prese per i fondelli e di qualche schiaffone amichevole, ma comunque bello forte, alla Bud Spencer tanto per intenderci. “Quando guardo Pirlo giocare mi chiedo come possiamo io e lui fare lo stesso sport” - ha ricordato a più riprese Gattuso. Che però in quella prima Champions League vinta nel 2003 ci mette eccome la firma. Quei supplementari della finale del 28 maggio contro la Juventus paiono non finire mai, mentre al contrario le energie sono davvero poche per tutti quanti i giocatori. C’è un’immagine che racchiude più di tante altre l’essenza di Gennaro Gattuso, detto Ringhio. Minuto 120’ della finalissima di Manchester, calcio d’angolo per la Juventus, il pallone viene allontanato dalla difesa rossonera: Gattuso inizia allora una corsa a perdifiato, dalla propria area di difesa fino a quella della Juventus. Da campo a campo, coast to coast, sono quasi centro metri, tutti di scatto per pressare la Juve e farne ricominciare l’azione da capo, fin dai piedi di Buffon. E il tutto all’ultimo minuto dei supplementari di una stagione lunghissima, partita da dei preliminari giocati e vinti contro lo Slovan Liberec. Il finale poi è da sogno, e prima ancora di alzare la Coppa Gattuso si mette la maglietta al contrario. Il logo del Milan finisce sulle spalle. Il suo nome e il numero 8 davanti, sul petto. A ribaltare, almeno per una volta, l’importanza delle cose. “Gioca sempre per il nome scritto davanti alla maglia, e i tifosi ti ricorderanno per il nome che c’è dietro” - disse una volta Thierry Henry. Gattuso lo ha sempre fatto, e toccata con mano la gloria, ha voluto far vedere per bene nome e numero di chi per quella vittoria ha lottato come tanti, ma sicuramente corso più di tutti.

Delusioni europee

Non c’è solo la gloria però nella carriera di Gennaro Gattuso, e per sua stessa ammissione ricorda molto di più le sconfitte. Quelle che ti logorano dentro. A Istanbul la più bruciante di tutte, quel 25 maggio che lui non avrebbe mai voluto vivere. C’è un’altra immagine che racconta quel momento meglio di tante altre. Più del 3-3 di dei Reds, del clamoroso errore di Shevchenko o delle parate di Dudek dal dischetto. Ed è l’ingresso in campo. Le squadre sono schierate e sfilano accanto alla Coppa. Pochi giocatori la guardano durante il loro ingresso, quasi porti sfortuna incrociarne lo sguardo. Oppure semplicemente perché è molto più bello gustarsela dopo la partita, quando sarà solo tua. Ebbene, quella volta Gattuso agisce diversamente. Durante l’ingresso in campo ci passa accanto e la accarezza, gli da un buffetto sulla pancia argentata. L’ha alzata due anni prima, e con quel gesto sembra volere salutare una vecchia amica vista non troppo tempo prima. Quasi come a darle appuntamento per dopo: ci vediamo; lo so che ci vediamo. Invece non andrà così. Il 3-3 e il Ko ai rigori fa malissimo a Gattuso, che ha ribadito più volte come pensò anche all’addio rossonero. Perché quella sconfitta gli mordeva l’anima, e perché provava tanta “vergogna nei confronti dei suoi tifosi” - come scritto sempre in quel suo libro. “Prevalse però la voglia di riscatto”, quello di due anni dopo, nella riedizione della finale, sempre contro il Liverpool ma ad Atene. La partita perfetta di Gattuso sarà però quella venuta prima. Il 2 maggio del 2007, a San Siro in semifinale contro il Manchester United. Con un occhio vigile e un’attenzione speciale per Cristiano Ronaldo, che l’anno dopo vincerà il Pallone d’Oro inaugurando il duopolio con Messi durato dieci anni, e ancora in corsa. Il centrocampista con l’otto sulle spalle quella notte, sotto la pioggia, annulla il sette portoghese. E il Milan chiude con un 3-0 tondo e perfetto su cui ci sono le firme di Kaka, Seedorf e Gilardino, ma sicuramente anche la sua.

Gloria Mondiale

Due Champions League in bacheca sono il risultato sportivo più alto per Gennaro Gattuso, che col Milan vince però anche due scudetti, due Supercoppe Europee, altrettante italiane, una Coppa Italia e un Mondiale per Club. Già, il Mondiale, c’è anche quello del 2006 con la maglia della Nazionale, la stella polare della carriera di qualsiasi calciatore. E anche lì - esattamente come con il Milan la stagione successiva - la vera finale Gattuso la gioca con una partita di anticipo. Contro la Germania a Dortmund. Non la decide ovviamente con un gol Gattuso, lui che di reti in tutta la sua vita ne ha fatte solo 18, e una sola in azzurro, seppur bellissima. Una bordata sotto l’incrocio in un’amichevole contro l’Inghilterra. No, ovviamente lui la semifinale contro i tedeschi l’ha giocata con la sua grinta impareggiabile, e con un pizzico di rabbia in più. Per cosa? Tutti quei giornali, e quegli sfottò gratuiti verso l’Italia e gli italiani. Non ci stava Gattuso, non dopo tutte quelle frecciate contro tutti gli immigrati italiani che in Germania erano andati a cercare fortuna, esattamente come avevano fatto anche i suoi genitori. In quella Coppa del Mondo inizia in panchina nell’esordio contro il Ghana. Nella seconda partita contro gli Stati Uniti arriva prima l’espulsione di De Rossi, dunque il suo ingresso in campo. Da lì in poi sarà sempre titolare. E anche quella coppa, dopo l’Europeo Under 21 vinto nel 2000 insieme - tra gli altri - anche a Pirlo e Perrotta, può finire sulla bacheca dei trofei del ragazzo di Schiavonea, frazione di Corigliano Calabro.

Dal campo alla panchina

Il presente si chiama Milan, esattamente come il passato. Dette di quelle lacrime nella sua ultima partita contro il Novara, ci sono anche le sue ultime stagioni, prima del passaggio dal campo alla panchina. Da giocatore è sempre stato un duro Gattuso, e non ha mai mollato. Certo, quasi nemmeno di fronte agli infortuni, rarissimi nella sua carriera. Nel 2008 il primo realmente serio, quando a dicembre contro il Catania salta il ginocchio: è il legamento crociato, il Ko dopo appena quattro minuti del primo tempo, già, ma lui finisce comunque tutta la partita. Senza sentire nulla. Nel 2011 l’infortunio più lungo, all’occhio, miastenia oculare, una lesione del nervo che gli fa giocare solo sei partite in Serie A, nella sua ultima stagione rossonera. È proprio durante quel lungo stop che medita alla carriera in panchina - come detto recentemente all’Ansa. Il passato recente è poi quello del Sion, da giocatore ad allenatore. Poi le esperienze traumatiche con Ofi Creta e Pisa, tra stipendi non pagati, crisi societarie e sfoghi in conferenza stampa. Dunque la primavera del Milan e la prima panchina, la stessa che fu dell’amico Ancelotti, conquistata a inizio dicembre con quel clamoroso 2-2 a Benevento. La storia da allenatore è ancora tutta da scrivere, il derby di Coppa Italia la prima vera gioia. Il Milan di quest’anno ha scelto di ripartire da un uomo come lui. Se ne era parlato tante volte negli ultimi anni, della mancanza della mentalità adeguata in uno spogliatoio ormai orfano di senatori. Sotto questo aspetto la scelta Gattuso è indiscutibile, sicuramente di più dal punto di vista tecnico e di esperienza. La sua proverbiale grinta non rivivrà forse in nessuno nella rosa rossonera attuale, ma sicuramente rivive sulla panchina. “Sogno di restare al Milan - sono le sue parole più recenti, quelle all’Ansa - qui mi sento a casa mia e sento ancora più responsabilità nei confronti del club rispetto a quando giocavo. Ma non voglio essere un peso, anzi, sono l'ultimo problema”. Con grande umiltà e grande grinta: “Un regalo per i 40 anni? Vorrei essere meno focoso, meno incazzoso, più calmo: sembra che mi diverta ma faccio fatica. Mia moglie dice che sono un pazzo da rinchiudere”. Già, da pazzi, esattamente come iniziare con uno scatto di oltre centro metri il riscaldamento, quando tutti gli altri entrano in campo corricchiando. Ma lui è Gennaro Gattuso, e - se ne avesse la possibilità - quella corsa sulle note dei Queen la farebbe anche oggi. Sempre di scatto, sempre a denti stretti. Mettendoci l’anima più di chiunque altro. In campo come in panchina.