Al Napoli farebbe comodo un attaccante in più, ma Inglese dovrebbe restare al Chievo fino a giugno. Quanto è adatto al gioco della squadra di Sarri, in ogni caso?
Nelle ricostruzioni degli ultimi giorni della passata sessione estiva di mercato, la trattativa che ha portato Roberto Inglese a firmare per il Napoli viene dipinta come un acquisto d’impulso, come i Ferrero Rocher in coda alla cassa del supermercato. «Un vero blitz effettuato in tempi rapidissimi», consumatosi a Milano tra i corridoi dell’Hotel Melià: Giuntoli entra nella stanza di Romairone, ds del Chievo, dopo aver avuto «un’idea last minute», e raggiunge l’intesa «in una manciata di ore».
In quei giorni il nome di Inglese veniva spesso associato alla Sampdoria, che non aveva ancora chiuso per Duván Zapata, e stando sempre al ds Romairone, su di lui «c'erano anche altre squadre, italiane ed estere». Inglese scopre dell’interesse del Napoli alle sette di sera, con il mercato che chiude alle undici. Viene valutato per una cifra tra gli 11 e i 12 milioni di euro, e viene premiato con un quadriennale da 700mila euro, il doppio di quanto percepiva con il Chievo, ma decisamente in linea con il monte salari del Napoli.
Dal punto di vista delle dinamiche di mercato, l’acquisto di Inglese appare molto diverso dall’acquisto di Pavoletti, un attaccante a cui è stato facilmente associato per le caratteristiche fisiche simili, l’altezza sopra la media e l’abilità spiccata nei duelli aerei, e per i percorsi di carriera affini, con la chiamata del Napoli che è arrivata dopo una lunga gavetta in tutte le categorie di professionismo.
Precedenti poco confortanti
Mentre Inglese è stato strappato al volo, nel Black Friday del nostro calciomercato, Pavoletti era stato a lungo cercato dal Napoli per riempire il ruolo di attaccante di riserva, proprio su impulso di Sarri, come è ragionevole credere. In estate l’accordo non si chiuse, ma l’acquisto fu formalizzato in anticipo sull’apertura del mercato invernale, perché fosse arruolabile da subito. Pavoletti arrivò a Castelvolturno il 30 dicembre per iniziare gli allenamenti, e qualche giorno dopo esordì contro lo Spezia in Coppa Italia.
Nonostante il credito di fiducia, alimentato dall’investimento vicino ai 18 milioni, fu sufficiente un mese perché Pavoletti sparisse dalle rotazioni. Prima i postumi di una distorsione al ginocchio che si trascinava dal Genoa, poi il ritardo di condizione, quindi una breve serie di prestazioni infelici ed errori clamorosi. Alla fine del campionato aveva collezionato 194 minuti: 6 presenze, di cui soltanto 2 da titolare, e nessuna per tutti i novanta minuti.
In estate appariva già evidente come Sarri non volesse averci più niente a che fare («dipende da Pavoletti e dipende da me. Ma forse dipende più da lui. Se arriverà a giocare meglio dei titolari allora giocherà lui, stop»), mentre Pavoletti iniziava a traslocare in direzione Cagliari e a lasciarsi alle spalle quei sei mesi senza rancori («ma sì, lì ero un po’ un pesce fuor d’acqua: tempi di gioco, velocità e forse tecnica non per me, non era il gioco per valorizzare le mie caratteristiche»).
È finita male con Pavoletti, che Sarri aveva indicato e poi approvato al netto della spesa considerevole, ed è inevitabilmente finita malissimo con due attaccanti scelti durante la gestione Benítez. Duván Zapata ha sbattuto la porta commentando: «Con Sarri non mi sono mai allenato. Faceva quello che gli aveva chiesto la società, emarginarmi». Gabbiadini si è spinto fino a: «Con Sarri non è mai scoccata la scintilla. Per me la sincerità e i rapporti umani vengono prima di qualsiasi altra cosa. Mi piacciono le persone che ti dicono le cose in faccia».
Raccogliendo dichiarazioni rilasciate in momenti diversi da esuli del Napoli di Sarri, alcuni argomenti ritornano ricorrenti, in questo caso pronunciati ancora da Gabbiadini: «C’è una linea ben marcata tra titolari e riserve», «Chi resta fuori alla lunga non può essere contento». Sarri gioca a motivare le sue riserve sul filo tra scherno e provocazione, chiede loro di dimostrarsi più forti dei titolari, fino al punto in cui queste chiedono di poterlo dimostrare in altre piazze.
Inglese non rinuncia alla maglia della salute per firmare il contratto più importante della sua vita.
L’evoluzione tecnica
Il trasferimento di Inglese potrebbe concretizzarsi già in queste ore, o venire rimandato a giugno, al termine del prestito annuale che attualmente lo lega al Chievo, ma date queste premesse, è difficile scommettere sulla sua sopravvivenza in un contesto selettivo come il Napoli di Sarri. Inglese si è detto consapevole di essere chiamato a invertire la tendenza, e di avere possibilità limitate: «nel Napoli non so se sarò all’altezza, non mi vergogno a dirlo. Provo a fare un passo in più, a vedere dove sono i miei limiti».
L’ostacolo principale sarà ottenere l’approvazione di Sarri, la sua disponibilità a inserirlo progressivamente negli schemi offensivi del Napoli, e di conseguenza la disponibilità della squadra a cementare quella conoscenza reciproca che muove il collettivo. Per guadagnare credito, in assenza di doti tecniche eccezionali, Inglese può puntare su umiltà e dedizione, di cui dispone in abbondanza, e sulla fiducia della dirigenza: a Napoli lo ha portato Giuntoli, che lo aveva conosciuto negli anni dell’esperienza al Carpi.
Con il Carpi, l’attaccante abruzzese aveva giocato due stagioni: 48 presenze e 8 gol in Serie B, quasi sempre da prima punta di un 4-3-3, spesso entrando dalla panchina al posto di Mbakogu o Lasagna. Poi è passato al Chievo, dove si è specializzato nel ruolo di punta di supporto in un attacco a due, deputato a cucire lo spazio tra i reparti, a proporsi per ricevere verso l’esterno del campo, spesso spalle alla porta, per trascinare su la squadra con il fisico e gli scarichi verso il centrocampo.
Insieme alla sensibilità nel colpo di testa, questo è probabilmente l’aspetto più eccezionale del bagaglio tecnico di Inglese. Come aveva già notato Saltari, è veramente bravo nel reggere il contatto con il marcatore alle spalle e nel proteggere la palla. Non perde mai l’equilibrio, spesso riesce a disorientare il difensore con qualche finta impercettibile, e si apre in un attimo il campo visivo per la giocata successiva. Proprio con una grande intuizione spalle alla porta, si era presentato al pubblico della Serie A ormai due anni fa: controllo a seguire e bordata di destro sotto l’incrocio.
Il passaggio di Rigoni è molto forte, Inglese deve utilizzare il piatto per smorzarlo e mandare fuori tempo Danilo nello stesso movimento.
Prepararsi al peggio
Nella recente sconfitta interna contro il Bologna, Inglese ha strappato al ventisettesimo gli applausi dello (scarso) pubblico presente con quella che è un po’ la sua giocata iconica: posizionamento spalle alla porta, protezione della palla, avvio della transizione. Dopo essersi mosso lateralmente per ricevere, ha protetto con grande forza il pallone dall’aggressione di Masina, che è alto quattro centimetri e pesa almeno dieci chili più di lui. Poi, con grande agilità, è riuscito ad aggirarlo all’esterno dopo un affondo mancato e ha provato a far salire la squadra.
Eppure sono bastati tre tocchi in allungo a fargli perdere il controllo dell’azione, il primo con il sinistro, il secondo con il destro, il terzo ancora con il sinistro che fa cambiare traiettoria al pallone e non sembra neanche voluto. A quel punto Inglese è ancora solo, ma è ormai fuori equilibrio e si vede costretto a sparare a testa bassa un filtrante in direzione di Pucciarelli che sbatte su Helander, facendo ritornare in possesso il Bologna.
È abbastanza frequente vedere Inglese sbagliare misura dei passaggi, sbagliare la forza, la direzione, o il tempo della giocata successiva al primo controllo. Per struttura fisica e limiti tecnici, è costretto a tenere il pallone il meno possibile, e quando non ha a disposizione un’opzione immediata di passaggio deve liberarsene in fretta e sperare di generare qualcosa.
A breve, Inglese potrebbe trovarsi a dover risolvere questo rapporto conflittuale con il pallone nella squadra che lo fa circolare maggiormente in Italia. Certo, il gioco del Napoli moltiplica le opzioni di passaggio, ma richiede soprattutto di combinare creatività e qualità in spazi stretti. Al contrario, al di fuori dei movimenti codificati della fase offensiva di Maran, e del corpo immolato al servizio della causa, Inglese si rivela il più delle volte un attaccante impacciato, che fa molta fatica a tenere il pallone vicino al piede se deve portarlo avanti lungo il campo.
Quando invece gli basta un solo tocco, i risultati sono decisamente più apprezzabili.
Quantomeno, Inglese sembra preparato al peggio, che è un po’ un tratto distintivo del suo modo di essere umile: «La gente la fa facile: "Lì ti mettono la palla sui piedi, vedrai". Ma lì devi saperti allenare con loro, e quando in Nazionale l’ho fatto con Insigne ho capito un po’ di cose. Lì devi essere un’orchestra e se stoni tu, stona tutta la musica: stop e passaggio, lo fanno in undici nello stesso modo e per questo ti rubano il tempo».
Violini e contrabbassi a confronto
«Le squadre più tecniche preferiscono uno più piccolo, rapido e bravo a giocare la palla. Le provinciali uno più fisico che tenga palla e faccia salire gli altri. Ma tutte devono avere un centravanti. In un'orchestra servono i violini e i contrabbassi. Il calcio è lo sport più democratico: grossi e piccoli sono ugualmente utili», ha poi sostenuto Inglese nella stessa intervista. È un’argomentazione molto lineare e condivisibile, che suona quasi come una candidatura: l’unica speranza per Inglese di sopravvivere nel Napoli è fare leva sulla diversità.
La diversità di Inglese nell’interpretazione del ruolo risalta visibilmente ad un confronto statistico. Tra la passata stagione e quella attuale, Inglese ha giocato 53 partite di campionato spalmate in circa 3500 minuti, un campione sufficientemente grande per cogliere le principali differenze nello stile di gioco rispetto a Mertens, che nello stesso periodo ha giocato 55 partite e circa 4300 minuti da centravanti del Napoli.
Mertens tenta esattamente il doppio dei tiri rispetto a Inglese, e centra la porta con il doppio della frequenza. Copre uno spazio più ampio (tenta poco più della metà delle conclusioni all’interno dell’area di rigore, contro l’81% di Inglese), e offre un ventaglio di soluzioni offensive decisamente maggiore (il doppio dei passaggi chiave, il doppio dei passaggi riusciti e una maggiore precisione nei passaggi, 75.9% contro 67.9%).
È soprattutto un attaccante che risolve spesso il problema degli spazi stretti con l’estro individuale. Mertens tenta più del triplo e completa più del doppio dei dribbling di Inglese, che pure, nel suo piccolo, ha una migliore percentuale di riuscita rispetto al belga, 66,7% contro 47.6%. In ogni caso, Mertens è una fonte di gioco più affidabile: negli ultimi due anni, perde in media circa 3 palloni ogni 90 minuti, mentre Inglese (che ne gioca molti di meno) ne perde circa 5.
Al di là di queste ovvie differenze, però, esistono alcuni elementi di compatibilità tra le richieste di Sarri e le qualità di Inglese. La disinvoltura con cui si muove spalle alla porta può tornare utile per accorciare la distanza dal centrocampo, abbassandosi in posizione di trequartista. Mertens, ad esempio, fa un lavoro fondamentale in arretramento spalle alla porta, liberando spazio dietro di sé per le verticalizzazioni di difensori e centrocampisti.
Questo però è possibile perché le difese lo seguono da vicino, consapevoli che gli basta un tocco di prima per liberare Insigne e sbloccare una situazione pericolosa. Inglese probabilmente riceverebbe un trattamento diverso, con qualche metro in più a disposizione per costringerlo a inventare e a rischiare, per condurlo all’imprecisione, per esporne le debolezze, per aumentarne il senso di isolamento e frustrazione.
Sarà difficile costringere Inglese nei panni di Mertens, ma non è detto che sia necessario. Contro il Verona, chiuso con tutti gli effettivi a protezione dell’area di rigore, il Napoli ha faticato a trovare varchi e a creare occasioni, prima di segnare su calcio d’angolo e assicurarsi i tre punti. Più in generale quest’anno, quando serviva segnare un gol, Sarri ha mandato alla riscossa Koulibaly nell’area avversaria, evidenziando la mancanza di un attaccante di questo tipo.
Inglese è esattamente un giocatore di questo tipo, un attaccante che ingaggia duelli aerei con frequenza dieci volte superiore a quella di Mertens (0.7 contro 6.8) e ne vince con frequenza trenta volte superiore (0.1 contro 3.0), che tenta la conclusione di testa quasi una volta a partita, mentre Mertens ci arriva quasi una volta ogni tre partite.
Un attaccante che potrebbe anche rappresentare un’alternativa a Callejón, in un ruolo meno centrale per la distribuzione del pallone, in cui dovrebbe preoccuparsi soprattutto di mantenere l’intensità del pressing e inserirsi sul secondo palo, e di offrire un eventuale sponda aerea se il Napoli volesse attaccare in velocità saltando il centrocampo, una soluzione attualmente non contemplata. Tra pochi giorni o pochi mesi, Inglese sbarcherà nella terra promessa della palla sui piedi, ma per sopravvivere alle rotazioni cortissime di Sarri, farebbe bene a chiederla sulla testa.