Serie A, le migliori giocate delle prime 20 giornate

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Redazione l'Ultimo Uomo

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Il colpo di testa di Brignoli, il dribbling di tacco del giovane Di Francesco e altre giocate incredibili dalle prime 20 giornate del campionato di Serie A

In questa rubrica settimanale scegliamo le migliori giocate che abbiamo visto durante l’ultima giornata. Spesso si tratta di pretesti per parlare del momento di forma di alcuni giocatori o squadre; altre volte vogliamo solo celebrare dei gesti tecnici particolarmente belli che rischiano di finire fuori dagli highlights.  Abbiamo approfittato della pausa della Serie A per fare un punto delle cose belle catalogate fino ad oggi, e abbiamo scelto le 5 migliori giocate viste finora, cioè nelle prime 20 partite.

Quando abbiamo scritto di questa giocata del Di Francesco giovane, a fine ottobre, sospettavamo già potesse diventare il trick dell’anno. Intanto ha superato lo sbarramento della classifica di metà stagione. La prima, ovvia, ragione è che Di Francesco ha inventato qualcosa di nuovo, ha portato nel nostro immaginario qualcosa che prima non esisteva. A me personalmente, per la fluidità, ha ricordato vagamente “l’Aurelio”, il numero che ha reso celebre Rodrigo Taddei una decina di anni fa (che si chiama così in onore di Aurelio Andreazzoli, che lo aveva notato in allenamento gli aveva detto di provarlo a fare anche in partita). Ma la cosa bella della giocata del piccolo Di Fra è che è del tutto improvvisata.

La fluidità del gesto non sembra allenata, provata in anticipo: Di Francesco risponde a uno stimolo improvviso. Una palla che arriva sul suo piede sinistro leggermente arretrata, costringendolo a piantare il piede a terra e a girarsi spalle all’attacco. Se la palla gli fosse arrivata da dietro, in verticale, il “trick” sarebbe risultato più meccanico e banale, sarebbe stato un cambio di direzione di tacco, persino bello, per carità, ma non avrebbe avuto lo stesso effetto su di noi. In questo caso è importante quella frazione di secondo in cui Di Francesco sembra in difficoltà perché deve frenare la corsa e girarsi, e perché c’è Kevin Strootman, uno degli strappa-palloni più efficaci della Serie A, che sta arrivando alle sue spalle.

Federico aggancia la palla, poi - forse, è una teoria - prova semplicemente a portarsela avanti facendola passare sotto le sue gambe. O magari, chissà, controlla semplicemente male e la palla e se la ritrova dietro al piede destro. La terza ipotesi è che sia un gesto in effetti coordinato, che la fluidità sinistro-destro non sia del tutto casuale. Non lo sapremo mai, e certo sarebbe bello chiederlo direttamente a lui. Ad ogni modo, a quel primo controllo unisce senza soluzione di continuità una carezza con il destro che fa passare la palla sotto il naso di Strootman e, con una piroetta, si ritrova di nuovo libero di correre in campo aperto. L’impressione dal vivo è stata davvero simile a quella di un illusionista che si libera dalle catene e anche rivedendolo e scomponendolo non si capisce cosa abbia fatto Di Francesco. Anche se si fosse trattata di una coreografia studiata, Di Francesco, come i grandi ballerini, ha reso il gesto talmente naturale da sembrare improvvisato.

Il senso ultimo di una rubrica come questa sulle migliori giocate della settimana ha anche a che fare con una funzione d’archivio. Catalogare momenti di grandezza che non hanno portato a un gol, e che quindi possono finire fuori dagli highlights. Per certi versi si tratta anche di un elogio della bellezza fine a sé stessa, di un gesto tecnico bello di per sé, che non produce nessun risultato evidente. Questa traversa di Douglas Costa, colta contro il Benevento a metà novembre, incarna questo concetto al punto che mi spingerei fino a dire che è molto più bella di un gol. Se il tiro fosse stato più basso di qualche centimetro, centrando la finestra spaziale tra le mani del portiere e la traversa, sarebbe stato un gran gol ma non avrebbe restituito la stessa sensazione di potenza deflagrante che invece è chiara quando il pallone rimbalza sulla traversa.

Nella sfida personale che si viene a creare tra attaccante e portiere nel momento del tiro, le armi a disposizione di chi calcia per ingannare chi para sono molte: si può dare effetto al pallone per rendere illeggibile la traiettoria, si possono fare delle finte, o colpire in controtempo, a volte, però, percambiare percezione di un tiro basta la semplice forza. Questo tiro dal limite sinistro dell’area di Douglas Costa ne è un esempio. Il brasiliano è arrivato fin dentro l’area, controllato solo a vista da Venuti, e gli basta spostarsi il pallone leggermente col sinistro per aprirsi lo specchio della porta. Il suo tiro è talmente potente che Brignoli sembra non riuscire nemmeno a vederlo: alza le braccia come se il pallone fosse finito molti metri sopra la traversa e si accorge che in realtà è finito nello specchio solo quando sente il rumore della traversa colpita. Il pallone sembra a tutti gli effetti essere sparito dal suo campo visivo dal momento in cui era tra i piedi dell’ala brasiliana ed è ricomparso alle sue spalle, mentre rimbalzava nell’area piccola. Magari non avrà lo stesso fascino romantico di un tiro lento a giro, ma non si può dire che anche questa non sia una magia.

Abbiamo scelto questa parata di Sorrentino come rappresentante della categoria portieri, in cui avremmo potuto inserire anche Alisson, autore di un girone d’andata infarcito di giocate lussuose con i piedi; oppure anche Perin, di recente protagonista di una parata irreale contro il Sassuolo, che abbiamo descritto così: «bisogna imprimere una forza sovraumana nel polso per deviare tiri così ravvicinati; e soprattutto sono ore e ore di allenamento spese ad affinare i riflessi e far memorizzare al corpo quel movimento che poi, quando serve, dovrà compiere senza quasi che il pensiero gli mandi lo stimolo».

Se abbiamo scelto questa parata di Sorrentino è anche per premiare quella che è stata forse la prestazione individuale migliore di un portiere nel girone d’andata. Fondamentale nel pareggio zero a zero che il Chievo è riuscito a strappare alla Roma il 10 dicembre. I numeri dicono che è valsa almeno metà di quella della squadra (con 8 parate equivalenti a 1,4 dei 2,7 xG subìti dal Chievo ieri, come scritto da Alfredo Giacobbe).

Ovviamente bisogna fare la tara alla fortuna, all’imprecisione degli avversari, ma va oltre un certo limite è chiaro che c’è qualcosa (non è chiaro cosa) che dipende dalla forma del portiere in questione.  È difficile capire cosa possa mettere un portiere nelle condizioni di passare quella che di solito chiamiamo “giornata di grazia”, con un fatalismo che poco si lega con la nostra idea di calcio contemporaneo in cui ogni dettaglio viene controllato e lavorato e alla fine ha una spiegazione logica. Stefano Sorrentino ha spiegato la parata sul tiro deviato di Schick - che a meno di dieci minuti dalla fine avrebbe deciso la partita - dicendo: “È uscita la pazzia che è in me”.  Ma non è l’unico momento razionalmente difficile da raccontare della partita di Sorrentino contro la Roma. Nel primo tempo aveva già murato Gerson da pochissimi metri e nel secondo aveva deviato in angolo un’altra occasione importante di Gonalons. Di questa parata possiamo sottolineare l’ottimo riflesso muscolare che gli ha permesso di mantenere l’equilibrio anche se aveva già iniziato a coordinarsi per parare nella direzione opposta, l’istinto probabilmente innato e l’esperienza, la memoria muscolare allenata in vent’anni di professionismo. Probabilmente una parte del cervello di Sorrentino aveva “letto” la posizione di tutti i giocatori coinvolti nell’azione e messo in conto la possibilità di una deviazione, per questo la reazione è così naturale, anche se il gesto tecnico in sé è molto complicato. E poi Sorrentino è un personaggio autenticamente positivo, che utilizza la propria fama sui social network per diffondere messaggi rincuoranti e motivazionali ai suoi tifosi, si merita un po’ di quella gloria di cui troppo spesso non torna indietro niente a nessuno.

Abbiamo scelto quest'azione di Florenzi anche per un semplice motivo quantitativa. Prese singolarmente queste tre giocate avrebbero potuto occupare tre posizioni di una puntata della rubrica. Ma è una giocata che racconta anche l'originalità di un giocatore come Florenzi. Nel momento in cui Florenzi mette in fila queste tre giocate al termine di Roma-Spal, finita con un largo successo dei giallorossi, mancano appena una manciata di secondi. La Spal è sotto di due gol e sta combattendo da ottanta minuti contro l’inferiorità numerica a cui è stata condannata dalla repentina espulsione di Felipe: lo si capisce dal movimento controintuitivo di Borriello, diretto con il pallone verso la sua porta, che i ferraresi non hanno null’altro da chiedere alla partita se non un po’ di pace.

Florenzi però non conosce pace. Ha affrontato in silenzio due rotture del crociato, un anno di riabilitazione e un’eliminazione da un Mondiale per cui era «pronto a morire sul campo», solo per avere l’opportunità di contendere questo pallone a Borriello all’ultimo minuto di una partita già vinta. Probabilmente ci troveremmo a commentare uno sforzo vano, uno dei tanti nella carriera di Florenzi, se Borriello avesse deciso di appoggiare il pallone verso Gomis che era lì a due passi, invece di avventurarsi in un dribbling che è un moto di incredulità. L’impulso di Borriello a non scaricare la palla sembra una protesta, l’espressione di un pensiero del tipo: “Ma che davvero?”.

Animato dal sacro fuoco della fascia da capitano, Florenzi non perde il contatto e trova lo spazio per arpionargli il pallone tra le gambe in scivolata, poi si risolleva in una frazione di secondo e trova subito l’equilibrio per proteggere la palla con il corpo dall’arrivo di Mattiello. Un boato dell’Olimpico accompagna il primo gioco di suola e interno con cui la fa sparire la palla dal campo visivo del terzino, un secondo fragorosissimo boato accompagna il secondo gioco di suola ed esterno del piede con cui gliela fa passare sotto le gambe. Al termine della sua corsa folle, Florenzi frana sul corpo di Viviani, che era stato suo compagno nella Primavera e forse per questo ne ha letto meglio di tutti le intenzioni.

Tutte le partite di Milinkovic-Savic in questa prima parte di stagione sono state un’unica, meravigliosa distesa di grandi giocate. Si potrebbe dedicare questa stessa rubrica solo a Milinkovic-Savic, ogni settimana non faticheremmo a trovare almeno tre perle per ogni partita.

Abbiamo scelto questa giocata contro la Roma, che evidenzia la capacità di resistere ai contrasti e di vincere il duello fisico anche con un giocatore solitamente dominante come Nainggolan. La combinazione fra protezione della palla e colpo di tacco - cioè tra tecnica del corpo e tecnica del piede - riassume abbastanza bene la peculiarità di Milinkovic-Savic.

Milinkovic però è finito nella nostra rubrica quasi ogni settimana, con protezioni del pallone mai viste, tocchi di suola implausibili per la sua stazza, assist controintuitivi. È un giocatori così spiccatamente estetico che sarebbe stato quasi scorretto inserirlo nella classifica insieme agli altri. Questo elogio di Milinkovic vuole però anche essere un elogio alla Lazio 2017-18, una squadra che pur non essendo rimasta a qualche punto di distanza dal lotta Scudetto quest’anno sta esprimendo un gioco brillante, efficace ed esteticamente appagante; all’altezza delle squadre che la precedono, o l’hanno preceduta in classifica, e di cui magari si è parlato di più.

Dietro al successo della Lazio ci sono più cose. Anzitutto la capacità di chi ha trovato ed è riuscito ad arrivare per primo, o al momento giusto, su talenti assolutamente unici come Luis Alberto, Milinkovic-Savic, Felipe Anderson, De Vrij (per parlare solo di questa stagione). Poi il lavoro quotidiano che permette anche a molti altri giocatori di vivere, in questa Lazio, uno dei momenti migliori della propria carriera (Immobile, Luca Leiva, Lulic, Strakosha, Jordan Lukaku), quel lavoro che resta sempre fuori dalle inquadrature ma che permette di livellare verso l’alto le differenze all’interno di una rosa in cui la qualità è distribuita in maniera eterogenea.

Infine le idee di Simone Inzaghi che fanno della Lazio una delle squadre più moderne della Serie A, con un utilizzo degli half spaces e della profondità che diventa spesso indifendibile per le sue avversarie.