Da due mesi la squadra di Spalletti sembra essersi persa: cosa non funziona e cosa dovrà cambiare per tornare ad essere competitivi in campionato?
Una spirale di sfortunati eventi sembra aver attanagliato l’Inter negli ultimi due mesi. Tanto per cominciare Santon ha infilato una collana di errori abbastanza grossolani, che sono costati alla squadra di Spalletti i punti persi contro Udinese, Roma, e in parte anche quelli con la Fiorentina (e che, in seguito alle minacce ricevute per posta dai tifosi, hanno anche portato alla chiusura di un account Instagram, il suo); poi João Mário, l’acquisto più costoso della storia dell’Inter dopo Christian Vieri, è stato bocciato dal terzo allenatore consecutivo e spedito in prestito nel campionato inglese a gennaio (al suo posto è arrivato Rafinha, che non rappresenta certo una scommessa di più sicuro successo); infine Perisic, protagonista della prima metà di stagione con 7 gol e 6 assist, ha dimenticato talento e condizione atletica nell’anno passato, scivolando lentamente dal predominio verso l’irrilevanza (0 gol e 0 assist è il magro bottino raccolto negli ultimi 930 minuti di gioco).
È ovviamente una coincidenza, ma soltanto due mesi fa l’Inter vinceva 5-0 contro il Chievo e si confermava da sola in testa al campionato: Santon ha ispirato il primo gol ed emergeva come simbolo della rinascita dei giocatori di ruolo sotto la guida di Spalletti; João Mário ha cominciato la partita da titolare al fianco di Borja Valero; Perisic ha segnato tre gol al termine di una partita perfetta, confermandosi un attaccante aggiunto nel variegato arsenale offensivo a disposizione di Spalletti.
Dopo quella schiacciante affermazione di superiorità, dall’alto del primo posto in classifica, l’Inter ha iniziato a segnare pochissimo e ha del tutto smesso di vincere, senza mai meritarlo davvero, per altro. Al momento sono otto le partite consecutive senza vittorie (dieci se contiamo anche le due di Coppa Italia): sarebbe una cifra sconcertante, probabilmente un record storico, se solo non fosse successo ancora pochi mesi fa, tra la 29.esima e la 36.esima giornata dell’ultimo campionato, prima dell’esonero di Pioli. È ovviamente una coincidenza, ma anche allora la striscia negativa seguì una goleada, il netto 7-1 rifilato all’Atalanta di Gasperini.
Massimo Moratti, padre nobile dell’interismo, alle coincidenze ha fatto il callo, e ha imparato a rimpiazzare lo sgomento con la disillusione: «C’eravamo illusi, ma c’eravamo illusi su fatti reali, la squadra aveva giocato bene, aveva fatto punti. Ci rimani male perché ti eri riempito di speranze, il brutto è che non è la prima volta che capita all’Inter».
Anche quest’anno è arrivato il momento di chiedersi: cosa ne sarà di tutte quelle speranze? È ancora possibile recuperare l’Inter?
Dov'è finita la solidità difensiva?
Così come Roma e Napoli, l’Inter ha subito più di un gol soltanto in tre occasioni (alla Juventus è successo cinque volte, alla Lazio otto). Anche in questo lungo periodo di crisi, la squadra di Spalletti non ha mai subito un parziale pesante a eccezione della partita contro l’Udinese, indirizzata dagli errori individuali e dalla capacità di conversione dei friulani. Nel frattempo la linea a quattro ha continuamente cambiato interpreti (a causa degli infortuni) ma nel complesso la fase difensiva si è confermata all’altezza della posizione in classifica.
Nelle ultime otto partite, l’Inter ha concesso 12.5 tiri a partita, un dato molto vicino a quello registrato nelle quindici partite precedenti (12.1). I tiri in porta concessi hanno subito un aumento percentuale più marcato (da 2.9 a 3.9), mantenendosi comunque al di sotto della media di tutte le squadre del campionato (4.5). Se gli avversari sono stati leggermente più precisi, però, è perché l’Inter si è dimostrata più vulnerabile, si è fatta più facilmente sorprendere in transizione in parità numerica.
La distanza tra difesa e attacco, che viene a crearsi durante le fasi prolungate di possesso, è ormai accettata come parte integrante dell’identità tattica dell’Inter, più o meno da quando Miranda fu invitato ad accompagnare in avanti l’azione di pressing, e preferirono, Miranda e la dirigenza dell'Inter, accompagnare alla porta De Boer (e a questo va aggiunto che anche la Roma di Spalletti mostrava la tendenza a "spezzarsi in due" quando perdeva palla). Le incertezze nascono a monte e si propagano fino a valle, aprendo il campo alle transizioni avversarie: Udinese e Sassuolo hanno vinto così la partita, Lazio e Fiorentina ci sono andate molto vicino.
In fin dei conti, l’Inter ha concesso meno di quanto avrebbe potuto, un po’ per la qualità dei suoi difensori nell’uno contro uno - Miranda ha vinto il 93% dei contrasti che ha ingaggiato, Skriniar il 75%, ma ne ha ingaggiati più del doppio - un po’ grazie agli equilibri della linea ormai consolidati (se un terzino sale in sovrapposizione, l’altro rimane bloccato, e le distanze orizzontali sono sempre molto precise).
Dopo un’orribile palla persa da Gagliardini e Vecino, l’Inter si ritrova spaccata in due, esposta alla ripartenza della Fiorentina. Sono passati cinque minuti dall’inizio della partita.
Piuttosto, la fase difensiva ha pagato la diffusa incapacità di controllare le partite sul piano nervoso, quell’atteggiamento insicuro che ha permesso alla Spal di crederci fino alla fine e strappare il gol di testa al novantesimo, o al Crotone di chiudere la partita in attacco. L’Inter fatica a chiudere le partite, non riesce a congelare il possesso, e inevitabilmente si espone alla possibilità di subire un gol, quanto basta per allontanare lo spiraglio di una vittoria.
Le incertezze nel pressing
Dopo la vittoria contro il Chievo, Spalletti aveva elogiato lo spirito di sacrificio degli attaccanti in fase di non possesso: «Penso che l’emblema sia il secondo gol, Perisic è partito dalla sua fascia sinistra ed è venuto a creare un dubbio davanti alla mia panchina con una rincorsa eccezionale, dove poi loro sono stati costretti a tornare indietro, hanno perso palla e abbiamo fatto gol».
Due mesi dopo, la declinante condizione atletica della squadra si è portata via quelle «rincorse eccezionali» e quel che ne è rimasto sono iniziative di pressing individuale slegate dal contesto (lo erano anche prima, però adesso non funzionano).
Il gol segnato dal Crotone nell’ultima giornata è un compendio della confusione collettiva che avvolge l’Inter. L’azione inizia addirittura da Cordaz, passa per Mandragora, libero di ricevere, e ritorna da Capuano. A questo punto è evidente che i giocatori in campo non abbiano un’idea precisa di come gestire sul piano tattico e mentale questo momento della partita, in cui il Crotone ha alzato i ritmi e ha iniziato a creare pericoli, e ciascuno agisce per istinto personale.
Brozovic è già fuori posizione sul rinvio del portiere. All’improvviso, per qualche motivo, Vecino si stacca dal centrocampo e sale in ritardo a pressare il difensore centrale. Questo costringe Candreva a restare stretto sulla linea di passaggio per Benali, così il Crotone può appoggiarsi comodamente sul terzino sinistro per risalire il campo. A questo punto ci sono tre giocatori del Crotone (Benali, Barberis e Ricci) liberi di ricevere tra difesa e centrocampo dell’Inter.
Brozovic si muove in ritardo, poi Vecino sceglie di aggredire Capuano in solitaria: forse vuole lanciare un segnale, ma decisamente non viene recepito.
Una simile incertezza nel pressing aveva già portato al gol di El Shaarawy due settimane prima, quando Alisson era stato lasciato libero di controllare il pallone, alzare la testa e lanciare lungo, mentre la linea di difesa avanzava fino a centrocampo, trovandosi poi sorpresa in controtempo al momento di scappare all’indietro. Il quadro complessivo dipinge una squadra in cui i singoli interpretano spartiti differenti e incorrono spesso in problemi di comunicazione.
Anche nei suoi momenti migliori, l’Inter non ha mai controllato la partita attraverso il pressing e il recupero alto del pallone, ma riusciva se non altro a ritagliarsi quei venti/trenta minuti in cui imponeva la propria superiorità fisica e costringeva gli avversari a rimbalzare sul centrocampo. In vista del finale di stagione, Spalletti ha bisogno di recuperare la condizione degli uomini chiave, ma anche di indicazioni di marcatura un po’ più precise, per riaffinare quell’intesa collettiva che sembra perduta.
Anche in fase di riaggressione, emergono problemi di comunicazione: qui Gagliardini si ferma a guardare il pallone che passa da Simeone a Benassi mentre Chiesa gli sfila alle spalle (Santon è addirittura fuori inquadratura). Per la Fiorentina si apre un 3 contro 3.
Il periodaccio di Perisic e Candreva
Le uniche due sconfitte dell’Inter in questo campionato sono arrivate nel giro di una settimana, prima per mano dell’Udinese, poi per mano del Sassuolo. Candreva ha giocato entrambe le partite dal primo all’ultimo minuto, tentando 50 cross e azzeccandone appena 12. Il sabato successivo è uscito tra i fischi contro la Lazio, e da allora è sempre stato sostituito da Spalletti nel corso della partita.
Perisic, al contrario, è rimasto sempre in campo. Insieme a Skriniar e Handanovic, è l’unico giocatore ad aver giocato tutte le partite senza mai essere sostituito. Qualche indizio sulla sua stanchezza si poteva cogliere nella partita di sabato, quando Faraoni ha ripetutamente accompagnato sul fondo e fermato la controfigura di quel giocatore che a inizio stagione arrivava sul fondo e crossava quando e come voleva, per semplice imposizione della propria volontà.
Per ragioni strutturali, la produzione offensiva dell’Inter è vincolata allo stato di forma delle sue due ali. Il cross rappresenta lo sfogo naturale delle azioni a testa bassa di Candreva e Perisic, nonché la soluzione più semplice per raggiungere Icardi quando si trova, come spesso accade, chiuso da due difensori. L’Inter è di fatto la squadra che crossa di più in Europa, un esercizio spesso frustrante da osservare, eppure giustificato dall’architettura tattica della squadra.
Quando l’Inter attacca in velocità, e i cross piovono in area prima che la difesa possa dividersi gli spazi da occupare, diventa difficile arginare l’istinto finalizzatore di Icardi. Purtroppo, questa condizione negli ultimi due mesi non si è mai verificata. Confrontando ancora le prime 15 partite stagionali con le ultime 8, si nota come Perisic non abbia diminuito il proprio volume di giocate (l’unica variazione significativa si registra alla voce passaggi chiave, che è scesa da 2.5 a 1.5), ma sia peggiorato in tutte le voci relative all’efficienza o alla precisione: la percentuale di tiri in porta è scesa dal 34% al 25% e la precisione cross è scesa dal 16% al 13%.
Candreva, invece, ha addirittura aumentato la sua produzione, confermando la diffusa opinione che per ricavare qualcosa da Candreva sia necessario portarlo il più possibile al di fuori del suo spartito naturale. Sono aumentati i tiri tentati (da 1.8 a 3.2), i cross tentati (da 12 a 15) e nonostante questo sono calati i passaggi chiave (da 3.5 a 2.8). Ovvero, se nelle prime 15 giornate Candreva e Perisic creavano in un modo o nell’altro quasi 7 occasioni ogni 90 minuti, includendo nel calcolo anche gli assist, adesso ne creano poco più di 4. All’interno di questo margine oscillano i gol che sono mancati all’Inter negli ultimi due mesi.
Cosa cambiare?
Nelle ultime partite, Spalletti ha provato a ridurre progressivamente l’influenza delle ali sul gioco dell’Inter. Ha schierato una serie di ali ibride, come João Mário e Brozovic, oppure ha avanzato Cancelo mettendogli davanti Éder, libero di muoversi all’interno del campo da seconda punta. Il centrocampo dell’Inter continua a cambiare forma e interpreti, in attesa di vedere qualcosa che funzioni, eppure sembra stia consolidandosi il passaggio verso il 4-3-3 con Borja Valero schierato davanti alla difesa, posizione dalla quale riesce meglio a orientare ritmi e direzioni della manovra.
Contro il Crotone, le mezzali Brozovic e Vecino hanno accennato movimenti verticali negli spazi intermedi che hanno aumentato le opzioni di passaggio dell’Inter, anche se poi entrambi hanno faticato a imporre la proprio prestanza fisica e a riciclare con profitto i palloni lanciati nella loro direzione. Al posto di un abulico Brozovic potrebbe subentrare in formazione titolare Rafinha, che ha avuto un ottimo impatto nei pochi minuti che ha giocato, quantomeno per la predisposizione a liberarsi del pallone dopo pochi tocchi, velocizzando così la manovra.
Ad ogni modo, la qualità e la quantità dei movimenti senza palla delle mezzali saranno determinanti per la fase offensiva dell’Inter, che al momento ristagna per lunghi tratti nella propria metà campo in attesa di uno sfogo, che poi puntualmente si rivela essere un lancio lungo verso le ali, un tipo di passaggio che ormai tutte le difese sono pronte ad anticipare (si spiegano anche così le sorprendenti prestazioni difensive di Faraoni e Martella).
È anche una questione di cattive abitudini: in quest’occasione persino un regista esperto e saggio come Borja Valero si lascia attrarre dallo scatto in profondità di Candreva, che Martella copre agilmente.
In settimana è rimbalzata l'ipotesi di un’Inter senza Candreva e Perisic, con Rafinha trequartista alle spalle di Icardi e Éder, nella doppia variante 4-3-1-2 / 3-4-1-2. Non è detto che Spalletti debba necessariamente disegnare un’Inter senza Perisic e Candreva, che nel frattempo potrebbero anche recuperare una migliore condizione, ma proprio per accelerare questo recupero gioverebbe a entrambi un po’ di riposo.
Le prossime tre partite (Bologna in casa, Genoa fuori casa, Benevento in casa) dovrebbero consentire di sperimentare senza rimorsi. Spalletti dovrà ricostruire delle certezze intorno a Cancelo e Rafinha, uniche note positive emerse dalle ultime prestazioni, oltre che gli unici palleggiatori in rosa sufficientemente tecnici da poter sopperire anche a un calo di condizione senza perdere in efficacia. Intorno a loro si muoveranno i punti fermi di questa formazione: Skriniar, Icardi, Borja Valero davanti alla difesa.
A differenza delle passate stagioni, l’Inter è riuscita a sopravvivere a una striscia negativa con pochi precedenti senza compromettere gli obiettivi stagionali. «Adesso è il momento di capire che squadra vuole essere», come scrivevamo qualche settimana fa, per cancellare in fretta il ricordo di questi due mesi.