Per i 110 anni dell'Inter non può mancare un ricordo del "più interista di tutti", l'avvocato Peppino Prisco, una vita dedicata ai colori nerazzurri, diventato un "totem" per i tifosi, simpatico anche ai rivali. Dalle sue parole trae ispirazione l'inno del club e le sue battute storiche oggi più che mai rimbalzano sui social: "A Milano ci sono due squadre: l'Inter, e la Primavera dell’Inter..."
Era evidente che fossero fatti l'una per l'altro, già dal primissimo incontro, sul finire del 1946: Maria Irene "sbandierò" la sua passione per i canti degli alpini, dritta al cuore di quell'ufficiale delle "Penne Nere" sopravvissuto alla Campagna di Russia e medaglia d'argento al valor militare. Milanese, cresciuta in una famiglia borghese e di ideali profondamente monarchici, la ragazza gli confidò anche di amare lo sport, ma di preferire il tennis e lo sci al calcio, per cui Peppino aveva mostrato grande interesse. Fu così che - forse - per non deludere le aspettative di quel giovanissimo ma già brillante avvocato, pensando di fargli una gentilezza, di compiacerlo, aggiunse che sì, in effetti una simpatia per una squadra ce l'aveva: la Juventus. "Coosaa? Ma perché?!". "Perché è la squadra del nostro Re". "Ah sì, allora devo dirti che io tifo Inter e ho votato Repubblica!". Il 10 novembre del 1948 Giuseppe Prisco e Maria Irene De Vecchi - per tutti Lalla - si giurarono amore eterno nella Chiesa di Santa Francesca Romana, a Milano. Ma non per questo Peppino le risparmierà il suo sarcasmo, "dedicandole" - tra le altre - una di quelle battute rimaste nella leggenda: "Un giorno mi hanno chiesto se mio figlio Luigi tifasse per il Milan. Ho risposto: «Lui ha gli occhi azzurri ed è chiaro di capelli, mentre io sono scuro e con gli occhi neri. Se Luigi avesse tifato per il Milan, avrei chiesto la prova del sangue, perché, a quel punto, non mi sarei fidato nemmeno di mia moglie...».
Il primo amore non si scorda mai
Peppino Prisco - scomparso il 10 dicembre del 2001 - sarà per sempre "L'Interista", quello per antonomasia, il più amato dai tifosi nerazzurri che, ora più mai, per i 110 anni dalla nascita del club, condividono sui social - non senza un filo di nostalgia - le sue mitiche freddure.
Il principe del Foro meneghino si divertiva a raccontare come nacque il suo amore per l'Inter: "Abitavamo ancora in corso Buenos Aires, al numero civico 66, dove sono nato. La domenica sera venivano a trovarci gli zii. Era la primavera del 1930, arrivarono con un pacchetto di dolci Alemagna. Mio padre quasi si offese: «Ma come, siete nostri ospiti e portate voi i dolci...». Loro spiegarono: «Eh no, bisogna festeggiare l'Inter che ha sconfitto il Milan nel derby. Noi in queste occasioni facciamo sempre festa». Ufficialmente era l'Ambrosiana, ma loro la chiamavano Inter. Per la prima volta sentivo parlare di Inter e Milan".
Meazza e l'ultimo regalo di Ronaldo
La sua prima partita - all'Arena Civica - fu un Inter-Napoli 6-1, un altro "derby" per la famiglia Prisco, di origini partenopee (il papà era di Torre Annunziata). Peppino andava pazzo per Meazza, che conobbe personalmente proprio in quel 1946, quando conobbe Lalla e divenne anche socio della squadra. Dopo Pepìn, a distanza di 60 anni ecco Ronaldo, il Fenomeno, per cui l'avvocato perde letteralmente la brocca: "Credo che gli sia piaciuto molto Ronaldo - è la teoria del figlio Luigi Maria - soprattutto perché gli ricordava tanto Meazza, entrambi dribblavano spesso il portiere prima di andare a rete e quel gesto lo faceva gasare parecchio". Così tanto che Prisco non si separava mai dal "suo" brasiliano: "Chiedo scusa ai miei genitori, ma in mezzo alla foto di loro due io porto sempre quella di Ronaldo". E il Fenomeno gli farà un ultimo regalo, aprendo le marcature nel 3-1 di Brescia, proprio il giorno prima della sua morte, a 80 anni appena compiuti. Al funerale, il presidente Massimo Moratti dirà: "Prisco è morto di gioia".
"Sempre e Solo l'Inter"
Segretario dal 1949, consigliere dal 1950 e vicepresidente dal 23 luglio 1963, il penalista è stato l'uomo di fiducia, il legale (clamoroso il ricorso vinto per la lattina lanciata a Bordon nel '71 a Moenchengladbach) e il braccio destro di cinque presidenti, ma con un'unica missione: "Servire sempre e solo l'Inter". Una massima che incarna l'appartenenza nerazzurra, un dogma, fino a diventare l'inno del club, orgoglioso del suo Dna: "I tifosi interisti non si preoccupino: dopo tanti anni in questa società, posso affermare che la Serie B non è nel nostro codice genetico".
"A Milano? L’Inter. E La Primavera dell’Inter..."
Gli stessi interisti che si tramandano di padre in figlio le sue "sentenze" su Milan e Juventus. In ordine sparso:
"L'Inter nacque da una scissione del Milan: ecco la dimostrazione che si può fare qualcosa di importante partendo da niente!".
"A Milano ci sono due squadre: l’Inter, e la Primavera dell’Inter".
"Prima di morire mi faccio la tessera del Milan, così sparisce uno di loro".
"Il Milan è andato in B due volte. La prima a pagamento. La seconda, come dicono a Milano, a gratis".
"Se stringo la mano a un milanista mi lavo le mani, se stringo la mano a uno juventino mi conto le dita".
"Il mio sogno? L’Inter batte la Juve a tempo scaduto con un gol segnato in fuorigioco o con la mano. Meglio se in fuorigioco e con la mano
"A Torino voglio un arbitro daltonico".
“Lo 0-6 nel derby? Non me lo ricordo… e poi i giornalisti ne inventano sempre tante...".
"Il vero interista è interista solo al 20 per cento, all'80 per cento è antimilanista".
"Io sono contro ogni forma di razzismo, ma mia figlia in sposa a un giocatore del Milan non la darei mai".
Il rispetto dei rivali
Quando morì, il presidente onorario della Juventus Giampiero Boniperti volle ricordarlo così: "Più che un rivale, l’avvocato Prisco fu un grande compagno di viaggio in un calcio romantico che oggi non esiste più. Difensore straordinario della sua Inter che aveva nel cuore, con stile e ironia sapeva trasformarsi in attaccante: pronto alla battaglia dialettica, ma sempre con classe e in guanti bianchi". E il rossonero Diego Abatantuono, con rammarico: "I milanisti non hanno un Prisco: è la cosa che invidiavo di più all'Inter. Era unico nel suo genere e nella sua storia".
La gioia più grande
Da dirigente ha contribuito alla vittoria di 6 scudetti, 2 Coppe dei Campioni, 2 Coppe Intercontinentali, 3 Coppe Uefa, 2 Coppe Italia e una Supercoppa Italiana. Ma il suo ricordo più bello resta la notte di Vienna, nel 1964. "Anche mia figlia Anna Maria amava seguire lo sport. Spesso mi accompagnava a San Siro e ovviamente è interista da sempre: la strada tracciata da me e dal fratello maggiore è stata basilare nella sua educazione calcistica. Nella sua cameretta, fino al periodo delle scuole medie, teneva appesi al muro i poster di Corso e di Mazzola, ma poi è cresciuta e mi ha deluso un po' perché li ha sostituiti con gigantografie di cantanti e attori. Ma non tradirebbe mai l'Inter. Quando la sera del 27 maggio 1964, gonfio di felicità dopo la vittoria in Coppa dei Campioni a Vienna, tornai nella camera d'albergo e telefonai a casa. Rispose lei e mi disse: «Ciao, papà: ti mando un bacio. Saluta tutti i giocatori dell'Inter». Non aveva neanche quattro anni, li avrebbe compiuti l'8 giugno, e al sentire la sua "vocina" piansi come un bambino".