Accadde oggi: Ronaldo torna (rossonero) a San Siro

Serie A

Domenico Motisi

Era l’11 marzo 2007, dopo aver lasciato tra le lacrime l’Inter nel 2002, il Fenomeno ritorna al Meazza. Lo fa però con la maglia del Milan e impiega 40 minuti per segnare ed esultare sotto la Nord. Quel derby lo vinceranno i nerazzurri ma più che la sconfitta il brasiliano ricorderà l’accoglienza e i fischi dei tifosi "traditi"

"L'uomo della domenica" dedicato ai 110 anni dell'Inter oggi alle 23.45 su Sky SuperCalcio

L’Inter compie 110 anni di storia e a Milano, nel giorno del match contro il Napoli, sono presenti numerose leggende nerazzurre del presente e del passato. Tra queste non poteva mancarne una: Ronaldo. Il Fenomeno è stato forse l’attaccante più forte in questi 110 anni di storia nerazzurra e se oggi non è anche quello più amato il motivo va ricercato proprio in un 11 marzo, proprio come oggi, ma del 2007. Quando i tifosi dell’Inter, dal 1997 al 2002, cantavano il coro "Il Fenomeno ce l’abbiamo noi, sono ca… tuoi", mai avrebbero pensato che - cinque anni dopo averlo visto partire direzione Madrid - la curva opposta, quella del Milan, avrebbe potuto rispondere con "Il Fenomeno è tornato qua, non avrà pietà, lui vi punirà". Eppure, esattamente 11 anni fa, non solo quel coro è partito dalla Sud rossonera, ma si è anche rivelato profetico.

Fischi (d’amore) e gol

Non era il primo e neppure l’ultimo giocatore dell’Inter a passare al Milan, ma i calciatori non sono tutti uguali e neppure i loro trasferimenti. L’11 marzo 2007 a San Siro torna Ronaldo, il Fenomeno, e lo fa con la maglia rossonera dopo i cinque anni da idolo nerazzurro e la parentesi da galáctico al Bernabéu. Già nel riscaldamento i cori e i fischi sono tutti per lui, ma se sei il Fenomeno un motivo deve pur esserci: così, quando Ronaldo al 40’ del primo tempo prende palla, punta la difesa dell’Inter e si avvicina all’area di rigore, la Nord sa già come andrà a finire. Troppe volte avevano visto quel brasiliano partire da lontano per poi finire sotto la curva ad esultare. L’unica novità è che questa volta non c’è nulla da festeggiare, almeno non per i tifosi nerazzurri: Ronaldo aveva segnato non per, ma contro l’Inter. L’incubo si materializza, il sinistro di Ronnie fulmina Julio Cesar, la Sud è lontana 100 metri ed esplode di gioia, il brasiliano si porta le mani alle orecchie invitando i suoi ex tifosi della Nord a fischiare ancora più forte. Sotto quella stessa curva, nel secondo tempo, Cruz e Ibra ribalteranno il derby regalando i tre punti all’Inter e rendendo molto meno amaro il ritorno del Fenomeno a San Siro. Era la prima e fu anche e l’unica volta di Ronnie contro la sua Inter. 

Ibra in adorazione

Quella domenica di 11 anni fa, non tutti i presenti allo stadio in maglia nerazzurra guardano Ronaldo con disprezzo fischiandolo e insultandolo. Ce n’è uno, non esattamente uno qualunque, che in realtà lo fissa, cerca il suo sguardo ma lo fa con rispetto, ammirazione, quasi adorazione. Quel qualcuno era colui che decise quella partita a favore dell’Inter, aveva la maglia numero otto ed era Zlatan Ibrahimovic. Lo svedese non ha mai nascosto la sua passione per il Fenomeno e ha sempre ammesso di essersi ispirato al brasiliano: "Nessuno era come Ronaldo, non ci sarà mai uno più forte e io volevo essere proprio come lui". Quel giorno si incontrano per la prima volta, segnano entrambi anche se il derby lo porta a casa Zlatan. Ronaldo non è più il fuoriclasse immenso di cui il giovane svedese aveva il poster in casa, non fa più quei dribbling a velocità supersonica che il gigante di Malmö provava da ragazzino in allenamento, ma gli idoli sono idoli, anche con qualche chilo in più e con la maglia della rivale più odiata. Così anche quell’11 marzo, proprio come aveva sempre fatto fin da bambino, Ibrahimovic studia bene le mosse di Ronnie, fin toppo bene, diranno poi i tifosi nerazzurri, visto che qualche anno dopo anche lui passerà sull’altra sponda del Naviglio (segnando ed esultando sotto la Nord). Proprio come il suo idolo.

Ronaldo all’Inter

C’è modo e modo di ritornare da ex. Se è vero che la quantità di fischi e di insulti ricevuti sono direttamente proporzionali all’amore che quegli stessi tifosi hanno provato in passato, non è difficile capire cosa sia stato Ronaldo per l’Inter. Quando nell’estate del 1997 Massimo Moratti decide di portare il brasiliano a Milano, facendo un regalo al mondo nerazzurro e a se stesso, Ronnie era per distacco il calciatore più forte e più desiderato al mondo. Tra il 1996 e il 2002 nessuno si è neppure avvicinato al Fenomeno per qualità, velocità, tecnica e capacità di portare il calcio nell’era moderna. Ronaldo era Ronaldo, tutti lo conoscevano e tutti lo temevano. Tutti tranne i suoi compagni, che al massimo venivano umiliati in allenamento ma consapevoli che questo trattamento non sarebbe toccato loro in mondovisione la domenica. Inevitabile, quindi, che i tifosi dell’Inter si siano da subito legati a Ronnie: i suoi gol, i suoi dribbling, ma anche i suoi infortuni e i suoi calvari hanno unito una tifoseria che forse non ha gioito quanto avrebbe potuto e voluto ma potevano sempre dire di aver dalla loro parte il Fenomeno. Il vero Fenomeno.

Sì, perché Ronaldo in carriera ha giocato per diverse squadre: Cruzeiro da sedicenne, Psv e Barcellona prima dell’Inter, Real Madrid, Milan e Corinthians dopo, ma se c’è un dogma gelosamente custodito dai tifosi nerazzurri è che il Fenomeno, quello vero, non ha mai indossato nessun’altra maglia. Quello di Madrid? Un grande, ma nulla a che vedere con l’originale. Quello di ritorno a Milano, sponda rossonera, era poi lontano anni luce alla stella che aveva vinto due Palloni d’oro. Lo stesso Ronaldo dirà poi che in quel gennaio del 2007 si era offerto all’Inter prima di accettare l’offerta del Milan e che quella esultanza polemica era dovuta proprio al rifiuto del club nerazzurro che non volle riportarlo alla Pinetina. Adesso, per i 110 anni del club nerazzurro, il Fenomeno è comunque tra le leggende, magari non è la più amata, ma forse era proprio così che doveva andare: almeno i suoi tifosi potranno dire per sempre che il Fenomeno, il vero Fenomeno, ha giocato solo per loro.