Totti-Amarcord: 25 anni fa il primo "ciak" di una carriera da Oscar
Serie AFrancesco Totti esordì in Serie A il 28 marzo del 1993 a Brescia, alla vigilia della serata in cui Federico Fellini sarà premiato a Los Angeles con l'Oscar alla carriera. E cosa fu per la Roma se non l'inizio di una nuova, Dolce Vita? Mai come oggi, a 25 anni di distanza, il più autentico e "magico" degli Amarcord...
La scena finale è la stessa, quella di un uomo smarrito: Marcello vaga, stanco dell'ennesima nottata romana, su di una spiaggia; Francesco calpesta un prato verde senza meta. Entrambi hanno una "visione": c'è una bambina, un piccolo angelo biondo dinanzi a loro, intravedono la salvezza, ma non possono captarne la voce, il frastuono delle onde, quel fiume di lacrime in piena impedisce di afferrarne la mano, di aggrapparsi a uno scoglio. "Non capisco, non si sente!".
Amarcord
L'attore protagonista del nostro déjà-vu ricorda anche un po' il ragazzino che Federico Fellini scelse per rappresentare sé stesso nel suo di Amarcord, che poi è quello autentico, il titolo di un capolavoro che diventerà un neologismo diffuso nella letteratura popolare: dal dialetto romagnolo "a m'arcord", io mi ricordo, un'immagine carica di sentimenti, figlia della poetica vernacolare di Tonino Guerra, che profuma di nostalgia, che si riferisce a un periodo dell'esistenza indelebilmente impresso nella memoria di chi l'ha vissuta.
Lo Sceicco Bianco
Le analogie tra Francesco Totti e il regista riminese sarebbero talmente tante - a fantasticare un po' - che un film, da solo, non basterebbe. A cominciare da una data: il 28 marzo del 1993 - esattamente un quarto di secolo fa - Francesco esordiva con la maglia giallorossa in Serie A, a Brescia, e proprio alla vigilia della consegna dell'Oscar alla carriera a Fellini, che meglio di chiunque altro restituì uno splendore universale alla bellezza di Roma con la sua Dolce Vita e che aveva cominciato la sua carriera dirigendo il più romano - e romanista - degli interpreti: lo "Sceicco Bianco" Alberto Sordi. Insomma, una sorta di passaggio del testimone tra due geni, accomunati essenzialmente da un tratto distintivo: la capacità unica di far sognare, al cinema come in un campo di calcio.
The visionary is the only true realist
Il discorso di Fellini a Los Angeles durò più o meno quanto l'apparizione del calciatore a Brescia: due, tre minuti, appena il tempo di fare la Storia. La sera del 29 marzo il cineasta riceve la statuetta dalle mani di Sofia Loren e Marcello Mastroianni, il suo attore-feticcio, in una recita esilarante, il trionfo del made in Italy. Accolto dalla standing ovation del teatro Dorothy Pavillon, dallo sguardo incantato di un giovanissimo Robert Downey Jr., ammette: "Che posso dire? Bè, non me lo aspettavo davvero. O forse sì...". Un po' quello che Totti deve aver pensato qualche ora prima al "teatro" Rigamonti...
Il Principe e Gradisca
Francesco scalpitava, voleva diventare grande, proprio come il Titta di Amarcord, rimasto nell'immaginario collettivo per i suoi turbamenti adolescenziali, la goffa figura nella scena epica con l'abbondante e ruspante tabaccaia, la "passione" per una donna inarrivabile, devota a un principe, da lì "Gradisca". Totti fremeva su quella panchina, devoto a un altro principe, del pallone: Giuseppe Giannini. Finché, a una manciata di minuti dal termine, con i giallorossi di Vujadin Boskov in vantaggio 2-0 grazie ai gol di Caniggia e alla solita punizione d'antologia di Sinisa Mihajlovic, non sarà proprio il serbo a suggerire all'allenatore - e connazionale - che forse il momento era maturo: "Mister, fai entrare il ragazzino". Racconterà Francesco: "Quando Boskov mi ha detto «scaldati» pensavo ce l'avesse con Muzzi, seduto accanto a me. Non ci credevo, fu un'emozione indescrivibile".
Il Rex
In assenza di "rilflessi filmati" - gli highlights dell'epoca - ci affideremo alla radiocronaca di Alberto Mandolesi, storico giornalista romano, che intuì perfettamente la portata di quell'evento. "Siamo a un minuto esatto dalla fine della partita, un attimo fa doppio cambio da parte di Boskov: è entrato Salsano al posto di Giannini, che tra l'altro sembra non aver gradito, non si è voluto sedere neppure in panchina accanto al suo allenatore, e poi... e questo diciamo è il fatto storico, vogliamo un po' esagerare, è uscito Rizzitelli e ha lasciato il posto al giovane Francesco Totti, che conosce il suo esordio in una giornata di gloria romanista, e scusate la retorica...". Qualcosa di fellinianamente paragonabile alla reazione dei bambini di Amarcord alla "visione" del transatlantico Rex...
Totti 8½
D'altronde, da degno erede di Giulio Cesare, il talento di quel ragazzino aveva già navigato oltre i confini capitolini con intenti "imperialistici", spingendosi alla conquista della Britannia per riscrivere il suo personalissimo - ma amichevole, perché era un'amichevole - De Bello Gallico: il 6 giugno del 1992, da capitano più che generale dell'Under-16 azzurra, aveva trafitto il portierino inglese calciando di forza un rigore, a Wembley. Niente "spoon" e non indossava ancora la 10, come l'altra sera Lorenzo Insigne, ma la maglia numero 8: e se Platini considerava Roberto Baggio un 9 e mezzo, è fin troppo semplice immaginare che per Fellini quel Totti lì sarebbe stato un "8½", come il suo film più rappresentativo, che nel 1963 gli valse il terzo Oscar dopo quelli ricevuti per "La Strada" nel 1957 e "Le notti di Cabiria" l'anno successivo.
Un marziano a Roma
Dopo il gol nel Tempio anche Totti si ripeterà, agli "Oscar" del calcio: il 22 agosto del 1993 firma un piccolo capolavoro al Messico ai Mondiali Under-17 nel Giappone di un altro imperatore, del cinema, amato alla follia da Fellini: Akira Kurosawa. Ma è l'incontro con il "plebeo" Carletto Mazzone che segna un punto di svolta nella formazione di Francesco: è con il tecnico romano che "Una meravigliosa domenica" - per citare ancora Kurosawa - il ragazzino si trasforma in un "samurai" realizzando al Foggia la sua prima rete in Serie A, il 4 settembre del 1994 all'Olimpico. E da quel giorno si perderà il conto, o quasi: 784 le gare ufficiali disputate in maglia giallorossa, 306 le reti, di cui 250 in campionato, il secondo marcatore di sempre alle spalle di Silvio Piola. Lo Scudetto del 2001, le coppe. Il Mondiale, la Scarpa d'oro.
"Un marziano a Roma" per parafrasare il breve racconto di Ennio Flaiano, che fu importante per Fellini tanto quanto l'incontro di Mazzone per Totti. Eppure "il peggio che può capitare a un genio è di essere compreso" diceva Flaiano, che sceneggiò - tra gli altri - la Dolce vita e 8½. Ma a ben ricordare la passerella trionfale del 28 maggio, che abbiamo ancora negli occhi come la marcetta di Nino Rota nel finale di 8½, pare che si siano fatti "sgamare".