L'assist di Insigne per Milik, la clamorosa parata con cui Consigli ha negato la vittoria al Milan all'ultimo secondo e altre meraviglie da questa emozionante giornata di campionato
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Nella 31^ giornata le grandi giocate si sono concentrate a ridosso della fine delle partite, come se l'urgenza di momenti decisivi che svoltassero i risultati abbia migliorato all'improvviso le qualità tecniche dei giocatori. Accanto a queste giocate fondamentali per la classifica, ce ne sono altre invece del tutto estemporanee, che rispecchiano invece la confusione mentale in cui si trovano certe squadre. Come ogni giornata, quindi, le giocate non si limitano a mostrarci il lato più estetico del calcio, ma sono un punctum da cui partire per analizzare situazioni più grandi e complesse.
Un mese fa la Roma batteva il Napoli e lo Shakhtar Donetsk, passava gli ottavi di finale di Champions League e metteva una seria ipoteca sul terzo posto. Un mese dopo, in quest’altalena infinita che è la stagione dei giallorossi, la Roma è quasi fuori dalla Champions League e sembra la meno in forma tra le tre squadre che si stanno giocando i primi quattro posti.
Il termometro della salute della Roma è stato quest’anno il reparto offensivo, che nei momenti più cupi di forma è sembrato del tutto senza idee. In assenza di meccanismi consolidati per segnare, la Roma deve affidarsi esageratamente alle proprie individualità. È forse in questo modo che si spiega, almeno in parte, la sproporzione fra xG (per cui la Roma è prima in Serie A) e gol effettivamente segnati (quarto attacco): i giocatori giallorossi arrivano alla conclusione spesso in situazioni precarie, dopo azioni personali o sforzi individuali eccessivi.
Anche in una partita quasi del tutto negativa come quella di sabato, la Roma ha messo in mostra alcune giocate individuali degne di nota. Il dribbling di tacco di Alisson, ad esempio, o il disimpegno con ruleta di Juan Jesus in un momento particolarmente pazzo del secondo tempo. Quest’azione di Florenzi è piuttosto rappresentativa dello sforzo che il sistema della Roma richiede ai propri giocatori per creare superiorità numerica (la Roma è la quarta squadra in Serie A per dribbling a partita).
Florenzi dribbla Biraghi senza neanche toccare il pallone, gli va incontro facendo finta di ricevere ma poi apre le gambe e la lascia passare sotto quelle di Biraghi, una specie di doppio tunnel. Niente di troppo assurdo per un giocatore che in partita prova di continuo, e spesso all’improvviso, giocate ambiziose. Poi Florenzi sbaglia il cross, ma anche perché la Roma occupa male l’area di rigore. Florenzi in particolare è tratto in inganno dal movimento di Dzeko, che prima fa per offrirgli lo scarico all’indietro, ma poi per qualche ragione scappa dietro ai difensori della Fiorentina. Non una situazione inusuale per Dzeko, che - per quanto suoni paradossale per un centravanti che lo scorso anno ha segnato 40 gol - non ha mai brillato per movimenti in area di rigore.
Tempo fa scrissi di venti secondi di un Manchester City-Queens Park Rangers del 1993, chiedendomi se si fosse trattato dei venti secondi peggiori di calcio di sempre. Si trattava di un’azione da calcio d’angolo particolarmente confusa, con il portiere del City che a un certo punto invece di prendere la palla con le mani rinvia fortissimo addosso a un suo compagno di squadra, la palla ribattuta finisce tra i piedi di un attaccante che, a porta vuota, in una pozza di fango, da terra, riesce non si sa bene come a calciare fuori. Credo di non essere l’unico con il gusto del brutto. Il vero brutto è inconsapevole, involontario, è un castigo per gli esseri umani che lo generano (a differenza del kitch, ad esempio, che è un moto di libertà, una scelta). Ecco, siamo ad aprile, la maggior parte della Serie A 2017-18 è alle nostre spalle, e penso di poter dire che questo minuto e 40 secondi alla fine di Roma-Fiorentina è forse uno dei più brutti momenti di calcio di questa Serie A.
Prima di tutto per lo stato psicologico delle due squadre. La Roma è in totale ed evidente confusione e la Fiorentina non vuole assolutamente, costi quel che costi, giocare a calcio. Non c’è un giocatore connesso con un altro, il calcio per come lo conosciamo improvvisamente sparisce e lascia spazio a un dramma interiore di undici persone disperate che sembrano giocare contro vento, e undici persone in modalità sopravvivenza, che vivono un secondo alla volta, una palla spazzata dopo l’altra. L’azione comincia con un bel recupero di Nainggolan e una bella sponda di Dzeko. La locura comincia quando Florenzi, senza un’apparente ragione, calcia altissimo il pallone, trasformandolo in un aquilone.
Ecco la breve catena di eventi che ne segue, un trionfo di errori tecnici e sbavature nella totale assenza di idee su come in teoria bisogna giocare a calcio:
Pezzella respinge di testa, Fazio sbaglia lo stop e la palla arriva a Juan Jesus, che passa a Gonalons che nel panico gliela ridà;
Juan Jesus sotto pressione calcia lontano;
Vitor Hugo colpisce di testa cadendo, la palla sbatte su Dzeko e torna a Vitor Hugo che, rialzandosi, calcia di nuovo il più lontano possibile;
Juan Jesus controlla male all’indietro e con l’uomo addosso decide di passarla ad Alisson, che calcia precisamente sui piedi di Laurini, che di prima, senza pensarci, gliela ridà di piatto (mettiamola in altri termini: il portiere di una squadra e il terzino dell’altra si sono appena scambiati la palla con due lanci di una quarantina metri ciascuno);
Alisson controlla di collo verso Fazio per evitare il pressing di Falcinelli, Fazio di suola controlla male e per evitare di perdere palla la ridà ad Alisson;
Alisson la passa a Juan Jesus che sbaglia il passaggio per El Shaarawy, la palla arriva a Benassi che, con i crampi e i calzettoni abbassati, prova a tirare in porta;
La palla torna a Fazio che parte palla al piede a testa bassa come un uomo che prende la rincorsa per provare a passare attraverso un muro. Prima di perdere palla se ne libera, mettendo in difficoltà Bruno Peres;
Seguono pochi secondi normali effettivamente i giocatori della Roma provano a passarsi la palla. Poi, di nuovo, Vitor Hugo spazza lontanissimo.
Qui forse c’è il gesto tecnico peggiore di tutti: Juan Jesus prova a stoppare la palla che gli sta venendo incontro con la suola, con la gamba testa davanti. Ovviamente la perde e la Fiorentina, dopo un passaggio, lancia di nuovo lungo a caso;
L’azione finisce con un lancio di Alisson che finisce sul fondo, troppo lungo per Schick che salta di testa con l’aria di uno che non vuole che gli si dica che non si impegna.
I più grandi amanti delle giocate lo sanno: le giocate migliori sono anche le più originali. Il terzino si era mosso verso la porta ma il cross di Ljajic era indietro e lo aveva preso in controtempo, allora si è coordinato in un attimo col sinistro - il suo piede debole - per girare la palla in porta nell’unico modo possibile. Non è né un tiro né una rovesciata, sembra quasi un movimento da difensore che spazza l’area di rigore, girato al contrario.
È incredibile che Handanovic sia riuscito a pararla, soprattutto perché la folla di giocatori in area gli copriva sicuramente la visuale. Handanovic è conosciuto più come un portiere di posizionamento ma qui fa una parata spettacolare, di pura reattività.
L’assist per il gol che ha riaperto la partita e, di fatto, il campionato, è anzitutto un ottimo esempio delle responsabilità che è chiamato a prendersi Lorenzo Insigne in questo Napoli. All’inizio di questa stagione Sarri sembrava aver trovato la soluzione per la sterilità offensiva che a un certo punto di quella precedente aveva bloccato la sua squadra. Contro squadre chiuse, che coprono il centro compatte con le linee di difesa e centrocampo vicine, si usavano le fasce. L’ampiezza e la profondità, grazie alla serie di scambi di posizione e alla palla sempre in movimento, erano legate indissolubilmente e l’abito delle squadre avversarie era letteralmente tirato da tutti gli angoli, fino a lacerarsi. Poi qualcosa è cambiato. Sarebbe riduttivo cercare una spiegazione in poche righe, ma il gol di Milik, così eccezionale e irripetibile, in un certo senso è la cartina di tornasole dei problemi dell’attacco che sta avendo, di nuovo, il Napoli.
Insigne deve abbassarsi dietro i dieci giocatori del Chievo e anche se la palla sul secondo palo è un suo cavallo di battaglia (di solito per Callejon) in questo caso era più difficile colpire la difesa alle spalle. Il movimento dei difensori è effettuato in tempo e lo spazio tra Bani, quello davanti a Milik, e il portiere è strettissimo. Bani sta correndo guardando verso la propria porta e palle del genere vanno intercettate correndo all’indietro, ma anche se avesse corso guardando la palla arrivare probabilmente non ci sarebbe arrivato, tanto era preciso il drone guidato da Insigne. Anche il gesto tecnico di Milik è di pregevole fattura: la palla arriva scarica sulla sua testa e il portiere sul primo palo avrebbe parato una schiacciata, il colpo lento sul secondo palo però è sempre rischioso e Sorrentino riesce a toccarlo senza però deviarne la traiettoria.
Insigne è cresciuto moltissimo con Sarri. È diventato un giocatore di sistema, ha imparato ad entrare in sintonia con i propri compagni e a cercare, all’interno del proprio repertorio, le giocate più utili per la “causa”. Questo gol è un esempio delle sue responsabilità individuali, ma anche della qualità peculiare del suo gioco, che a differenza di altri trequartisti e seconde punte ha sempre bisogno di almeno un compagno per brillare al proprio massimo.
In quest’azione con cui il Milan stava per completare la rimonta sul Sassuolo al 95’ ci sono almeno tre cose straordinarie. La prima, quasi ipnotica, è il crollo di Lemos, che manca l’intervento di testa in modo quasi inconcepibile. Lemos fa una specie di saltello sul posto ridicolo, afflosciandosi poi al suolo come un teletubbies. (Quello di Lemos, protagonista anche nel 7 a 1 subito dal Sassuolo contro la Juventus, è forse l’impatto con la Serie A più disastroso di sempre). La seconda cosa è la concentrazione affilata con cui Bonaventura stoppa la palla e carica il tiro di esterno destro. La perfezione con cui raccoglie la concentrazione e tira nel modo migliore trasmette la netta sensazione di uno “screamer”, cioè del tiro che diventa decisivo all’ultimo istante disponibile. La parata di Consigli però è pazzesca, soprattutto perché è più difficile prendere una palla che scende di una che sale, e la parabola del tiro di Bonaventura era discendente, e Consigli riesce a scendere con la mano sinistra, senza neanche avere il tempo per fare un saltello preparatorio, limitandosi a distendersi.
Forse è proprio il fatto che fosse l’ultimo istante di tempo disponibile per cambiare il risultato della partita ha affilato i gesti tecnici dei giocatori.
Mohamed Fares ha esordito in Serie A ormai 4 anni fa, nonostante abbia appena 22 anni. Da quando è arrivato al Verona dalle giovanili del Bordeaux ha progressivamente abbassato la sua posizione. Fares nasce ala d’attacco ma la sua attitudine al sacrificio, unita a un grande atletismo, lo ha trasformato col tempo in un terzino di impronta offensiva.
È in questo ruolo che Fares ha guadagnato sempre più spazio e attenzione con la maglia del Verona, fino a guadagnarsi l’interesse del Napoli a gennaio, che sembrava potesse prenderlo per sostituire l’infortunato Ghoulam. Fares rimane però modellabile come creta, e Pecchia - nell’allucinante stagione tattica del Verona - lo ha schierato addirittura centravanti, unica punta, contro il Cagliari, nella partita che ha sancito il ritorno degli “scaligeri” nella corsa per la salvezza. In un attacco dal sapore distopico, con Cerci a destra e Aarons a sinistra, Fares ha in sostanza giocato da cavallo pazzo: contendendo ogni pallone sporco che passava per aria, e portando verso la porta ogni pallone che viaggiava via terra.
Il tutto impreziosito da alcune giocate sopra le righe. In occasione del gol annullato al Verona, ad esempio, ha colpito la palla con un tacco sinistro così anti-convenzionale che ci sono voluti un po’ di replay per capire cosa fosse. In quest’azione esegue una ruleta fra due giocatori, conduce palla con l’esterno sinistro ma per non scoprirla non può portarsela col suo piede forte, e allora tira col destro. Un tiro forte e onesto.
Visti i buoni risultati, e la generale mancanza di alternative di Pecchia - che ieri aveva in panchina solo il totalmente sterile Petkovic - non è detto che Fares non giocherà da centravanti quest’ultimo scorcio di stagione. Prepariamoci ad altre cavalcate pazze.