Il tridente offensivo per inserire Cristiano Ronaldo, la squadra fluida in assenza di Mandzukic, le difficoltà a resistere al pressing avversario dei primi mesi del 2019, il ritorno alla difesa a tre: in questo campionato la Juventus ha cambiato pelle diverse volte
Nel corso del quinquennio di Allegri sulla panchina della Juve ogni stagione è stata caratterizzata da uno o più cambiamenti tattici, se non addirittura in netta discontinuità con quanto proposto sino a quel momento. Cambiamenti quasi sempre decisivi ai fini del risultato finale delle singole partite o, quantomeno, nel copione della stagione, delineandone i protagonisti, le comparse, gli scartati e i rimandati, influenzando di conseguenza anche scelte importanti del mercato in entrata e uscita dell’anno successivo.
L’adozione del rombo nel 2014/15; il ritorno all’utilizzo di 3 difensori e 3 mediani in un sistema ibrido tra 3-5-2 e 4-4-2 nella stagione successiva; il 4-2-3-1 / 3-4-3 che ha chiuso la stagione 16/17; il ritorno al centrocampo a tre dello scorso anno: sono stati tutti cambiamenti abbastanza evidenti e significativi del sistema. Nell’anno dell’ottavo scudetto consecutivo (il quinto di Allegri), la Juventus ha mutato pelle diverse volte, mantenendo intatti i principi di base del suo modello di gioco: la circolazione paziente e avvolgente, spesso a due tocchi, il gioco lungo per sfruttare fisicità e seconde palle, le verticalizzazioni dalla difesa, i centrocampisti tuttofare deputati a dare ampiezza, riempire l’area, rifinire, e la difesa posizionale orientata al controllo delle linee di passaggio e così via.
I tipi di passaggio più frequenti di tutte le Juventus degli otto scudetti: evidente la differenza tra il periodo di Conte e quello di Allegri, per lunghezza delle palle giocate, del baricentro e delle lunghezze (che a loro volta variano molto a seconda dell’annata). Ne viene fuori il ritratto di una squadra abituata a ricercare il cambio campo, a giocare passaggi anche lunghissimi, poco avvezza alle verticalizzazioni corte verso la trequarti.
Quello che però resta evidente del gioco di Allegri è l’immagine di una filosofia fortemente legata alle caratteristiche degli uomini utilizzati. Insomma, l’esempio più fulgido di approccio bottom-up, quantomeno tra le squadre di un certo livello. Del modello “allegriano”, in questi anni, abbiamo già conosciuto ed esplorato ogni anfratto, qui cercheremo di ricostruire le varie evoluzioni (e involuzioni) che hanno caratterizzato l’annata 2018/19, teatro di uno scudetto apparso inesorabile sin dall’inizio e conquistato infatti con largo anticipo.
Subito Cristiano Ronaldo più ala che centravanti
Da inizio stagione, è subito parsa chiara l’intenzione di voler puntare in pianta stabile su un centrocampo a 3 con Pjanic in posizione di mediano centrale, affiancato da Matuidi a sinistra e uno tra Khedira, Emre Can o Bentancur a destra, con l’uruguaiano a prendersi la scena per tutto l’autunno, anche grazie agli infortuni dei compagni.
Il ritorno di Bonucci e l’arrivo di Cancelo hanno consentito alla Juventus di ritrovare una qualità nel palleggio basso rimasta sopita nel corso della stagione precedente, alzando sensibilmente il baricentro, ma l’attenzione era comprensibilmente focalizzata sull’evoluzione offensiva, con Cristiano Ronaldo che, a differenza degli esperimenti di agosto, viene da subito impiegato più da ala che da centravanti. Per questo si è visto Mandzukic più accentrato rispetto alle ultime stagioni e Bernardeschi titolare, almeno in un primo momento, a scapito di Dybala, Douglas Costa e Cuadrado.
La Juventus delle primissime partite era una squadra non troppo sofisticata nella costruzione delle occasioni, ma incontenibile per le avversarie soprattutto grazie all’inarrestabilità di Cancelo e all’atteggiamento di Ronaldo in fase di possesso, ai limiti del compulsivo con la palla tra i piedi. CR7 è stato da subito un enorme catalizzatore di attenzioni delle difese e, in generale, acceleratore dell’inerzia della manovra anche per vie indirette. Sulle ali dell’entusiasmo, la Juve ha iniziato ad acquisire una consapevolezza diversa dei mezzi tecnici in proprio possesso e a velocizzare le fasi di possesso, sia nella trasmissione del pallone che nella rapidità degli smarcamenti.
L’ascesa di Bentancur e la parentesi Cuadrado
La necessità di reinserire Dybala tra i titolari si è fatta presto impellente. E con una catena di destra composta dall’argentino e dall’ultra-offensivo Cancelo, c’è stato bisogno di inserire una mezzala più energica dal punto di visto difensivo rispetto a Khedira, ormai sempre più “attaccante ombra”.
Così, nonostante una buona prestazione di Emre Can contro il Napoli, ad avere la meglio è stato Bentancur, che ha mostrato da subito una compatibilità eccellente nelle rotazioni con Dybala e Cancelo, andando a formare un’asse alla costante ricerca di triangolazioni e fraseggi veloci che è stato alla base del miglior periodo offensivo della Juventus 2018/19.
La passmap della partita contro l’Udinese, che ha dato il via alla spumeggiante Juve autunnale. Notare la differenza rispetto alla catena di sinistra, sia nello scaglionamento medio che nel numero di flussi di passaggio.
L’infortunio di Mandzukic intorno a metà ottobre ha quindi dato spazio a Cuadrado nel tridente offensivo, e la Juve ha trovato forse la sua massima espressione estetica in occasione della doppia sfida contro il Manchester United: il gioco di posizione ad alta velocità su cui erano state gettate le basi nelle partite precedenti assume un ritmo ancora più incalzante e una maggiore imprevedibilità.
Cuadrado, decisamente più mobile del pur generoso croato, dimostra un grado di maturazione inedito, occupando in maniera naturale tutte le posizioni del fronte offensivo e aiutando la Juventus ad aumentare la mole di giocate nell’area avversaria.
Una Juve capace di scardinare pazientemente l’organizzazione difensiva dello United tornando indietro e poi accelerando velocemente, alternando giocate indietro e in avanti, interne e in ampiezza.
Nell’economia di questo sistema, Cuadrado e Cancelo hanno pesato parecchio sul dinamismo complessivo, con e senza palla, ma anche per diversificare la costruzione delle occasioni, senza gravare eccessivamente sulle spalle di un Paulo Dybala, da parte sua sempre più concentrato nell’interpretazione di regista offensivo ad ampio raggio.
Con gli infortuni del colombiano e del terzino portoghese, però, e il ritorno in condizione di Mandzukic, la Juve ha cambiato ancora gli incastri offensivi e la sensazione immediata è stata quella di un appesantimento della manovra.
Dybala tuttocampista
Dybala continua a muoversi e sacrificarsi parecchio, con ottimi risultati dal punto di vista difensivo, risultando prezioso per collegare il gioco a tutto campo, rimanendo un po’ meno brillante nell’ultimo terzo di campo, soprattutto per quanto riguarda il fatidico ultimo passaggio, la rifinitura.
Tuttavia, con un terzino ordinato ma meno determinante alle sue spalle come De Sciglio e la simultanea assenza di Cuadrado e Cancelo, l’imprevedibilità delle rotazioni viene a mancare, e complice anche un parziale calo della brillantezza in generale, il finale del 2018 trova qualche ruggine di troppo sulla strada dei bianconeri.
A metà dicembre arriva il derby della Mole, contro una squadra – il Torino di Mazzarri – particolarmente aggressiva e intensa nel pressing. Questo mette in luce le prime concrete difficoltà di uscita del pallone dalla difesa, con Pjanic limitato ed Emre Can e Matuidi che mostrano parecchie imperfezioni a supporto. La Juventus comunque porta a casa il risultato, e il 4-3-3 versione “heavy” viene riproposto anche nelle gare successive, dove la ricerca del cross assume un ruolo dominante nella conclusione delle azioni.
Nella trasferta natalizia di Bergamo, contro un’altra squadra molto aggressiva come l’Atalanta di Gasperini, le sofferenze della Juventus nel palleggio in situazioni di pressione estrema vengono enfatizzate dall’assenza di Pjanic (oltre a quelle dei lungodegenti Cancelo e Cuadrado), rimpiazzato con grande difficoltà da Emre Can nella posizione di vertice basso. Dybala continua a trascinare la squadra insieme a Ronaldo, ma gli avversari iniziano a intuire le contromisure ideali per limitare i bianconeri.
In Supercoppa, ad esempio, il Milan riesce a contenerli attraverso una buona organizzazione del blocco difensivo basso, anticipando il tema della gara di andata degli ottavi di Champions a Madrid. Successivamente, all’Olimpico contro la Lazio, la Juventus gioca una delle gare più sofferte del campionato, ancora una volta patendo l’aggressione organizzata sull’uscita palla dalla difesa, e ancora una volta mostrandosi fortemente dipendente da Pjanic in queste situazioni.
Dopo l’exploit dei primi mesi, la Juventus ha gradualmente perso confidenza nella gestione del pallone sulla propria trequarti, diventando più imprecisa negli smarcamenti e nella ricerca dell’uomo libero, e faticando ad accettare il retropassaggio sotto pressione come arma per disinnescare l’avversario, preferendo la verticalizzazione alle sue spalle. Qui Dybala verrà anticipato da Lucas Leiva e la Lazio attaccherà in ripartenza.
Il culmine di queste difficoltà arriva nelle due partite successive, che costano alla Juventus prima l’eliminazione in Coppa Italia contro l’Atalanta, al termine di una gara infernale per la pressione e la mobilità estreme degli uomini di Gasperini, e poi un pareggio a gara quasi conclusa contro il Parma, in cui ancora una volta la Juventus mostra insicurezza nella gestione del pallone nei pressi della propria area.
Dopo un buon recupero difensivo, Caceres non capisce che Mandzukic non può gestire quel pallone in sicurezza e non si mette immediatamente in zona luce per il passaggio. Neanche Spinazzola percepisce il pericolo e commette lo stesso errore, e il croato forza una giocata rischiosissima pur di non concedere un corner o rimessa a quelle latitudini in pieno recupero.
Emre Can centrocampista e difensore aggiunto
Da questo momento la Juventus riesce a riprendere, in termini di risultati, le redini del campionato grazie anche a sfide agevoli contro Sassuolo e Frosinone, assorbendo le scorie della disfatta madridista con altre due vittorie contro Bologna e Napoli, arrivate però con parecchia sofferenza e soluzioni tattiche particolari. Contro il felsinei, Cancelo viene schierato ala destra con Bernardeschi e De Sciglio alle sue spalle; a Napoli, Bernardeschi parte da vertice alto nel rombo alle spalle di Ronaldo e Mandzukic, con Emre Can interno.
Un potente segnale di reazione arriva poi in Champions League, con la rimonta sull’Atlético e una disposizione tattica innovativa: Emre Can che da mediano scala di fianco a Bonucci in fase di costruzione e ci rimane per tutta la fase offensiva in marcatura preventiva sulle punte avversarie, consentendo ai due terzini di agire praticamente da ali, e a Matuidi e Pjanic che alzano parecchio il loro raggio di azione.
Questa soluzione regala alla Juventus un duplice beneficio in entrambe le fasi, garantendo un uomo dalle caratteristiche verticali in più nella circolazione bassa (seppur contro un pressing non troppo alto come quello dell’Atletico), e una garanzia di aggressività più fisica, esplosiva a palla persa, con un effetto a cascata sul gegenpressing di tutta la squadra.
La Juventus avrebbe potuto utilizzare le rimanenti gare di campionato per mettere ulteriormente a punto questo sistema, ma Allegri ha scelto invece di sperimentare varie soluzioni, dando minutaggio ai meno coinvolti: si inizia a vedere più frequentemente una difesa a tre “pura”, con tre centrali. Spinazzola trova spazio anche a destra; Emre Can torna battitore libero anche in una mediana in coppia dopo qualche breve spezzone a inizio torneo; Kean inizia a dimostrare di poter fare reparto sia da solo che al fianco di un’altra punta; Bernardeschi alterna momenti di strapotere ad altri di confusione.
La Juventus mette in ghiaccio il campionato grazie soprattutto alla consapevolezza del gap tecnico verso gli avversari, e non è un caso che la prima sconfitta, nonostante le numerose difficoltà tattiche incontrate nella seconda parte della stagione, sia arrivata solo a metà marzo, sul campo del Genoa immediatamente dopo la sbornia di coppa e un parziale turnover.
La nuova continuità nel modulo
Rispetto alle stagioni precedenti, la Juventus ha mantenuto una struttura di base tutto sommato continua, imperniata su un 4-3-3 dalle diverse (persino diversissime) sfumature a seconda delle caratteristiche degli uomini impiegati. I cambi di sistema più nitidi (come ad esempio il 3-1-4-2 visto con l’Atletico) non sono stati riproposti in maniera convinta dal primo minuto in campionato, ma piuttosto adottati in base alle caratteristiche dell’avversario o al momento della partita. È stata una Juve trasformista soprattutto negli uomini, rimasta rigidamente fedele ai propri principi, offensivi e difensivi.
In fin dei conti, le note negative, relativamente al campionato, sono state poche, anche grazie alla mostruosa continuità di risultato. Su tutte, la forte incognita sull’utilizzo di Dybala, apparso involuto negli ultimi metri, nonostante la grande utilità a tutto campo (forse da sviluppare ulteriormente il prossimo anno?). È mancato forse un po’ di coraggio nella sperimentazione di soluzioni più offensive, come ad esempio l’ampiezza simultanea dei terzini; e c’è stato un po’ di nervosismo eccessivo nella gestione dei ritmi col pallone, per offrire agli spettatori anche qualcosa in più rispetto alla nuda vittoria.
Le assenze prolungate di Costa e Cuadrado, l’interruzione del periodo topico di Cancelo e l’eccessiva sicurezza sulla gestione delle palle lunghe, unite alla filosofia allegriana cautelativa hanno dato alla Juventus delle brusche frenate proprio nei momenti più esaltanti, mostrandoci una squadra prima sfacciata e intraprendente, poi meno sicura ed efficace, ma sempre insormontabile per i diretti concorrenti in Italia.
La Juventus di Allegri si è confermata uno schiacciasassi soprattutto dal punto di vista mentale: una squadra fredda e cinica, capace di non andare mai nel pallone nonostante le piccole-grandi difficoltà incontrate nella seconda parte di stagione, abituata ad accettare di essere messa sotto anche per larghi tratti della partita, consapevole di poter sfruttare l’episodicità meglio di chiunque altro.