I Signori del Calcio: De Sisti Viola '69

Serie A

Su Sky Sport appuntamento con "I Signori del Calcio" De Sisti - Viola '69. Protagonista della puntata, l'ex calciatore della Fiorentina Giancarlo De Sisti, che ha raccontato le emozioni dello Scudetto vinto con la maglia viola nella stagione 1968/1969

Giancarlo De Sisti ha ricordato lo storico titolo vinto con la Fiorentina nella stagione 1968/1969: "Eravamo tutti straordinariamente felici. Avevamo pensato che avevamo regalato un sogno ad una città. Una città innamorata di noi, e un amore ricambiato. Io ogni volta che vado a Firenze vengo trattato come un signorotto".

Ma avevi indossato la fascia da capitano. È un altro orgoglio, no?

Sai che ad un certo punto quell’anno. 68’-69’, all’inizio. Giovanni Pirovano era uno degli anziani. Faceva parte dell’organico ed era lui il capitano. Un giorno davanti a tutti i compagni, disse “ragazzi io vi faccio una proposta, vorrei che ad indossare la fascia da capitano fosse De Sisti, per personalità, per qualità tecniche, per capacità di dialogare e per tutte queste serie di motivi. Credo che vi rappresenterebbe al massimo”. E i compagni accettarono questa proposta di Pirovano e mi elessero capitano. Furono contenti. E io fui felicissimo di farlo. All’inizio mi ricordo che invece di guardare davanti, mi guardavo al braccio, dove c’era la fascia. Al tempo si usava la fascia.. eccola. Adesso hanno fatto una storia poi con le fasce. Cosa ci andava scritto, no? Recentemente. Questa era un pezzo di garza. La fascia era una garzetta bianca. Questi sono gli 11 componenti della squadra, secondo me e secondo noi, “dei miracoli”.

Lo scudetto vinto a Torino, contro la Juventus. Te la ricordi quella giornata? Quel 2 a 0?

Effettivamente quando vincemmo con il Vicenza, in concomitanza ci furono dei risultati a noi favorevoli. Lì già c’era qualche avvisaglia concreta. Però la vittoria a Torino in casa della Juventus fu straordinaria. La Juventus è la squadra che ha fatto sempre paura a tutti. Insomma una squadra da grande rispetto. In quel momento capimmo che eravamo determinati, uniti. Però da qui a battere la Juventus c’è ne voleva. Maraschi e Chiaruggi decisero di farla finita, 2 a 0 e a casa. Un trionfo. Non stavamo più nella pelle dalla gioia. Pensavamo ai sacrifici. Uno scudetto è forse più di un anno, dove tu prepari le situazioni e fai sacrifici. Non vai a cena fuori, fai delle rinunce, ti prepari, non mangi quello perché ti potrebbe dare fastidio. Non fai solo quell’anno però magari quell’anno se tu hai un ritorno di questo genere, è il massimo che può accadere. Uno scudetto è la gioia e la sofferenza di un anno. Quindi raccogli i frutti del tuo lavoro e di qualche sacrificio anche di troppo. Io mi sento di aver fatto il mio dovere. Però purtroppo poi non ho fatto il mio dovere perché non son riuscito a vincere altri scudetti. Quella Fiorentina poi piano piano si ridimensionò da sola. Non riuscì a durare nel tempo. Però se parliamo del 68’-69’, campionato a 16 squadre, non ce ne fu per nessuno. Nessuno. Neanche il grande Gigi Riva che giocò bene con il Cagliari quell’anno. Non ce la fece nessuno. Non fummo ne la prima squadra a fare più gol e neanche quella che subì meno gol. Però eravamo la squadra che vinse di più e perse di meno. Quindi con quell’equilibrio là, 45 punti bastarono per vivere questo sogno meraviglioso. Beh io camminavo sollevato da terra. Ero strafelice perché la gente voleva baciarti e abbracciarti. Perché sapeva che quell’anno eravamo noi i campioni, non erano gli altri. E quindi una magia che a Firenze si è ripetuta solo nel 55’ - 56’ e nel 68’-69’.

Com’è stato giocare Italia - Germania, in campo da titolare?

La cosa più bella che possa ad un calciatore. È un’emozione indicibile. Dal momento in cui sei davanti ad un muro di gente, più o meno 100.000 persone e ti ritrovi lì a cantare l’inno nazionale italiano ti senti la pelle d’oca. Ti senti come un soldatino al fronte, almeno per me. Dovevo difendere la patria. Adesso sembra una storiella però sono emozioni grandissime. Sapere che hai fatto parte della partita indicata da tutti come “la partita del secolo” è un’ etichetta che emoziona. A volte mi dicono “si ma voi non siete campioni del mondo”, io rispondo “si è vero ma noi abbiamo fatto la partita del secolo”. E forse equivale. Cioè certo che siamo arrivati secondi. “Meglio secondi che ladri” dissero a Firenze un tempo.

Ci racconti quando qualcuno, poi ci dirai chi, si avvicinò e ti disse “guarda che la Roma ti ha venduto alla Fiorentina”

Io stavo svolgendo il servizio militare, arriva il comandante con il corriere dello sport e dice guarda un po’, c’è scritto “De Sisti alla Fiorentina”. Io non ne sapevo niente. Sono rimasto male, perché avevo la mia ragazza, che è ancora mia moglie. Avevo lì i miei amici ed ero della Roma, le altre squadre non mi interessavano. Avevo tutte le cose che mi interessavano di più a Roma e non sapevo che sarei andato incontro ad una fortuna. Non tanto per lasciare la Roma, ma quanto per trovare un altro ambiente che mi ha accolto divinamente. Mi ha accolto magnificamente. Baglini, che era presidente di quella Fiorentina, mi portò in tutti posti dove c’erano i suoi amici industriali e mi presentò a loro come se fossi una macchina nuova, un orologio che non aveva nessuno. Mi vergognavo, perché era una cosa incredibile. Lì capì che forse ero partito bene e stavano facendomi sentire quell’affetto che non credevo di trovare subito.