L’ossessione per il ‘giuoco’

addio berlusconi
Veronica Baldaccini

Veronica Baldaccini

Il “GIUOCO”, prima di tutto. Bastava sentire quella parola, con quella U così profonda da inghiottire qualunque cosa attorno, per pensare a lui, per capire che nell’aria c’era Silvio Berlusconi. Bisognava comandarlo quel giuoco, essere padroni del campo. Ha avuto un manifesto politico anche nel calcio ed è sempre stato questo, dal primo giorno. 

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Il ‘giuochista’ ante litteram forse è stato proprio Berlusconi, ma con una straordinaria capacità di essere pure ‘risultatista’: 29 trofei in 31 anni, anche se contarli è persino riduttivo perché il suo Milan è stato a lungo la squadra più forte del mondo, ma per sempre una delle pochissime capaci di cambiare la storia di questo sport. Ecco, deviare il corso della storia è sempre stato il suo pallino, e non solo del giuoco.

Il Milan come suo autoritratto

Il Milan divenne anche strumento di consenso, certo. Ma dopo. In principio per Berlusconi era come un’opera d’arte: una rappresentazione allegorica di sé, della propria aspirazione di magnificenza e grandezza, il suo autoritratto in movimento.  Almeno fino a quando l’ex cavaliere è stato solo un imprenditore. “Sua emittenza” lo chiamavano negli anni ’80, quelli d’oro delle televisioni, prima di ribattezzarsi da solo, anni dopo, “Presidente operaio”. Ma quello era il Berlusconi della discesa in campo, nel campo della politica.

La sognocrazia

Nel calcio però presidente operaio non lo è mai stato, lui che arrivava in elicottero al suono della “cavalcata delle valchirie”, all’Arena di Milano come a Milanello. Architetto semmai, di squadre spettacolari, capaci di far vincere il pallone d’oro a 5 giocatori diversi. Non si limitava a tifare per loro dalla tribuna, no. Suggerire la formazione era una tentazione alla quale raramente ha saputo resistere, sino alla fine, anche quando la sua passione si è riversata sul Monza, con i soliti riti, a cominciare dal battesimo degli allenatori ad Arcore, e con la stessa immutata capacità di promettere la luna e portarla davvero negli stadi. Che la luna fosse la serie A per il piccolo Monza o la coppa intercontinentale per il grande Milan non faceva differenza: la sognocrazia è stata la sua dottrina nel calcio, regalare sogni ai tifosi e spesso contribuire a realizzarli. Con i soldi si dirà, certo anche con quelli, ma non solo, avere una visione, scardinare la categoria dell’impossibile, è stato il suo tocco in ogni cosa. “Meno male che Silvio c’è” recitava uno dei suoi slogan elettorali più famosi e divisivi, ma se i suoi concittadini non lo hanno sempre pensato, i tifosi delle sue squadre sì. E ora che Silvio non c’è, non c’è più, non resta che ricordarlo e celebrarlo con il suo GIUOCO preferito: il GIUOCO DEL CALCIO