L'Uomo della domenica: "Gianluca Vialli - Confesso che ho vissuto"

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Giorgio Porrà

Giorgio Porrà

Da venerdì 8 dicembre (alle 19 su Sky Sport Uno e alle 22.30 su Sky Sport Calcio), il ricordo di una persona indimenticabile, della storia dello sport e nella storia di Sky. Giorgio Porrà racconta l’uomo, il fuoriclasse, nella sua dimensione più intima...

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Una vita spremuta, sino all'ultima goccia. Una vita a caccia degli istanti che nello sport inchiodano il tempo. Una vita, nella sua porzione finale, la più dura, travolta da un'ondata di dolcezza. La vita di Luca Vialli, l'uomo, il fuoriclasse, è stato un flusso ininterrotto di sfide, mai facili, ma "i mari calmi - spiegava - non hanno mai formato un marinaio esperto". Ciò che lui, alla fine, si è rivelato. Una vita di gol e di sorrisi, di rovesciate e di capriole, di finali sfumate e di altre trionfali, di sentimenti forti e di progetti virtuosi. Una vita nella quale Luca ha vinto, anche quando ha dovuto ripensare se stesso, guardandosi dentro, rimettendosi in gioco, riconoscendo le stelle amiche per orientarsi nel buio.       

Lezione

La notte del cordoglio a Torino. Luci basse, parole sussurrate a centrocampo. Poi settanta secondi di applausi. Tutti in piedi, i quarantamila dello Stadium, per ringraziare il capitano dell'ultima Champions juventina. Nessun coro, nessuna sbavatura. Solo malinconia, dolore composto, lacrime asciutte a bagnare, dentro quei cuori, i tanti ricordi legati a Luca. Che ovunque, nelle ore dei saluti, continuava imperterrito a sorridere, a stare nel ruolo. Semplicemente a fare Vialli. Sulle maglie della Sampdoria, della Cremonese, sulla schiena dei giocatori del Chelsea. Come se lui stesso avesse orchestrato il cerimoniale. Invitando le sue comunità, i luoghi dell'anima, delle conquiste, delle gioie più intime, a stringersi in un palpitante abbraccio a distanza. Tanto affetto non stupì allora, non può sorprendere oggi. Esistono figure, e Vialli è una di queste, destinate a ingigantirsi nel tempo, a sottrarsi ad ogni forma di oblio. Perché le esistenze si pesano, non è col metro che si misurano, e la sua, non solo quella sportiva, era stata così bella, così piena, da meritarsi di occupare stabilmente ogni bilancia della memoria. E ognuno di noi, impossibile non farlo, porta con sé una delle sue lezioni. Quella a cui Luca più teneva. La stessa di Siniša Mihajlović. Occorre togliere la buccia alla vita, spremerne l'essenziale. Non sprecarne neppure un secondo, anche nelle tenebre più fitte, anche nella scoperta, scioccante, della propria vulnerabilità. Ciò che lui ha fatto nel rettilineo conclusivo. Senza nascondere dubbi, fragilità, il corpo scavato, col realismo del sopravvissuto, accarezzando, sino all'ultimo, sogni grandi quanto la sua dignità. Sogni che per Stradivialli, sin dall'infanzia, hanno sempre rappresentato il carburante più prezioso.      

Stupori

I gol di Luca Vialli. Gol spudorati, rombanti. Soprattutto allegri, come allegro era il suo modo di respirare il gioco, gli affetti, le amicizie. Killer gentile, Luca, col sole in tasca. Gol eccitanti, mai uguali, mai banali. Di fino, d'astuzia, in acrobazia, dalla sfacciata insolenza. Piombando sulla palla da botole invisibili o sfuggendo alla morsa di difensori logorati dal ritmo ossessivo dei suoi scatti, in martellante sequenza.  Gol come squilli di felicità. La stessa che colorò la sua gioventù cremonese. Quella di un ragazzo, ultimo di cinque figli, cresciuto in una famiglia agiata e colta, nella quale il calcio non rappresentava una priorità. E con incroci fortunati, vedi Emiliano Mondonico, a rivelarsi fondamentali, per innaffiarne il talento, definirne il ruolo. Legami forti, duraturi, altra costante della sua avventura. Stupori accesi coi polpacci nudi, ostentati, da guerriero borghese, come quelli di altri sublimi irregolari, Omar Sivori, Meroni, Totti, George Best. L'irresistibile estetica del football di strada, che ti "insegna a restare in piedi" per dirla con Cruyff. Il calcio libero, proteso verso l'atto unico, il do di piede, la creazione non riproducibile. Come certe cinematografiche rovesciate, capolavori ingegneristici, lampi di tecnica, colpo d'occhio, di cui Vialli era orgoglioso specialista. Gesti per lui quasi naturali, il territorio ideale per sprigionare il superbo atletismo, il furore animalesco, in sfacciata violazione di qualunque legge fisica. Ma anche lo spettacolare prodotto finale del suo maniacale perfezionismo. Il gusto goloso di fare i gol della gente, numeri da spiaggia, da cortile. Gli wow di meraviglia a sovrastare gli applausi. Gol in serie, prima coi riccioli poi pelato, prima smilzo poi massiccio, prima nostrano poi globale, con lo sguardo sempre oltre, sul domani, sul vento che soffia dall'ignoto. Vento che mai avrebbe smesso di attrarlo, di incuriosirlo, assieme all'urgenza di crescere, di strutturarsi esplorando altri mondi, lui che già campione era tornato sui banchi di scuola per diplomarsi. E che nella maturità si sarebbe scoperto anche scrittore. Ricerca, la sua, mai affannosa, sempre lucida, razionale, anche nel periodo più cupo della malattia. Con il golf, le letture, i tanti progetti legati alla "Fondazione Vialli & Mauro" per la ricerca sulla Sla, la sclerosi laterale amiotrofica, a garantire luce, "normalità" alle sue giornate. Esaltò, modernizzandola, la figura del centravanti totale, avanguardista. Poi impose un nuovo rapporto coi media, sfidandoli sul piano dei contenuti, con l'istinto per la provocazione intelligente mai silenziato. Sprovincializzò la sua categoria, scegliendo ad un certo punto un altro calcio, quello inglese, guadagnandosi il piacere di appartenere a qualcosa di grande, di fascinoso. L'erba speciale, svezzata da secoli di pioggia. Il tifo come febbre, a novanta. Il gioco sempre acceso, mai speculativo. Per Luca, la terra promessa. Era scritto, che prima o poi l'avrebbe attirato a sé. A Londra visse un'altra dimensione, anche inedita, da player manager, che gli fruttò nuove Coppe in bacheca. E poi la costruzione di una famiglia straordinaria, il definitivo punto d'equilibrio. E un altro modo di relazionarsi con l'ambiente, ed anche con se stesso. E ancora i gol di Luca. Quelli luminosi della scapigliatura, a Cremona, a Genova, in azzurro. Quelli più potenti della maturità, nella Juve, nel Chelsea. E pure quelli che non fece, altrettanto rumorosi, nella finale di Coppa Campioni persa in maglia doriana, o nel tormentato Mondiale italiano, la maledizione delle Notti Magiche. Traumi vissuti come drastici confini, occasioni di ripartenza. Quasi fiero che il destino l'avesse scelto per non dargli tregua, per testarne il carattere, la resistenza, marcandolo rigidamente a uomo. Le folgori di Vialli. E a ben guardare, dentro, c'era sempre lo stesso invito, sorta di istruzioni per l'uso. Come fosse lo stesso Luca a suggerirle: "Se volete capire qualcosa di me non perdete tempo ad investigare altrove, concentratevi sui gol, è trattenendone il succo che troverete le risposte, i codici d'accesso". E a rivederle, quelle reti, non si può non sorridere, dandogli ragione. E' vero, ogni attaccante dispone di un proprio linguaggio. Ma quello del centravanti Vialli si distingueva per l'impressionante chiarezza. Il senso del suo mandato, del suo muoversi nel mondo, anche lì si rivelava, con una potenza solo sua, nelle centinaia di messaggi affidati a quei palloni scaraventati in porta. 

Amicizia

Storia irripetibile quella della Sampdoria Campione. Per lo spessore dei protagonisti, per il patto di sangue che ne sublimò l'unione. E per la sua scandalosa portata. L'impresa corsara di chi sovvertì l'ordine costituito con la spregiudicatezza dell'outsider. Quello scudetto fu il blitz ordito dalla più cool tra le cellule eversive, stelle e gregari a cooperare, a volersi bene, a giurarsi complicità in eterno, sorprendendosi loro stessi, ad exploit consumato, di tanta, sfrontata improntitudine. L'ultimo desiderio di Vialli era quello di ricreare le magie dell'epoca, conquistando la presidenza del club, sulla spinta della gente doriana in adorante attesa. E con un precedente virtuoso attorno al quale immaginare la sua futura gestione. L’esempio di Paolo Mantovani. L'eredità di un visionario di successo, implacabile programmatore, che seduceva col sorriso garbato, l'affettuosa severità, con la fiducia che sapeva infondere in chi ne sposava la linea. Come Vialli e Mancini, i gemelli, i pupilli diventati consiglieri, col presidente attento a crescerli, a premiarli, senza fare troppe differenze.

Oggi ci sono un libro, un film, a fissare ogni sfumatura, ogni sapore de "La bella stagione". La storia di un'amicizia speciale, e poi, quasi a margine, di una clamorosa conquista. Obiettivo questo, sì, centrato da Luca, pur stremato dall'incedere della malattia. Ma sospinto dall'urgenza di riordinare i ricordi, farne materia viva, pulsante, da affidare soprattutto ai più giovani. E’ stata la sua ultima sfida, la più dolce, volare via portandosi nel cuore il respiro, i sorrisi dei compagni, l'epica romantica che ne incorniciò gli sforzi. L'ultimo sprint, il più duro, per agguantare il poco tempo rimasto, il tempo diventato sacro, il tempo della gratitudine. E c'era, in quell'abbraccio collettivo, al Porto Antico di Genova, il giorno della "prima" del film, la stessa forza che aveva spinto Vialli e Mancini a celebrare il miracolo continentale, stretti l'uno all'altro in mondovisione. Due amici tornati ragazzi dentro una bolla di gioia suprema. Un potentissimo manifesto d'umanità. Col passato a riemergere di prepotenza.   

Quella vittoria di Vialli e Mancini in Nazionale, a Wembley, ai rigori, in qualche modo pareggiava i conti col destino anche in chiave doriana, pensando al tracciante di Koeman che, sullo stesso prato, nell'extratime, quasi trent'anni prima, aveva incenerito il sogno continentale della Samp. Con Luca, in panchina, sfinito, svuotato, a coprirsi il volto con un asciugamano per non guardare la punizione letale. In quell'abbraccio, una preghiera ascoltata. La certezza di Vialli e Mancini di aver rimesso assieme le cose a posto. Una storia un tempo bruscamente interrotta, si conquistava l'emozionante lieto fine.  E Luca persino qualcosa in più. Un altro senso, pieno, rotondo, col quale definire i capitoli conclusivi del suo romanzo. Con gli occhi chiusi e il capo sulla spalla dell'amico, nella sequenza finale di quell'abbraccio, a rendere indimenticabile l'istante e i suoi tanti significati.       

Leadership

Esistono immagini che marchiano la memoria, le danno fuoco. Obbligano chi le guarda a recuperare anche il più piccolo dettaglio custodito in quei frames. E' ciò che accade agli juventini davanti alla danza liberatoria di Vialli e compagni dopo la conquista della Champions sull'Aiax al termine di quella sfinente maratona romana. Mai successo fu più sospirato di quello, nelle tormentate dinamiche dell'ultimo atto, risolte dal penalty decisivo di Jugovic, più in generale nella storia bianconera, con le ferite mai ricucite della tragedia dell'Heysel. Nello sguardo trasfigurato di Luca, mentre solleva la Coppa, il sollievo di un club che interpretava quel titolo come una sorta di purificazione. Lo stesso del suo capitano che toccava il punto estremo del suo calcio selvaggio e sentimentale. E che in quella finale incise, nel tridente di Lippi con Ravanelli e Del Piero, bruciando ogni zolla dell'Olimpico. Ecco, certi scatti non ingialliscono e quello che immortala Vialli, nell'ultima recita in maglia Juve, non smette di affascinare perchè da solo definisce, declina, senza alcuna narrazione a supporto, il concetto di leadership in tutta la sua pienezza. Quella tensione morale, quell'esclusivo carisma, senza i quali nulla si ottiene. Il senso di Vialli per la leadership. 

Parole

In televisione la prima regola di Vialli consisteva nell'usare soltanto parole in grado di migliorare il silenzio. Quindi atipico, Luca, pure in questo. Voleva essere quello che diceva. Somigliare alle parole che pronunciava. Per questo, quelle giuste, le inseguiva con tenace applicazione. E per non smarrirle aveva l'abitudine di appuntarle ovunque, assieme ai suoi mantra preferiti. E a furia di giocarci, con le parole, trovò naturale parlare di letteratura in tv, suggerendo libri da apprezzare, da divulgare, anche da proteggere. In qualunque ruolo, nei suoi 15 anni a Sky, conduttore, commentatore, seconda voce, persino critico letterario, coniugava profondità e leggerezza, fedele al modello british sul quale si era formato, alla missione che si era imposto, irrorare positività nel racconto del calcio. Nel modo di comunicare, nella valutazione degli episodi, nel rapporto con i protagonisti. Ed anche con i compagni d'avventura.

Le parole di Luca. Mai affettate, mai sprecate. Anche quando decise di rendere pubblico il suo sbarco nel lato notturno dell'esistenza, perchè questo è il cancro, qualunque cancro, (e Luca riteneva giusto chiamare le cose col proprio nome) e il suo, Vialli, lo trattò con sublime eleganza, "l'ospite inatteso" lo definiva, interpretandolo come opportunità per migliorarsi, per ridisegnare rotte, coordinate, priorità. Le parole scelte con cura per spiegare che un tumore non può essere una buona ragione per dimettersi da se stessi, identificarsi col male, che concimando il coraggio, giorno dopo giorno, si può scoprire bellezza in qualunque abisso. Una lucida lezione di civiltà, distante dalla retorica del soldato in battaglia. 

Il bacio di Vialli al pallone durante Italia-Polonia del 2020

Bacio

Non è facile racchiudere un'esistenza in un solo gesto, una sola sequenza. Figurarsi con Vialli e il suo viaggio dalle mille tappe. Ma c'è stato un attimo, nella sua storia più recente, nel quale un semplice bacio sembrò spiegare, riassumere tutto. O almeno, a noi piace immaginarlo.  Il bacio che Luca posò sul pallone di Italia-Polonia di Nations League, nel 2020, a Reggio Emilia. Partita benedetta da quel bacio fugace, estemporaneo. Schioccato da Vialli sulla sfera, alzandosi all'improvviso dalla panca. Gesto fortemente simbolico. Omaggio poetico al gioco, alla sua essenza. Ed anche all'ambiente azzurro, che in quel periodo, nel solco delle cicatrici del suo uomo talismano, decideva di insistere con fiducia. Ma forse, in quel bacio, in quello slancio, c'era qualcosa di persino più sacro, più potente. La consapevolezza di Luca Vialli di aver vissuto la vita che si era scelto. La gratitudine per chi lo aveva accompagnato. Il desiderio di aver scritto una storia destinata a restare nella memoria collettiva. Una storia senza la parola "fine". Come nei film di Federico Fellini. Che si era convinto, a ragione, come Luca, dell'immortalità dei suoi sogni. 

"Gianluca Vialli - Confesso che ho vissuto" 

Da venerdì 8 dicembre alle 19 su Sky Sport Uno e alle 21.30 su Sky Sport Max e in streaming su NOW. Disponibile on demand  

Altri passaggi

Sabato 9 dicembre

  • Ore 13 su Sky Sport Calcio
  • Ore 16 su Sky Sport Max
  • Ore 17.30 su Sky Sport Arena
  • Ore 20.30 su Sky Sport Max

Domenica 10 dicembre

  • Ore 14 su Sky Sport Uno
  • Ore 19.30 su Sky Sport Uno
  • Ore 22.45 su Sky Sport Arena