Riccardo Milani racconta il film 'Un mondo a parte': "E' il mio gol alla Gigi Riva"

L'intervista

Barbara Grassi

@Claudio IannoneUmap
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'Un mondo a parte' è stato il film più visto al cinema nei giorni di Pasqua. Il regista romano lo descrive così: "Con i protagonisti, Antonio Albanese e Virginia Raffaele, siamo andati in giro per l’Italia a presentarlo e gli applausi mi fanno pensare a un’identificazione con la comunità che raccontiamo. È come se avessimo dentro valori positivi ma mai il motivo per tirarli fuori". Poi le passioni Inter e Gigi Riva: suo il docufilm 'Nel nostro cielo un rombo di tuono' in onda su Sky e che celebra la leggenda

"Il mio gol alla Gigi Riva", così il regista Riccardo Milani descrive 'Un mondo a parte', il suo ultimo film con Antonio Albanese e Virginia Raffaele che è stato il più visto al cinema nel weekend di Pasqua. Più visto di 'Kung Fu Panda 4' e 'Godzilla e Kong - il Nuovo Impero'. Esattamente come era accaduto per 'C’è ancora domani' - in programmazione su Sky Cinema - e realizzato da sua moglie Paola Cortellesi, che si era dovuto confrontare ai botteghini con 'Oppenheimer' e 'Barbie'. Milani ci ha anche  raccontato cosa c'è dietro questo lavoro, ma ha ripercorso anche la sua carriera iniziata con Mario Monicelli. Poi si è soffermato sulle altre due grandi passioni, l'Inter e Gigi Riva. Suo è anche il docufilm 'Nel nostro cielo un rombo di tuono' trasmesso da Sky e che narra, dall'infanzia alla gloria, la vita del grande e indimenticabile calciatore. 

"Un mondo a parte" sta avendo un grande successo al box office. Ti fa più piacere per un motivo in particolare?

"Io credo per l'attenzione su una piccola comunità, il cuore pulsante del Paese. La nostra provincia, centri piccoli che non conosciamo, di cui non conosciamo le dinamiche, le persone, i ritmi di vita, le difficoltà e anche le capacità. La mia più grande soddisfazione è aver messo i riflettori su un paese che è capace di fare comunità, che supera le ostilità a tutti i costi, che supera le divisioni, che riesce a ritrovare la sua identità, che non si può abituare a tutto. Ho assistito a tante proiezioni: con Antonio Albanese e Virginia Raffaele siamo andati in giro per l’Italia a presentare il film e gli applausi finali mi fanno pensare a un’identificazione con questa comunità. È come se avessimo dentro valori positivi e non avessimo mai il motivo di tirarli fuori".

Che effetto ti fa sentire una sala intera che ride, quelle risate belle che fanno stare bene e di cui, soprattutto di questi tempi, abbiamo tanto bisogno. Senza dimenticare che al centro del film ci sono i bambini e la scuola, un argomento che dovrebbe stare a cuore a tutti

"Io vado sempre in sala a vedere i miei film, cerco di capire se alcuni meccanismi sono stati azzeccati. Mi fa un piacere enorme. Se le risate e la commozione arrivano nei punti in cui ce li saremmo aspettati è una conferma ma soprattutto è un grande piacere sentire le risate, il divertimento che io sento sempre legato ai temi che propongo. Quindi il divertimento legato ai temi e alla loro condivisione anche attraverso la risata. Questo mi dà una soddisfazione altissima. Faccio questo lavoro per questo. Voglio condividere alcuni temi che vivo da cittadino di questo Paese. Quando il pubblico risponde è una soddisfazione enorme sia professionale che umana".

Riccardo Milani con i bambini di Un mondo a parte
Riccardo Milani con i bambini di Un mondo a parte - @Claudio IannoneUmap

I tuoi film ricordano la commedia all’italiana in cui temi drammatici venivano trattati con ironia. Ti ispiri al cinema di quegli anni (’50- ’70)?

"Sono italiano e faccio commedie, quindi inevitabilmente è una commedia all’italiana perché gli elementi sono questi. Essendo italiano racconto storie italiane. Poi certo io sono cresciuto con quella commedia, da spettatore e poi anche professionalmente. Ho cominciato con Monicelli. Con Mario abbiamo condiviso un percorso di apprendimento".

Ci racconti qualcosa di Monicelli?
"Ho cominciato un giorno a Cinecittà chiedendo di poter fare l’assistente volontario. All'epoca si faceva molto. Si faceva l’assistente anche senza essere pagato per cercare di imparare. La cosa che dovevi fare non era stare a guardare, era lavorare. Almeno con lui era così. Dovevi essere parte attiva del lavoro, quindi fare le cose più impensate come portare il caffè a tutti, arrivare prima la mattina, reggere l’ombrello alle attrici riparandole dal sole e dalla pioggia. Fermare il traffico. Cose che ti facevano sentire parte del meccanismo. Mestiere come lavoro, una sorta di esercitazione intellettuale. Questo ho imparato da lui e che ho cercato di portarmi dietro. E poi cercare l’ironia dove possibile anche se i temi erano importanti nel nostro Paese. E poi con Mario ho diviso tanti set. Il primo set è stato Speriamo che sia femmina. Un set enorme perché c’era un cast pazzesco. C’erano Catherine Deneuve, Liv Ullmann, Philippe Noiret, Bernard Blier, Stefania Sandrelli. Uno di quei set che non ti scordi più. La lezione era questa. Io vedevo questo grandissimo maestro del cinema italiano mangiare pane e mortadella. Uno spirito artigianale che è sempre stato fondamentale. Quello che mi ha guidato sempre".

Cerchi di dirigere il cast come faceva Monicelli o siete molto diversi?
"Intanto parliamo di un regista inarrivabile, di un altro pianeta. È inevitabile che quando dirigo un set sento di muovermi come avevo visto fare. Non vuol dire essere come Mario ma accostarsi un pochino perché questa è stata la mia formazione. Quindi inevitabilmente a volte mi rendo conto anche di usare delle frasi, dei modi di dire. Io continuamente sul set chiedo che manca per cominciare a girare? Era un suo modo di scandagliare le giornate, lo faceva continuamente perché era il momento di girare e non voleva aspettare troppo. Cercava anche di dare uno stimolo ai reparti, ai collaboratori, a tutti quelli che erano sul set. La figura del regista è come una sorta di direzione d'orchestra, forse anche più artigianale, dove tutti hanno una funzione, un ruolo. La storia si mette in piedi con tutte le persone che sono sul set. Non è un affare solo di sceneggiatura, di regia, degli attori. È un lavoro di squadra. Magari tutte comunità fossero organizzate come un set dove ognuno ha un ruolo e tutti quanti collaborano allo stesso obiettivo".

A volte però si deve a che fare con le prime donne e a chi mette davanti le esigenze personali
"Sì, però a me non è mai capitato di avere questo tipo di impatto, questi incontri. No. Io vedevo lavorare Mastroianni, vedevo lavorare Gassman, vedevo lavorare Manfredi. Mangiavano pane e mortadella pure loro. Era un clima così, con Mario era così. Il profilo era sempre molto basso, non c’era mai la star, la prima donna. C’erano grandi attori a cui dovevi tanto rispetto, su cui dovevi importi con educazione".

Registi e attori indimenticabili
"Allora non c'era questo grande apprezzamento della critica. Per Monicelli come per Totò e Sordi che ho avuto la fortuna di conoscere. Quando si facevano le commedie erano comunque film di commedie, non erano film, erano sempre commedie. Questa cosa già metteva una divisione tra un film vero e un film di commedia. Mario lo diceva sempre, più i film hanno successo, più la critica cercherà di tartassarli un po’ o di trattarli come se fossero di serie B o serie C. Mi raccontava episodi su Totò e su Sordi che mi facevano allora impressione perché dicevo come è possibile che Sordi venisse cancellato dai manifesti da Roma in su per pubblicizzare un film, perché sarebbe stato un problema? Oppure Totò considerato un attore di serie C. Come è possibile? Con gli anni poi la celebrazione però è arrivata".

Celebrazione che è arrivata prima in Francia che in Italia
"È vero. Lo diceva anche Scola. Io conoscevo anche Ettore e lo diceva anche lui. In Francia era più considerato che in Italia. Ma anche Nanni Loy, anche Risi, anche Monicelli stesso. Era un atteggiamento che non credo sia finito. Tutto quello che diventa popolare diventa soggetto di possibili discriminazioni proprio perché è popolare. Ma il cinema deve essere questo, io ho imparato questo e penso che sia giusto che sia così, che il cinema parli alle persone, alla gente. Poi certo non è che la qualità di un film si determini solo con la quantità di persone che vanno a vederlo, però non è detto che la quantità sia automaticamente un difetto. Io mi sono sempre chiesto, e continuo a chiedermi, chi stabilisce qual è la qualità? Quali sono questi parametri? Non deve essere certo la quantità di incassi a determinare la qualità di un film ma nemmeno può essere il contrario. Non mi pare che si faccia male al cinema. Purtroppo ci sono stati decenni nel nostro cinema in cui invece un film per pochi, un film molto piccolo, autoprodotto, in quanto selettivo, in quanto un film molto di nicchia, aveva più valore. Abbiamo cresciuto generazioni intere di cineasti purtroppo con questi parametri e questo ha fatto molto male al nostro cinema".

Voi in famiglia (sua moglie è Paola Cortellesi) ormai siete degli specialisti nel battere i colossi americani. Paola Cortellesi ha ricevuto la stand ovation a Parigi e Londra con il suo C’è ancora domani (in programmazione su Sky Cinema).  Che effetto vi fa?
"Non è cambiato niente. Crediamo nelle stesse cose in cui credevamo prima. Ovviamente lei ha un successo enorme. Ma noi abbiamo sempre diviso i film in belli e brutti. Non è scritto da nessuna parte che un film debba essere bello perché io dico che è bello.  Sono opinioni personali. Vale anche per una canzone, per un libro. Penso sia giusto così".

Però il successo che sta avendo Paola Cortellesi è qualcosa di imprevisto, no? Come lo sta vivendo?
"È molto felice, non potrebbe essere altrimenti. Però tiene i piedi per terra come sempre".

Tornando a Un mondo a parte, parliamo dei due attori che sono gli unici dei cast (per il resto composto da persone del posto, non attori professionisti). Hai lavorato tante volte con Antonio Albanese (Il maestro Michele Cortese nel film) ma c'è qualcosa in cui riesce ancora a stupirti?
“Sì perché noi ci diciamo pochissime cose, le cose che contano. 2-3 linee guida su un personaggio, sulla storia, la condivisione degli obiettivi. E poi ci diciamo pochissimo. Da quel pochissimo, da quelle due, tre cose, andando avanti vedo in alcune sfumature, in alcuni passaggi, quelle linee guida che vengono rispettate. Quella capacità di tornare ai tratti fondamentali di personaggio, anche attraverso piccole cose. Questo mi stupisce sempre, non può non stupirmi, no? Sia in termini di divertimento che di emozione. Antonio è travolgente, pur avendo il senso della misura. Con lui condividiamo tanto il senso della misura in questo lavoro. È il motivo per cui abbiano fatto cinque film insieme e spero che ne faremo altri".

Bravissima anche Virginia Raffaele (La vicepreside Agnese nel film), anche nel modo in cui parla il dialetto abruzzese. È talmente brava a fare più cose e questo forse non le ha ancora dato la considerazione che merita come attrice. Sei d’accordo?
"No, semplicemente sta facendo un passo alla volta nella sua carriera. È molto giovane ancora. È tutto da fare ancora. Ha un grande talento, una grande capacità di fare tante cose. L’uso del corpo, della voce. Qui esce fuori la costruzione di un personaggio. Quella determinazione, quella capacità di calarsi dentro il carattere di queste donne che io conosco bene, conosco quel territorio. Questo modo di essere così decisa, così ruvida a volte. Però anche la capacità di emozionare. Sono tutte cose che vengono fuori un po’ alla volta. Quando c’è sotto qualcosa di buono alla fine viene sempre fuori. In questo momento per lei sta venendo fuori in un modo molto evidente. In questo film credo abbia fatto un salto in avanti. Come capacità interpretativa mi pare che con questo film abbia messo un punto anche sul cinema".

Riccardo Milani con Antonio Albanese e Virginia Raffaele
Riccardo Milani con Antonio Albanese e Virginia Raffaele sul set di Un mondo a parte - @Claudio Iannone_Umap

Con Un mondo a parte ti senti di aver fatto un gol alla Gigi Riva?

“(Ride) Che bella cosa che dici. Io un po’ volevo fare il calciatore. Ogni volta che entro in una sala a salutare il pubblico è come se uscissi fuori dagli spogliatoi per entrare in campo. Quindi è perfettamente calzante. Poi è l’esempio più alto e nobile possibile. Quando Gigi è morto è stato un dolore per me enorme, che ho provato altre volte nella vita però è un grande vuoto perché è una persona di riferimento. Uno che ti lascia tanto dal punto di vista etico, morale. Sapere che non posso andare a Cagliari a trovarlo e mettermi seduto vicino a lui sulla poltrona è un dolore lancinante che non mi passa più".

Ti va di condividere un ricordo dei momenti passati con lui?

“Una cosa che posso dire è questa, la camera ardente e il funerale di Gigi sono state le cose più emozionanti e strazianti della mia vita. Io ero con lui e con la famiglia nella camera ardente e ho visto migliaia di sardi passargli accanto e ringraziarlo, toccarlo, sorridergli. Tutti lo hanno ringraziato, grazie per tutto quello che hai fatto per noi. È stata una manifestazione di un popolo che forse non avevo mai visto. Al funerale quella marea umana che era lì a salutarlo, a celebrarlo e a dargli affetto. Credo di non aver mai visto un popolo così riconoscente verso una persona".

 

Nel suo piccolo anche Michele Cortese (Antonio Albanese in Un mondo a parte) è un po’ così. Gigi Riva si innamora della Sardegna e Michele dell’Abruzzo 

"Penso che ci sia qualcosa che li lega. Anche Gaber era così. Persone che hanno avuto il coraggio di fare delle scelte scomode e di seguire la passione autentica. Quando ci sono valori etici e morali, se li persegui, se ce li hai dentro, devi capire qual è il luogo giusto per tirarli fuori. Gigi ha scelto la Sardegna. Michele Cortese ha scelto un paesino di 300 abitanti invece della grande città. Penso che sia questo, penso che ci sia un accostamento inevitabile perché è un po' la ricerca del lato umano. È una cosa che cerco di fare sempre con le storie che racconto".

Un altro tuo grande amore è l’Inter. Tu che sei di Roma con papà tifoso della Lazio, com’è nata questa passione?
"Avevo sei, sette anni. Ero piccolino. Mio padre mi disse qualche volta ti porto allo stadio. Io ero felice, veramente felice. Papà era tifoso della Lazio e mi portò a vedere la Lazio. Solo che la partita che mi portò a vedere era Lazio-Inter. L’Inter vinse 3-1 e io da allora sono diventato interista".

Un giocatore, i colori, cosa ti è piaciuto di più?
"Intanto il fatto che avesse vinto. Era una squadra fortissima, vinceva tutto. Era un Inter quasi imbattibile. Poi da allora è diventato tutto, anche i colori, i giocatori. Quando ho girato il lavoro su Gigi Riva ('Nel nostro cielo un rombo di tuono'), ho incontrato Massimo Moratti, figlio del presidente di allora. È stata un’emozione incredibile. Moratti un presidente vero, importante, un uomo elegante, una persona meravigliosa. E ho conosciuto Sandro Mazzola a cui ho chiesto di Gigi. Anche quella è stata un’emozione incredibile. Questo mestiere ti porta a chiudere dei cerchi della vita che non ti aspetti, è una grande fortuna".

Quell’Inter che vinse contro la Lazio era l’Inter di Herrera? Quella di Sarti, Burgnich, Facchetti
"Sì, sì. Sarti, Burgnich, Facchetti, Guarneri, Picchi, Bedin, Jair, Mazzola, Peirò, Suarez, Corso. In panchina c’era il mago Helenio Herrera".

E questa Inter con Sommer, Pavard, Acerbi, Bastoni…ti piace?
"Sì mi piace. È una squadra molto forte. Un squadra che sa vincere, che ha una mentalità vincente. Con talenti come Barella e Dimarco su tutti. Ha grandissimi giocatori, Çalhanoğlu, Mkhitaryan. È una grandissima squadra. Incociamo le dita, incrociamo tutto".

La seconda stella potrebbe essere il titolo di un film?
"È un bellissimo titolo. Mi piace".

Andrai allo stadio?
"Sto cercando di capire quale sarà la partita importante".

Potrebbe essere il derby. Ti piacerebbe vincere lo scudetto nel derby?
“Mamma mia. Mamma mia... (ride)".