I 'Capitani' di Gianfelice Facchetti: eroi e bandiere di un altro calcio

LIBRI & SPORT

Alfredo Corallo

Il nuovo libro dello scrittore di fede interista è una magnifica galleria di figure leggendarie e leader come Riva e il padre Giacinto. "Erano degli ambasciatori che parlavano la lingua della strada - spiega l'autore - quella del pallone e delle sue leggi, incaricati di avvicinarla ai piani alti del potere grazie alla seduzione infantile del gioco". L'intervista

INTER: LO SPECIALE SCUDETTO -  LA FESTA IN LIVE STREAMING

"Hanno scelto per noi i colori del cielo e della notte...". Il monologo firmato e interpretato sul 'palco' del Meazza da Gianfelice Facchetti per il Centenario dell'Internazionale Football Club è un sacro canto d'amore, un'ode all'Interismo e un tributo ai 40 ribelli che la sera del 9 marzo 1908 si radunarono nel cuore di Milano, al ristorante L'Orologio, con un sogno: "Dare la possibilità a tutti, italiani e stranieri, di giocare a calcio per la stessa bandiera. Nerazzurra". Il padre, Giacinto, è stato un monumento della Grande Inter di Herrera, nella stagione 1965-66 'oscar' al miglior calciatore protagonista nel titolo della (prima) stella, quando rivoluzionò definitivamente il ruolo del terzino magnificandolo già, con 60 anni d'anticipo e 12 gol (di cui due in Coppa dei Campioni) al ruolo dell'esterno sinistro 'alto' che conosciamo oggi. È con il papà che, idealmente e molto di più, l'attore e drammaturgo, ora in veste di scrittore con il suo Capitani, ha vissuto la vigilia del derby-scudetto della seconda stellina d'oro: "Noi aspettiamo, senza fretta. Come si aspetta un giorno di festa, un treno per una destinazione speciale, un istante di felicità da dividere in due".

Giacinto e Gianfelice Facchetti
Instagram @gianfelice_facchetti

A sinistra, il tenero scatto condiviso sui social da Gianfelice Facchetti nelle ore che hanno preceduto Milan-Inter: da bambino, a San Siro, con papà Giacinto. Sulla destra, la copertina del volume.

Capitani

Il libro di Facchetti (Edizioni Piemme, con cui nel 2022 aveva già pubblicato C'era una volta a San Siro) è una commovente galleria di affreschi risorgimentali, supereroi di coscienza e lealtà, semidèi di una galassia lontana, negli ideali più che nel tempo. Un viaggio che vorremmo non finisse mai, dal poema epico del Toro di Valentino Mazzola alle invincibili Juventus di Boniperti e Scirea,  attraversando l'Italia in punta di piedi con il  "permesso?" di Zola al suo primo giorno di scuola alla Torres e rigorosamente in camicia bianca come il primo capitano della Nazionale, il poliglotta catanese 'Franz' Calì; ritratti di leader dalla chioma sempre perfettamente pettinata, coraggiosi, silenziosi, dei profeti in patria Totti e 'Totonno' Juliano, la dinastia Maldini, Roberto Baggio, di quelli che ci hanno sempre messo la 'fascia' come Armando Picchi e Javier Zanetti. Una saga ispirata da babbo Cipe, la sua bussola, e modellata sull'archetipo dell'immortale Rombo di Tuono. "Ciò che le persone hanno amato in uomini come Gigi Riva e che rimpiangono - scrive l'autore - è la stagione in cui gli idoli abitavano in mezzo alla gente perché parlavano la stessa lingua. Condottieri dalle schiere fedeli di seguaci, quelli che Vladimir Dimitrijevic chiamava 'santi nel pallone': i tifosi, paragonati agli apocrofi dei vangeli, veri custodi della memoria di una squadra di cui conoscono date, paladini e miracoli".

Nel 2011 l'uscita di 'Gaetano e Giacinto', canzone degli Stadio dedicata a Scirea e Facchetti, fu lo spunto per uno speciale di Sky Sport sulla carriera dei due capitani con i figli Riccardo e Gianfelice.

Nella notte delle stelle, una marea di 'santi del pallone' ha invaso piazza Duomo, nonostante la pioggia. I più intrepidi sono riusciti perfino a toccare con mano alcuni dei campioni d'Italia, sbarcati in Galleria a notte fonda: per un attimo, è sembrato di tornare al calcio del suo libro e anche il gesto di Barella di arrestare il fiume in piena di offese all'indirizzo di Theo Hernandez è stato molto 'facchettiano', di gran classe.

"Sfonda una porta aperta perché sono innamorato di Barella. Non per niente a scoprirlo è stato un altro favoloso sardo, Gianfranco Matteoli, il mio preferito da ragazzo. È stato un bel momento, perché è di questa semplicità che abbiamo bisogno. Questo abbraccio tra 'eroi' e 'comuni mortali' resta una delle cose da preservare, è stato prezioso".

In che 'categoria' di capitani collocherebbe Lautaro?

"È l'esempio lampante di quanto la fascia possa responsabilizzare, rendere più maturi e consapevoli nel percorso di crescita di un campione. Non ne ho scritto nel libro per una questione 'scaramantica': si parlava di rinnovo nei giorni in cui lo stavo terminando e ho preferito evitare di addentrarmi in una circostanza che, spero, finisca con un lieto fine".

 

È il degno erede di Zanetti, insomma.

"Indubbiamente. Loro sono anche uniti dalla terra d'origine e l'impressione è che questa cosa non possa che fare bene: avere Pupi come modello di riferimento per un calciatore argentino è la cosa più bella che ci possa essere".

 

Quella 'macchia' nella finale di Madrid, però...

(ride) "Cristian Chivu ha raccontato che per una volta ha trasgredito anche Javier, dopo il trionfo del Bernabeu: lui e Dejan Stankovic (i diavoli tentatori, ndr) lo hanno visto fumare l'unica sigaretta della sua vita". 

 

Che effetto fanno quelle due stelle?

"Bellissimo! Vincere lo scudetto in casa dei cugini, poi... è stata una grande dimostrazione di forza, che suggella un periodo d'oro per l'Inter in questi ultimi 15-16 anni. Anche se non dimentico la delusione del 2022, le lacrime di Lautaro e Dimarco nella partita con la Sampdoria, quando era chiaro ormai che il Milan avesse vinto il campionato. Una vittoria che ci ripaga in parte anche del dispiacere per la sconfitta in finale di Champions".

Scudetto Inter: il taglio della torta dei giocatori
©Getty

Suo padre di Coppe dei Campioni ne conquistò due e il suo nome è marchiato a fuoco nel 'pantheon' delle leggende interiste. Capitano dell'Italia regina d'Europa nel '68, quella che battè la Germania 4 a 3 nell'omerica semifinale di Messico '70, 8 volte tra i candidati al Pallone d'oro (2° alle spalle di Eusebio nel '65). Riva lo definì "l'angelo della Nazionale, il prototipo dell'integrità morale per tutti noi compagni".

"Mia madre conservava tutti i telegrammi che gli venivano recapitati in ritiro. Messaggi d'incoraggiamento, sostegno, desiderio di condivisione. Era qualcuno a cui poter chiedere, se non miracoli, almeno ascolto. Una persona degna della fiducia di un popolo intero. Il capitano della Nazionale non era il giocatore più famoso, ma quello più rappresentativo e riconosciuto. Un ambasciatore che parlava la lingua della strada, incaricato di avvicinarla ai piani alti del potere grazie alla seduzione infantile del gioco. Uno di famiglia, un poster in cucina cui potersi rivolgere con una certa confidenza, come il personaggio interpretato da Ugo Tognazzi nel film Splendori e miserie di Madame Royale: 'Ciao, Facchetti'!".

 

Nella storia dell'Inter entra di diritto anche lei: il suo monologo nel Centenario resterà una pagina indelebile del romanzo nerazzurro.

"L'ho scritto di getto. Il mio primo pensiero, da attore, è stato: lo leggo o vado a memoria? Ma che figura ci avrei fatto a presentarmi con il foglietto... Pensai comunque di portarlo, per sicurezza; poi, sulla strada per lo stadio mi accorsi di aver lasciato in hotel la borsa con gli appunti. Se non sono tornato indietro lo devo alla lezione del teatro: se ti sforzi di fare la cosa più semplice, ovvero stare con gli altri e con quello che c'è intorno a te, non ti perdi mai. Ero parte di un coro, mi è venuto tutto naturale perché non ero solo. Un momento di assoluta magia, la mia emozione più grande nel mio rapporto con l'Inter, una sorta di legame per l'eternità".

Gianfelice Facchetti recita il suo monologo per i 100 anni dell'Inter
©Ansa

Lei è cresciuto a Cassano d'Adda, il paese natale di Valentino Mazzola. 

"Il totem della squadra più amata di tutti i tempi in Italia, uno dei più grandi numeri 10 di sempre. Lui e i suoi compagni sono nel mito e non è un caso che la fascia da capitano compaia nella stagione successiva alla tragedia di Superga, una specie di spartiacque, una scelta simbolica che testimonia la statura di quella squadra. Fatalità vuole che Inter-Torino di domenica si giochi a 75 anni dalla sfida del 30 aprile 1949, l'ultima che i granata - ormai sicuri dello scudetto - disputarono prima di partire per l'amichevole di Lisbona, da dove non torneranno mai".  

 

Davvero toccante anche il suo ricordo di Gianluca Vialli. 

"Ho avuto la fortuna di conoscerlo in occasione del Premio Facchetti-Il bello del calcio, che organizzavamo con la Gazzetta, nel mese di febbraio 2019. 'Quando mi hanno comunicato che volevate premiarmi - esordì - ero molto sorpreso. Io il bello del calcio? A me avevano sempre detto al massimo che ero simpatico. Poi ho visto che l'avevano dato anche a Zola e mi sono detto... beh, allora lo posso vincere anch'io!'. Dopo, commosse tutti: 'Accetto con umiltà e fierezza questo premio. So com'è andata la scelta, avrete detto: diamolo a Vialli perché magari l'anno prossimo sarà troppo tardi'. Anche quella volta insegnò a tutti il valore della parola dignità".

Gianfelice Facchetti e Gianluca Vialli nel 2019
©Ansa

La battuta di Vialli su Zola è insuperabile, ma nel libro non mancano delle 'boutade', come il gioco degli anagrammi. Così Beppe Bergomi diventa "Go, è sempre più big" e Alessandro Del Piero "Sarà l'eroe splendido".

"Mi divertiva il fatto che anche mescolando le lettere, certi nomi rimanessero coerenti ai loro altissimi profili, che qualcosa di sensato uscisse sempre. La conferma che questi gladiatori sono un punto fermo, mentre nella storia del football quasi tutto va di fretta, con il rischio concreto di sprofondare amaramente in un abisso non solo culturale, ma soprattutto valoriale". 

 

Il ruolo dei maestri, di navigatori esperti, rimane un'ancora di salvezza in questo mare un po' agitato?

"Sicuramente. Pensiamo a Nils Liedholm: da calciatore passò la fascia a Cesare Maldini e da allenatore fece debuttare il figlio Paolo in Serie A, ma fu anche la guida di Antognoni a Firenze, del povero Di Bartolomei alla Roma, lanciò Signorini. Parafrasando Paolo Conte: il capitano, come il suo Maestro è nell'anima e dentro all'anima per sempre resterà".