Thomas Trabacchi racconta a Sky Il Re. Esalta l'Inter e tifa Sinner
L'IntervistaNella seconda stagione de Il Re (in onda su Sky Atlantic e su Sky Cinema Uno) interpreta il magistrato Vittorio Mancuso, un personaggio chiave. Una carriera cominciata "dalla disperazione" e una "passione nata con l’approfondimento". Grazie anche a un maestro speciale, Vittorio Gassman. Ma la passione di sempre è l’Inter, "Il nostro Statuto è una piccola poesia". E se può non si perde una partita di Sinner: "Mi esalta, uno che mi ha dato emozioni simili era Alberto Tomba"
Thomas Trabacchi sa passare con disinvoltura dal teatro, al cinema, alla televisione. Si è diplomato alla Bottega Teatrale di Vittorio Gassman. Si è unito al cast de Il Re nella seconda stagione con Luca Zingaretti, Isabella Ragonese e con la regia di Giuseppe Gagliardi. Interpreta il magistrato Mancuso "Un innocente che va in galera, ammesso che sia innocente". Come gli ha insegnato Gassmann, vive la recitazione come uno sport "Una battuta sul palco è come un colpo nel tennis. Tiro una pallina carica d'effetto oppure piatta e tu me la rimandi in un altro modo". Dal set al campo da tennis e le partite contro il collega Luca Zingaretti "Io gioco molto meglio di Luca a tennis, ma lui mi batte perché è un caterpillar, è molto competitivo". Da Il Re a I Re, con i protagonisti della seconda stella dell’Inter. "Potremmo pensare a una serie parallela a Il Re con me e Luca Zingaretti ma dovremmo cambiare l'articolo e metterlo al plurale. I Re, perché sono tutti dei Re".
Mi racconti come sei entrato a far parte della serie Il Re?
"Lo scorso anno ho lavorato tantissimo. Nel periodo in cui sono stato contattato per fare il provino per Il Re, ero impegnato in altri set. Era un po' di tempo che lavoravo e che non mi fermavo, quindi ero anche un po' stanco. Inizialmente non volevo fare il provino. Sapevo che la prima stagione era andata bene. Conoscevo Isabella Ragonese, Luca Zingaretti, conoscevo il regista con cui avevo già lavorato, Giuseppe Gagliardi. Ero sicuro che ne valesse la pena, però un po' per stanchezza, un po' perché dopo 30 anni di carriera seleziono i provini da fare, non volevo farlo. Giuseppe, che conosco e stimo tanto ha insistito. Quindi sono andato a fare il provino. Gagliardi è veramente un regista che garantisce una qualità alta da un punto di vista formale e anche da un punto di vista della scelta degli attori. Sono andato a fare questo provino ed è stata una piccola giornata di lavoro con Giuseppe in cui abbiamo lavorato tanto su una scena abbastanza importante e iniziale di Mancuso. Un'altra cosa bella di Giuseppe è che ti spinge, questo dovrebbero fare sempre i registi, a scavare per tirare fuori il meglio. Conosco da tanto anche Luca Zingaretti. Con lui giocavamo a tennis in tempi non sospetti. Tra l'altro io gioco molto meglio di Luca a tennis, ma lui mi batte perché è un caterpillar, è molto competitivo. Anche Isabella Ragonese è una grande attrice. L'attore è un po' come il realizzatore di una squadra. C'è tutto un lavoro dietro, a un certo punto questo pallone arriva al centro dell'area e qualcuno lo deve mettere dentro. Come chi mette la faccia, chi dà corpo e forma all'immaginazione degli autori. È stato bello. Dopo che mi hanno detto che il provino era dato bene e avrei fatto parte del progetto, Giuseppe mi ha dato subito un'indicazione fisica che è quanto di più utile possa avere un attore. Abbiamo bisogno di indicazioni concrete, non astratte. Se tu vieni da me e mi dici falla un po' meno cattivo, un po' più buono, è una cosa astratta. Se tu mi dici, hai appena finito una maratona di 40 km, sei stanco, hai male alla gamba destra, questa è un'indicazione concreta. Lui mi ha subito chiesto di lavorare sulla stanchezza. Io ho una postura un po' più spavalda, a mio malgrado, e quindi c'è stato da fare anche un lavoro sul corpo".
Il tuo ruolo è molto importante, è un un personaggio chiave. Sei un magistrato che finisce in prigione e deve ingegnarsi per uscirne.
"Sì, inizialmente era un tema classico, un innocente che va in galera, ammesso che sia innocente. È un lavoro fatto anche di silenzi, non solo di dialoghi, e questo mi dà l'occasione per dire un'altra cosa che penso del mio lavoro. Quando incontro i giovani che mi conoscono, apprezzano il mio lavoro e mi chiedono dei consigli, una delle cose che dico è state attenti alle battute, perchè sono trappole. Va bene il monologo, la battuta ma i piani di ascolto costruiscono anche di più un personaggio. Ovviamente noi dipendiamo dalla complessità, dall'architettura della sceneggiatura. Possono esserci anche dei piani d'ascolto di un personaggio che incide poco. Nel mio caso, come hai detto tu, è un personaggio importante dentro la drammaturgia della situazione. È anche costretto dal contesto a esternare meno, ad ascoltare un po' di più, a guardarsi in giro. È un po' come una bestiolina impaurita, ferita. Sta lì, guarda, cerca di capire come uscirne, è in un ambiente che non è il suo. A me questo fatto dei piani d'ascolto è molto piaciuto. Non si capisce bene di che cosa sia accusato, non si capisce bene appunto se è innocente o no, ma quello che è certo è che è un uomo che esercita un certo potere nella vita e da un giorno all'altro perde ogni facoltà che è abituato a gestire. È un uomo colto e finisce in un ambiente dove la cultura si abbassa, dove c'è la legge della sopravvivenza. E lì si apre il tema della carcerazione, degli istituti carcerari. Anche Il personaggio di Luca Zingaretti è molto interessante. Questo Re che somiglia al luogo che dirige, un luogo dove devi passare attraverso la violenza e la sopraffazione. Però in qualche modo mantiene anche un suo senso della giustizia, pur nell'illegalità, e lo pagherà anche sulla sua pelle alla fine della prima stagione".
Ormai le serie tv fanno parte della quotidianità, ce ne sono tante e diverse. Adesso anche quelle italiane offrono dei prodotti di altissima qualità. Tu come hai vissuto questo cambiamento, questo successo delle serie tv?
"Io molto bene. La storia è ciclica. Quando non era stato inventato il cinema c'era il teatro e appena hanno inventato il cinema gli attori che cominciavano a fare cinema venivano guardati dall'alto verso il basso da quelli che facevano teatro. Pensavano cos'è questa cosa? La recitazione è un'altra cosa. Dopo è arrivata la televisione. Gli attori che facevano televisione venivano guardati dall’alto verso il basso da quelli che facevano cinema e teatro. In realtà teatro, cinema, televisione richiedono di usare l'energia in modi diversi, ma la qualità la puoi trovare ovunque, anche nelle serie televisive. Ricordo anni fa in cui noi italiani facevamo serie forse un po' più dozzinali. Hitchcock intanto aveva fatto per la televisione Ai confini della realtà, David Lynch aveva fatto Twin Peaks. Serie che avevano una portata artistica, cinematografica. Più recentemente pensiamo alla prima stagione di True Detective o a The Night Of (entrambe On demand su Sky). A un certo punto Marco Tullio Giordana ha fatto La Meglio Gioventù, che infatti è andata in sala. Esterno Notte di Bellocchio va prima in sala e poi va in tv. Quindi piano piano non abbiamo più una differenziazione di questo tipo. Io sono contento perché ho l’opportunità di fare teatro, cinema oppure una serie televisiva, sapendo di lavorare per un prodotto di grande qualità. Tanti dicevano se giri una serie per la televisione devi per forza fare tanti primi piani, devi stare attaccato alla faccia degli attori. A me piacciono tanto i campi lunghi, mi piacciono i campi a due. Pensa a Breaking Bad. Nel deserto vedi una macchina che entra a estrema destra del fotogramma e ci mette 30 secondi per uscire a estrema sinistra. Sai che in quella macchina c'è Mr. White o una partita di droga, però sono 30 secondi di inquadratura senza fretta e con un paesaggio profondo, ti danno delle suggestioni. Allora la serie televisiva in questo senso ha anche un vantaggio in più se si sviluppa in più stagioni. Mettiamo il caso che decidessero di fare la terza stagione de Il Re. il personaggio di Mancuso l'ho già impostato, gli ho già dato una forma, è come se avessi modellato una cosa con la creta. A quel punto tra un anno o tra sei mesi, arrivato sul set posso andare in profondità, conoscere altre cose del mio personaggio. Si va avanti. In teatro questa cosa accade, quando tu fai uno spettacolo una stagione, poi fai la ripresa l'anno dopo. C'è un lavoro inconscio che galleggia, che sta dentro di te ed emerge naturalmente quando hai avuto un po' di tempo per non pensarci neanche. È come una cosa che è sedimentata, l'oscurità dentro di te che poi germoglia e vai sempre più in profondità, conosci meglio i personaggi. C'è un potenziale artistico che secondo me in Italia non ha nemmeno ancora dato tutto quello che può dare. Forse dobbiamo scrivere serie ancora più belle, ancora più interessanti, su argomenti che riteniamo più necessari o meno, penso che ci sia ancora margine per andare avanti".
Come è nata la tua passione per la recitazione?
"Potrei dire che nel mio caso è nata un po' dalla disperazione. Vengo da una famiglia di media borghesia. Quando avevo dieci anni, papà è mancato, Con lui si andava al cinema. Mi ricordo che ci aveva portato a vedere Frankenstein Junior di Mel Brooks e Odissea nello spazio di Kubrick. In casa avevamo qualche biografia di grandi registi quindi si respirava il cinema, mio padre era un art director. Poi dopo mia mamma è rimasta vedova e doveva tirare su due ragazzi, me e mia sorella. Quindi questa cosa negli anni ‘80 a Milano non l'ho coltivata per niente. Non sapevo bene cosa fare della mia vita, non ero molto centrato da ragazzino. Siccome mia sorella aveva studiato alla Scala, è stata una ballerina professionista, mi diceva perché non provi ad entrare in una scuola di teatro? Io ero un pessimo studente a scuola, non mi andava di studiare. Poi casualmente, oltre a questo input di mia sorella, avevo conosciuto un amico comune che già faceva teatro e allora ho seguito questo consiglio. Avevo fatto il militare e non avevo finito il liceo all'epoca. Vedevo il mio futuro un po' incerto. Quindi provai a entrare in una scuola di Milano, l'Accademia di Filodrammatici, ma non mi presero. Però preparandomi con questo mio amico, ho conosciuto Pirandello e il monologo in L'uomo dal fiore in bocca. Mi sono appassionato, ho capito che era un gioco che forse potevo affrontare in maniera seria. Quindi diciamo che la passione nasce con l'approfondimento per una certa letteratura di teatro, per una certa filmografia. L'approfondisco quando comincio a pensare di poter fare questo lavoro, che all'epoca mi sembrava un sogno, perché ero anche abbastanza timido. Dopo ho fatto un piccolo corso a Milano al Centro Teatro Attivo che durava solo tre mesi e ti dicevano se secondo loro tu eri in grado di fare l'attore. Contestualmente Vittorio Gassman faceva i provini per la Bottega Teatrale. Vittorio mi ha preso ed è nato tutto così".
Raccontaci qualcosa della tua esperienza personale con Gassman.
"Quando Gassman è mancato, mia madre mi ha chiamato e mi ha detto, non te l'ho mai detto Thomas, ma io sono estremamente grata a quest'uomo perché ti ha salvato la vita. Ho avuto la fortuna di conoscere Vittorio e di lavorarci anche insieme nei due anni di scuola ed è stato straordinario. Vittorio è stato un grande attore, un grande uomo di cultura, di una simpatia immensa, veramente colto. Come insegnante poteva dire delle cose, ma aveva un corpo insegnante. Però lui ogni tanto veniva e faceva fare le sue poesie. Io ero un po’ tormentato. Ero un giovane Werther (con l’aggiunta di una definizione autoironica per sottolineare un modo di essere poco centrato). Vittorio con due, tre battute che ancora oggi mi porto nel cuore, mi ha insegnato a prendermi un po' meno sul serio, che non vuol dire non essere seri, al contrario. Posso dire che mi ha insegnato un certo modo di sorridere. Oltre ovviamente a delle cose più specifiche di recitazione, cose che però lui delegava agli insegnanti. A un certo punto facciamo un saggio di poesie sue e mi dà una poesia che parla proprio del lavoro dell'attore. È un verso che dice tocca la fronte, la mia e quella del giovane attore che con me ha dialogato. Non è un gesto d'amore, verifico se abbiamo sudato, se con sufficiente fatica abbiamo pagato l'antico privilegio del rivelare. Vittorio mi dice entro sul palco quando stai per dire tocco la fronte, mi metto di fianco a te e tu mi tocchi la fronte. Lui faceva la parte del giovane attore e io facevo la parte dell'anziano esperto. Per me era un omaggio, veniva in scena con me. Era altissimo, quindi ho dovuto alzare il dito e toccargli la fronte lassù. Non è un lavoro solo intellettuale, parte da delle idee ma è molto contadino, almeno io lo vivo così. E lo viveva così anche Vittorio Gassman. Lui veniva dallo sport agonistico, il basket. Molti esercizi che ci faceva fare avevano a che fare con l'agonismo. Io ti chiedo facciamo un dialogo come due che giocano a tennis, ok? Un combattimento di boxe è un dialogo a suo modo. Se si fa in due io ti do la battuta in un certo modo, come una pallina carica d'effetto oppure piatta e tu me la rimandi in un altro modo. Il nostro lavoro è molto concreto in questo senso, molto concreto, molto meno astratto di quello che a volte si pensa".
Parlando di tennis, grazie a Sinner sta diventando uno sport sempre più popolare. Da giocatore e appassionato cosa ne pensi? Ti viene voglia di giocare?
"Certo, sì anche se ho problemi con le ginocchia e nel tennis vengono molto sollecitate dai cambi di direzione. Però io non mi perdo le partite di Sinner. Se posso, in un Grande Slam metto la sveglia e mi alzo di notte a vedere Sinner. Mi esalta, a parte che è un personaggio straordinario, anche se ha questo grande difetto di essere milanista. È abbastanza impressionante quanto sia centrato questo ragazzo, anche nelle risposte, come si pone. Mi fa quasi impressione, ha l’età di mio figlio, 22 anni. Mi auguro che i guadagni non lo guastino, però è gente di montagna, semplice e penso di no. Mi esalta molto, sono felicissimo che abbiamo questo ragazzo che adesso è il numero 2 del mondo e forse diventerà numero 1. Quando era uscito aveva 17 anni, ho pensato che sarebbe arrivato sicuramente nella top 5. Mi dimenticavo di quanto Sinner fosse giovane e mi aspettavo già di più, prima che vincesse in Australia. Si è potenziato, ha aumentato la potenza del servizio, ha migliorato la volée, ha migliorato il tocco e poi ha la testa. Sinner mi esalta tantissimo, anche se non come l’Inter. Uno che mi ha dato emozioni simili era Tomba. Mi svegliavo e mi guardavo la prima e la seconda manche. Quando lui vinceva io esultavo quasi come a un gol di Lautaro. Sinner mi sta facendo un po' lo stesso effetto, mi esalta, faccio tifo per lui. A Roma se posso vado a vederlo. A Montecarlo dopo quell'errore dell'arbitro che tra l'altro è brava (Aurélie Tourte) ho pensato, se lo conoscessi gli consiglierei un libro molto bello di psicologia che si chiama L’ombra e il male nella fiaba di Marie-Louise von Franz. Ti fa capire che a volte essere un po' meno gentili è necessario. Sinner andava 4-1 e con due break di vantaggio. Vai dall'arbitro, educatamente, non come Medvedev che impazzisce e dà un brutto spettacolo di sé. Come sa fare lui, super educato, dice c'è un segno, è una spanna fuori. Mi dispiace Stefanos, hai fatto un doppio fallo, è doppio break".
Come è nata invece la tua passione per l’Inter?
"Questa passione è nata per mio padre, è di famiglia. Quando avevo tre anni mi ha regalato la maglia di Roberto Boninsegna. Mi ha portato allo stadio a vedere i ragazzi. L'ho visto anche accalorarsi con gli occhi del bambino e mi ha spiegato come si salta per L’Inter. Una volta saltò così tanto, dopo un bellissimo gol di Sandro Mazzola in un Inter-Torino, che finì purtroppo 0-0 perché gol Mazzola venne annullato, e perse un prezioso accendino. Poi dopo papà è mancato e io sono andato via da Milano. L'Inter è una squadra più romantica delle altre per qualche motivo, per me è così forse perché sono tifoso. Anche mia mamma è molto interista. Oggi ha 84 anni, guarda le partite, però poi non ce la fa e cambia canale. Sono molto contento di essere Campione d'Italia. Ho visto il derby soffrendo sul telefonino tra un ciak e l'altro. Mi sono perso il gol di Thuram. Il legame con l'Inter per me è un legame simbolico, io lo proteggo per quello, perché simboleggia qualcosa d'altro. Il nostro Statuto dice delle cose che sono importanti. L’Inter nasce, da una costola del Milan, da un contrasto con un'idea di discriminazione nei confronti degli stranieri. Dice che giocheranno anche gli stranieri ma lo fa in una società di inizio secolo in cui ci sono i germi di quelle che saranno poco più di un ventennio dopo le leggi razziali. Io faccio giocare l'altro, il diverso, lo straniero. lo li voglio in squadra che si chiamerà Internazionale perché noi siamo fratelli del mondo. Questa cosa mi piace un casino, ancora oggi".
Ti piacerebbe raccontare la storia dell’Inter a teatro?
"Mi piacerebbe molto e mi piacerebbe tantissimo avere a che fare anche con la società. Lavorando nel mondo della comunicazione sarebbe bello raccontarla, farla conoscere. C'è tanta letteratura, Buffa su Sky ha parlato della grande Inter. Anche il mio collega Gianfelice Facchetti, il figlio di Giacinto, ha fatto qualcosa. Non so cosa farei, magari un monologo che racconta l’Inter. Non è facile mettere in scena il gioco del pallone. La partita è un canovaccio quasi teatrale, un canovaccio con delle regole chiare ma anche le improvvisazioni. Non ti so dire cosa farei sull'Inter ma mi piacerebbe molto. Lo Statuto dell’Inter è una piccola poesia. Nascerà qui, al ristorante l’Orologio, ritrovo di artisti, e sarà per sempre una squadra di grande talento. Questa notte splendida darà i colori al nostro stemma: il nero e l’azzurro, sullo sfondo d’oro delle stelle. Si chiamerà Internazionale, perché noi siamo fratelli del mondo".
Chi è Il Re dell'Inter di questo scudetto? Inzaghi e Lautaro sono i nomi più gettonati.
"Faccio fatica a dirti un nome. Allora Çalhanoğlu? Potrei dire Mkhitaryan ma mi sembra di togliere qualcosa a qualcuno. Thuram ha fatto un'annata straordinaria. E Darmian? vogliamo parlare dei panchinari? Vogliamo parlare di Frattesi che in altre squadre avrebbe molti più minuti nelle gambe? Ma Simone Inzaghi, che ha dimostrato di essere un grandissimo allenatore, fa sempre giocare quei tre a centrocampo. Frattesi è sempre stato sorridente. Ha un impatto sulla partita incredibile, non so quante volte uno entrando dalla panchina abbia inciso così tanto. Ha segnato gol decisivi come contro Verona ed Udinese. Potremmo pensare a una serie parallela a Il re con me e Luca Zingaretti ma dovremmo cambiare l'articolo e metterlo al plurale. I Re, perché sono tutti dei Re per me, compresi Marotta e Ausilio. E poi diciamo che io non ho mai visto l'Inter giocare così bene. Ma se vuoi proprio un nome dico Mkhitaryan. Per la sua intelligenza superiore".
Chi è invece il tuo Re nella storia dell’Inter?
"Un giocatore che mi è sempre piaciuto come persona anche perché non è tanto convenzionale, è Roberto Boninsegna. Mi piaceva come si esprimeva, anche nelle interviste. E mio papà mi regalò la sua maglia quando avevo tre anni. Non può che essere lui".