Fonseca e il Milan, i 200 giorni del portoghese da allenatore rossonero

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Introduzione

È terminata ufficialmente dopo 200 giorni l'avventura di Paulo Fonseca da allenatore del Milan. Un'esperienza di alti e bassi nei risultati e nel gioco, in un contesto che non gli ha garantito mai solidità e che ha finito per risucchiarlo in un vortice senza via d'uscita. Ecco le tappe della sua storia in rossonero
 

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Quello che devi sapere

Fonseca e la concorrenza battuta

"AC Milan comunica di aver affidato la conduzione tecnica della Prima Squadra maschile a Paulo Fonseca". Con questo comunicato pubblicato il 13 giugno scorso, il club rossonero annunciava l'ingaggio dell'allenatore portoghese. L'ex Roma aveva battuto la concorrenza di Lopetegui, scelta iniziale della società poi abbandonata per la pressione dei tifosi, e proprio quella di Sergio Conceiçao che, alla fine, sarà destinato a prendere il suo posto. Fonseca che aveva rifiutato il rinnovo con il Lille e la proposta del Marsiglia per accettare la corte dei rossoneri, considerato il profilo ideale per il dopo Pioli per una serie di ragioni: dalla continutà del modulo alla valorizzazione dei giovani per finire all'eleganza e all'equilibrio sia dentro che fuori dal campo.

Fonseca e la concorrenza battuta

Perché la scelta di Fonseca

L'accordo tra il Milan e Fonseca era di un contratto triennale (2 anni con opzione per il terzo) a 3,5 milioni di euro a stagione, anche se dopo l'esonero i rossoneri dovranno corrispondere all'allenatore solo un anno di stipendio, in virtù di una clausola prevista in caso di esonero entro i primi 6 mesi. "Abbiamo scelto Fonseca perché volevamo un gioco dominante e offensivo: con tutto il rispetto per Pioli, dopo questi anni serviva qualcosa di nuovo. Paulo è l'uomo giusto, siamo molto fiduciosi" erano state le parole di Ibra per spiegare la scelta della proprietà, mentre lo stesso Fonseca - in attesa della conferenza stampa di presentazione ufficiale - aveva detto: "Sono orgoglioso di essere il nuovo allenatore del Milan e lavorerò per onorare questo club e la sua grande storia. Insieme vogliamo eccellere e scrivere un nuovo capitolo di successi che speriamo di celebrare con i nostri straordinari tifosi. Forza Milan".

Le ambizioni del portoghese

"Ho l'ambizione di entrare nella storia del Milan" erano state le parole d'esordio di Fonseca, davanti ai giornalisti presenti in sala stampa, nel giorno della sua presentazione, con una promessa ai tifosi: "Saremo una squadra che giocherà per vincere, coraggiosa, dominante, offensiva. Non dobbiamo solo vincere, ma anche avere un gioco che appassioni i tifosi. Dobbiamo dare anche spettacolo. Se vogliamo vincere, dobbiamo rischiare. Dobbiamo avere coraggio di essere diversi. Questo è il mio modo di pensare". Il portoghese aveva cercato subito di stringere un buon rapporto con i sostenitori rossoneri, intrattenendosi con loro per foto e autografi nei primi giorni di ritiro.

Le ambizioni del portoghese

La partenza tutta in salita

"Sono qui per lottare per lo scudetto" aveva dichiarato alla vigilia della gara inaugurale in campionato contro il Torino, preludio di un cammino di alti e bassi e contorno a un mercato che aveva sostanzialmente accontentato l'allenatore, sebbene l'attacco avesse alla fine puntato su un giocatore come Morata, dalle caratteristiche un po' diverse rispetto all'obiettivo iniziale Zirkzee. Contro i granata il Milan era riuscito a rimontare nel recupero due gol di svantaggio e strappare un pareggio, poi era arrivato il ko del Tardini col Parma e un altro pari, in trasferta, sul campo della Lazio. Un magro bottino che aveva sollevato i primi malumori, ma non certo un inedito nella carriera del portoghese, allergico alle partenze forti. Aveva, infatti, raccolto 4 punti nelle prime 3 giornate in entrambe le stagioni con il Lille e nel secondo anno alla guida della Roma (5 su 9 nella prima stagione), riuscendo a centrare l'en plein solo sulla panchina dello Shakhtar.

Il primo grande ostacolo

La trasferta dell'Olimpico aveva restituito la prima importante fotografia della stagione, con Leao e Theo Hernandez - tra i principali imputati del negativo inizio di campionato e partiti dalla panchina contro la Lazio - distanti durante il cooling break in cui Fonseca parlava alla squadra. Un episodio che era stato minimizzato dallo stesso allenatore nel post partita: "Non c'è alcun tipo di problema - aveva spiegato l'allenatore -, loro erano entrati da due minuti e non avevano bisogno di riposare, per questo sono rimasti distanti. Non dobbiamo creare problemi dove non ci sono". Ma le grane con i senatori, come si vedrà più avanti, erano appena all'inizio e avrebbero caratterizzato il suo breve percorso al Milan.

Il primo grande ostacolo

Il rilancio nel derby

Approfittando della prima sosta per le nazionali, Fonseca sembrava aver sistemato gli ingranaggi giusti per far decollare il suo Milan. Il poker in campionato sul Venezia (maturato nell'arco di 27 minuti) aveva decretato la prima vittoria stagionale ma, poi, il netto ko in Champions contro il Liverpool (che Fonseca considererà la vera partita flop della sua intera esperienza rossonera) aveva rimesso in discussione il valore della squadra e, soprattutto, la posizione del portoghese. La panchina era in bilico, Terzic sullo sfondo (e in tribuna a San Siro, in occasione del match europeo contro i Reds) e il derby come ultima chance per evitare l'esonero. Occasione colta dall'allenatore che, con il gol-vittoria di Gabbia nel finale, aveva interrotto la serie di 6 successi consecutivi dell'Inter nel derby e dato una prima piccola svolta alla stagione. Una vittoria arrivata con sapienza tattica (la novità dei due attaccanti insieme) e psicologica (una grigliata organizzata per la squadra alla vigilia e la rinuncia a mostrare video analisi degli avversari) e che aveva rilanciato le ambizioni del gruppo, pronto a seguire Fonseca "fino alla morte".

Il rilancio nel derby

Le grane con i senatori

Un sostegno incondizionato... a termine. La sconfitta di Firenze, infatti, aveva rimesso in pista squilibri tattici e, soprattutto, comportamentali. A partire dai due rigori calciati (e sbagliati) da Theo Hernandez e Abraham, nonostante il rigorista designato fosse Pulisic. Un'incomprensione che neanche lo stesso Fonseca era riuscito a spiegare, a testimonianza di uno scollamento che neanche le precedenti vittorie in campionato era riuscito a sanare. E da lì erano arrivate le prime decisioni forti del portoghese, con l'esclusione di Leao dalla formazione di partenza contro Udinese, Napoli e Monza. "Non mi frega dei nomi dei giocatori né della loro età" aveva spiegato, sostenendo con coraggio la possibilità di puntare anche su giovanissimi come Camarda. Scelte di personalità che avevano, però, sostanzialmente ripagato l'allenatore visto che poi il rendimento dell'attaccante portoghese (fino all'ultimo infortunio) era notevolmente cresciuto. Ma i problemi con i senatori non si erano fermati lì, viste le recenti decisioni di mettere fuori dai titolari Theo Hernandez. Esclusione dovuta alla scarsa condizione fisica secondo l'allenatore, fino al chiarimento di settimana scorsa e al ritorno dal primo minuto nell'ultima contro la Roma.

Le grane con i senatori

Champions come scialuppa di salvataggio

In un cammino più che mai altalenante, era stata l'Europa a rappresentare la scialuppa di salvataggio nel mare in tempesta che aveva coinvolto i rossoneri. Non una novità, vista l'eccellente tradizione continentale del club, ma quasi un paradosso a vedere come era iniziata l'esperienza nella nuova Champions League. Due sconfitte nelle prime due contro Liverpool e Bayer Leverkusen, ma da lì erano arrivate poi quattro vittorie che avevano completamente ribaltato le ambizioni di qualificazione e l'umore di tutta la squadra. Un'apparente rinascita rinvigorita dalla straordinaria vittoria di Madrid contro i campioni d'Europa in carica del Real: tre punti ottenuti di nuovo grazie a un'intelligente mossa tattica di Fonseca (l'utilizzo di Musah largo). Gli unici guizzi di fronte ai risultati negativi che arrivavano dalla Serie A e che vedevano ridurre al lumicino le speranze scudetto.

Champions come scialuppa di salvataggio

Dove sono i problemi?

Una montagna russa nei risultati, ma anche nel gioco. Se nella prima metà della sua semestrale esperienza rossonera era stata l'eccessiva fragilità difensiva a mettere nei guai Fonseca, con 14 gol presi nelle prime 11 di campionato a fronte dei 2 incassati nelle successive 6, nel prosieguo della stagione è stato l'attacco a stentare e innescare i fischi del pubblico di fronte a un gioco sterile e apparentemente privo di idee, con 16 gol nelle prime 8 giornate e appena 10 nelle successive 9. Un'incapacità di portare equilibrio (e nonostante l'exploit dei due centrocampisti, Reijnders e Fofana) che hanno convinto, progressivamente, la società a cercare delle alternative in panchina per raddrizzare la stagione.

Il surreale epilogo

Non sono state poche le volte in cui l'allenatore è stato messo in discussione, così come non sono mancati gli sfoghi (pubblici e privati) per caricare di responsabilità i big della squadra e allontanare i fantasmi dell'esonero. Fantasmi che la proprietà, per bocca dei suoi dirigenti, non ha mai pensato di scacciare via, se si fa eccezione per il sostegno offerto spesso da Ibra all'allenatore portoghese. E anche il nervosismo dell'ex Roma è finito per aumentare, dalle dichiarazioni post Bergamo contro la direzione arbitrale all'espulsione rimediata proprio contro i giallorossi per un discusso calcio di rigore. E mentre Fonseca veniva cacciato dall'arbitro, la società era già al lavoro per definire l'accordo con il suo sostituto. Tempistiche che non gli hanno impedito di presentarsi in conferenza stampa, privo di 'protezione' e pronto a guidare la squadra anche in Supercoppa, prima di un esonero annunciato ai microfoni di Sky Sport. L'ultima tappa del suo 2024, l'ultima della sua avventura al Milan.