Maspero: "La buca sul dischetto al derby un colpo di genio, non dissi nulla a nessuno..."

“Devo venire a Torino la prossima settimana. Facciamo un derby, ma di padel!”. Ormai quella parola, derby, non padel, Riccardo Maspero se la porta dietro. E se la porterà dietro per sempre. Carriera di tutto rispetto per l’ex trequartista, ora allenatore, di Lodi, che in Serie A vanta 174 partite, 24 gol e 10 assist: il suo talento è emerso tutto negli anni 2000, in buona parte grazie anche al Torino. Che in un derby lo ha reso protagonista assoluto. Tanto lo sa, 14 ottobre 2001: quel 3-3 al Delle Alpi viene chiamato da tutti ‘il derby della buca di Maspero’. “Fa sempre effetto pensarci! È stato tutto così istintivo. Se si fosse giocato ora, probabilmente non lo si sarebbe mai chiamato così” Perché gliel’avrebbero impedito? “Macché: perché il Var probabilmente quel rigore nemmeno l’avrebbe dato! Ma erano altri tempi. E c’erano molte altre proteste” In che senso? “Le decisioni di un arbitro sono sempre incontestabili. Ma quando le partite sono così tanto sentite, di fronte a un rigore così i giocatori non riescono a fermarsi. Avevamo recuperato 3 gol dopo il 3-0 della Juve del primo tempo: avevamo fatto un’impresa. E quando è stato fischiato il rigore, sono corsi tutti dall’arbitro. Ho visto quasi più cartellini in quel momento, che in tutta la mia carriera. Io ero rassegnato, mi ero messo in disparte. Ma ero rigorista…” E quindi conosceva qualche trucchetto. “Esattamente. Quando vai a battere, vuoi sempre che il dischetto sia bello piatto, pulito. E quindi l’ho preparato come volevo io, per aiutare Salas . Diciamo che c’è stata anche fortuna: lui l’ha calciato di potenza, con il collo del piede e il corpo all’indietro. In un altro modo, probabilmente la porta l’avrebbe centrata. Ma così la palla è andata alle stelle…” Ma possibile che non se ne sia accorto nessuno? “Nessuno! Né durante la partita, né dopo. Io sono rimasto zitto, anche negli spogliatoi. Il problema, se vogliamo dirlo, sono state le televisioni” Ce lo racconta? “Verso sera sono arrivati gli highlights. E quella buca l’avranno fatta vedere mille volte. Apriti cielo: il giorno dopo sono pure finito al ‘Processo’ di Biscardi. Non pensavo mai più di potere avere un’eco del genere. Anche perché chi è in campo lo sa bene: spesso quando si batte un rigore, gli avversari gridano ‘Tanto lo sbagli!’ al rigorista, o cose del genere. Il mio è stato alla fine un gesto come un altro…” Che però è entrato nel cuore dei tifosi. Come tutto quel Torino. Ha la sensazione che, oggi, una squadra come quella avrebbe potuto fare molto di più rispetto a quello che ha ottenuto? “Sì. Eravamo forti. E infatti siamo finiti all’Intertoto alla fine di quell’anno . Ma il livello era veramente altissimo in Serie A in quelle stagioni. Peraltro abbiamo portato a casa due pareggi con la Juve: il 3-3 all’andata e il 2-2 al ritorno. La cosa che ci contraddistingueva era il gruppo: mai visto un affiatamento del genere” L’anno prima, in Serie B, avevate faticato all’inizio con Simoni. Poi è arrivato Camolese, avete fatto 8 vittorie consecutive e avete vinto il campionato. “Esatto. Anche se tengo a dire che per me Simoni è stato veramente molto importante. Comunque, quell’anno sono arrivati record su record. Mi ricordo che alla penultima partita eravamo a Salerno e il campionato per noi era già finito: negli spogliatoi c’era chi giocava a carte. E abbiamo vinto lo stesso per 2-0. Poi c’era una regola non scritta: il giovedì sera andavamo sempre a mangiare tutti insieme con le nostre famiglie. Ed è stato così anche l’anno dopo. Camolese era veramente un passo avanti a tutti” In che modo? “Credo che la sua sfortuna sia stato l’essere troppo professore. O meglio, di non essere riuscito ad avere sul campo quelle occasioni che invece ha avuto a Coverciano da insegnante della materia: era uno dei primi veri tattici che abbiamo avuto in Italia. Il suo 3-5-2 ha fatto scuola. Poi mi ricordo che prima delle partite diceva sempre questa frase: ‘Andiamo a estirpare anche oggi’. ‘Estirpare’ è una parola strana, non la senti tanto. Ma l’idea era proprio quella di voler portare via tutto. Ci caricava da matti” La sensazione che si aveva da fuori, era che foste una squadra con tante personalità diverse: Bucci in porta, Galante e Delli Carri in difesa, De Ascentiis a centrocampo, lei oltre a Ferrante e Lucarelli in attacco. Giusto per citarne qualcuno. “Personalità diverse con hobby diversi. C’erano tanti gruppi, dentro lo spogliatoio. C’era il gruppo delle carte, per esempio, al quale appartenevo io insieme a Lucarelli, Bucci e Delli Carri. Galante era molto più soft. E a distanza di anni posso svelarvi un segreto: era ‘l’uomo delle cremine’, che si cospargeva per tutto il corpo. Era un esteta, Fabio, curava tantissimo il suo corpo. Ed era veramente forte. Lui, come De Ascentiis, stava più in disparte: in campo erano invece al centro dell’azione. Poi c’era Bucci che sbroccava, ogni tanto. Galante – e non solo lui – a volte dovevano intervenire per calmarlo. E poi eravamo anche molto tecnologici” Usavate i computer? “Sì, per giocare! Ora c’è la Playstation, ai tempi c’era praticamente solo Football Manager. Io mi ero in camera con Delli Carri, e giocavamo per ore e ore, ininterrottamente. Fino alle 2-3 di notte. Preparavamo le partite nei dettagli, gestivamo il gruppo. Forse non è un caso che lui sia diventato direttore sportivo e io allenatore, una volta smesso di giocare a calcio. Quanto ci prendeva, quel gioco! Sceglievamo comunque sempre il Toro. Sapete, il senso di appartenenza… E poi c’è un’altra cosa molto particolare, che oggi non potrebbe mai più essere permessa” Prego. “Si giocava molto alle 15, e quindi i giocatori pranzavano presto. Verso mezzogiorno, non più tardi. Quando andavamo allo stadio, molti di noi erano di nuovo affamati. Me compreso. E allora mi ricordo che io e Sorrentino andavamo all’hospitality e chiedevamo a qualche magazziniere un po’ più compiacente di passarci cibo sottobanco. Pasticcini, panini… Se beccassero un giocatore farlo adesso…” Da allenatore, oggi, lo permetterebbe? “Chi lo sa! Alla fine ogni situazione va gestita. Io per esempio so questo: da Camolese ho imparato tantissimo, ma ho imparato quasi di più da quegli allenatori con cui ho avuto un rapporto più conflittuale. Perché alla fine, quando ti ritrovi dall’altra parte, provi a capire come gestire quel tipo di situazioni. Poi, è sempre tutto caso per caso: non c’è mai niente di uguale a quello che abbiamo vissuto. Nemmeno la buca: quella resta per sempre così come è stata”

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Valentino Della Casa