L’Ornella, Milano e "l’appuntamento" del derby per ricordarla

Non si può raccontare Ornella Vanoni senza Milano. Quella Milano che nel 1945, con il sindaco Antonio Greppi in testa, decise che la ricostruzione post-bellica non poteva essere tale senza l’accompagnamento della cultura, della musica, dell’arte. Non si mangerà con la cultura, si potrebbe dire con parole contemporanee ma populiste, ma senza quel matrimonio tra operai, borghesia, mondo della cultura, Milano non sarebbe mai rinata così e così velocemente. E’ in quel contesto che l’Ornella cresce. In quel Piccolo Teatro, fino al 1945 luogo di tortura della terribile brigata fascista Ettore Muti e poi trasformato nel luogo di teatro più importante della città e non solo. Dove incontra Strehler con cui avrà anche una relazione, fuori dai canoni e scandalosa per l’epoca. “Le canzoni della mala” nascono lì e diventano tessuto culturale, strato imprescindibile della milanesità. In cui tutto si intreccia, Brera, San Siro, casciavit e bauscia, imprenditori lungimiranti e classe operaia tenace, chiesa e socialismo riformista, tutti intrisi del senso ambrosiano verso la vita. L’Ornella, figlia di quella borghesia e di quella cultura, è stata una testimone di quello spirito cittadino. Libera, libertaria, fuori dagli schemi ma non staccata dal senso delle cose. Una delle prime cantautrici in Italia, perché sì Gino Paoli , Sergio Bardotti, Bruno Lauzi, Mario Lavezzi... Ma gran parte delle canzoni che ha cantato, e ha portato al successo, le ha scritte anche di suo pugno. Tanto da diventare uno degli artisti più premiati dal Club Tenco, quel Tenco che lei apprezzò, stimò e cantò con quella sua voce dal timbro inconfondibile, talvolta graffiante, talvolta dolce, sicuramente disturbante verso morali ormai sorpassate dalla storia e dalla vita. Una donna libera in una fase storica, il secondo novecento, in cui ancora esistevano cascami di un passato patriarcale come il delitto d’onore, l’impossibilità di divorziare e abortire. Capace di passare da Chico Buarque de Hollanda alla copertina di Playboy . Socialista in quanto seguace di Pietro Nenni, un padre della Repubblica, e poi amica di Bettino Craxi, tanto da improvvisare un concerto ad Hammamet per l’ex presidente del Consiglio, anche quella una scelta nel solco di una tradizione, dicevamo prima, molto milanese. Ma suvvia, oggi non è giornata da ritratti imperfetti che rischiano di sconfinare solo nella retorica e di svelare quegli errori che i nostri ricordi sovrappongono spesso alla realtà. Oggi è uno di quei giorni in cui spolverare il giradischi. E ascoltare “Si fa così, rossetto e cioccolato, che non mangiarli sarebbe un peccato”, oppure lasciarsi trascinare dal quel “Ma mi ma mi mami, quaranta dì quaranta nott a San Vittur a ciapà i bott”. O sognare con quei versi “Tu sei un attimo senza fine/Non hai ieri/Non hai domani/Tutto è ormai/Nelle tue mani, mani grandi/Mani senza fine” con quelle mani che Gino Paoli guardava, stupito, per la loro grandezza e che ha restituito con una capacità poetica che le ha rese eterne. Ricordarsi quanto sia bello ubriacarsi d’amore: “A questo punto/Buonanotte all'incertezza/Ai problemi all'amarezza/Sento il carnevale entrare in me. E sento crescere la voglia, la pazzia/ L'incoscienza e l'allegria/Di morir d'amore insieme a te”. E poi abbandonarsi alla malinconia di “L’appuntamento”. Musica di Roberto Carlos, parole di Bruno Lauzi. Una canzone che un milanese la può immaginare svolgersi in Corso Vercelli, a Milano, in un sabato pomeriggio d’autunno, un po’ nebbioso come erano nebbiosi gli anni ‘70/80’, con quei raggi di sole timidi che si fanno largo scalzando la “schighera”. Perché Corso Vercelli era il luogo dello struscio, dello “shopping” milanese borghese-piccolo borghese di quegli anni. Lei, o lui a seconda di come volete ascoltarla, che aspetta un amante che non arriverà mai. Con il crescendo musicale che diventa il crescendo di un senso di mancanza, di assenza, di desiderio che non si risolverà più. “Sono triste tra la gente che/Mi sta passando accanto/Ma la nostalgia di rivedere te/È forte più del pianto”. Lui non arriverà. E ci si immagina sempre quell’amante delusa, con il cuore spezzato, camminare tra quelle vetrine luci e macchine, mentre la pioggia ruba la scena al sole timido, magari incamminarsi verso via Marghera e guardare coppie che mangiano il gelato. “Amore perdono, ma non resisto/Adesso per sempre non esisto/Non esisto, non esisto”. Forse è difficile trovare qualcosa che descriva meglio la malinconia di certe giornate milanesi. E poco importa se non è ispirata a scenari meneghini. E’ la voce stessa dell’Ornella che la rende Milano. L’Ornella che ha sempre detto di essere tifosa del Milan. Fino a quando Bonny, giovanissimo attaccante dell’Inter, ha confessato in un’intervista di essersi innamorato delle canzoni della Vanoni, perché gli ricordano atmosfere francesi. Bonny ha certamente fiuto del gol e sicuramente una spiccata sensibilità artistica. L’Ornella, dopo averlo saputo, con la sua vertiginosa ironia e capacità anche dissacrante, ha risposto dicendo che da quel giorno sarebbe diventata interista. Non ha fatto in tempo a vedere il primo derby da neofita nerazzurra. Ma sarebbe bello se domenica sera, tra le luci di San Siro, prima di Inter-Milan, risuonassero la sua voce e le sue canzoni. E che ci fosse un minuto di silenzio prima del match. Perché il derby a Milano ha motivi più di unione che di rivalità estrema. E’ un ritrovarci insieme e prenderci in giro, mai troppo sul serio. Come era in fondo l’Ornella. Come era e forse un po’ è ancora Milano. “Amore fai presto, non resisto…”

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Alberto Pontara