La Napoli di Conte

La strada per lo scudetto. Via del Parco Margherita. La Regina della pizza. Basilico, mozzarella e pomodoro: il tricolore. Re Conte abita lì. Il palazzo di Antonio. Che è poi in origine il nome del portiere. Il custode di una riservatezza che però ammette deroghe; per i bambini. Lui direbbe pure di no. Per ruolo. Per spirito di servizio. Ma tanto dopo arriva lui, l’altro Antonio. Conte sì. Cappellino e lenti da sole eppure riconoscibile. Lo vedi. Cortese. Paziente. Si concede. “Scusi Mister…”. E intanto già scatta il selfie; ormai l’hanno fatto quasi tutti, non dovrebbero esserne rimasti tanti. Zona Chiaia, ai piedi del Vomero. A piedi, più che altro. Anche perché da quando è arrivato Conte, la zona si è subito sintonizzata. Le sue prime parole furono “Amma fatica’”. E infatti il giorno dopo proprio lì aprirono un cantiere. Lavori in corso per un anno intero. Ma il caso vuole che siano finiti e stanno sbaraccando… La Napoli di Conte. Bella. Sua. Viva e vissuta, senza segreti né limiti. Casa all’ultimo piano. E la terrazza è un cannocchiale, da’ sul Paradiso. Abbraccia tutta la città. La prende con le mani. I vicoli, gli stabili d’epoca, l’arte che è dappertutto e l’azzurro del mare. Da lì si perde lo sguardo, si perde il pensiero. Ma mai il piacere di guardarla. Di entrarci dentro e capirla. Di sentirla, Napoli. Come quando calciatore - ai tempi del Lecce - Conte ascoltava le musicassette di Nino D’Angelo, il ragazzo della curva B. L’inno alla gioia che è ora anche il suo. Una scelta: vivere in pieno centro. Aperto, curioso, affabile. Con la famiglia, quando c’è. Sennò con lo staff. Cercando di normalizzare la presenza. Fare le cose di tutti e tra tutti, senza scontentare nessuno. Perché tutti lo cercano, tutti lo vogliono e lo aspettano. E allora, colazione la mattina in Piazza Amedeo. Le scalette come scorciatoia, passo rapido e il caffè che è subito Napoli. Ancor più se lo prende con Fabio Cannavaro. Qui il pasticciotto leccese è la sfogliatella. I profumi, i sapori, le prime chiacchiere che svegliano l’anima. Anima e Conte. Intanto la signora Betta fa la spesa dal salumiere che vorrebbe sempre parlare di calcio; come il garagista. Lo shopping per le vie chic con qualche amica e Vittoria, la figlia. E ogni tanto al Circolo del Tennis. Ma nel week end tutti insieme in Chiesa, tra Via dei Mille e San Pasquale. Che è da quelle parti. Conte è uomo di fede. Ha radici e valori forti, una spiritualità profonda. Frequenta, pratica. Crede. Il dolore per il piccolo Daniele, che ogni tanto va a trovare con un fiore, l’ha segnato. E così gli incontri privati con il Cardinale Battaglia in Duomo ne hanno accompagnato il cammino. Un percorso che è intimo. Che è ricerca e ricchezza, in tutti i sensi. Il tesoro di San Gennaro è il più prezioso al mondo, inestimabile. E Conte ne è rimasto impressionato dal luccichio. Dalla meraviglia. Nino Manfredi, detto Dudù nel film che è un cult, voleva rubarlo. Ma per poi farsi perdonare dal Santo gli promise che avrebbe comprato Eusebio e regalato al Napoli. Per far felici i tifosi. Per vincere. Ecco, Conte c’è riuscito. Senza Eusebio. E senza neppure più Kvaratskhelia. E Maradona neanche. Però è andato al murale in pellegrinaggio per ereditare da Diego la napoletanità acquisita, le gioie. La fierezza. “Non pensavo Napoli fosse così bella”. Napoli e dintorni. S’era presentato a Palazzo Reale, ed era un segno evidentemente. Poi ha visitato la Reggia di Caserta, maestosa. Al teatro San Carlo c’è stato con il Sindaco; lì dove restaurando il palco, tra gli stucchi di rosso e d’oro è riemerso tempo fa l’azzurro borbonico, il colore originario. Il colore di Napoli. Il sole di Ischia l’ha accarezzato. Le Vele a Scampia, emotivamente toccato. Ma è il Cristo Velato che l’ha travolto. Cappella San Severo e il sito privato più visto al mondo. Tra dedali e scugnizzi si rimane senza fiato. Storia, cultura, tradizione, la bontà del cibo. La mappa del Conte che gira e scopre la città è una guida turistica. E Michelin. La stella scudetto è buona pure a tavola. Ne ha frequentati tanti. Come mai nessuno. E di popolari e popolosi. Di venerdì sera, in mezzo Piazza Dante. Ha assaggiato e goduto, si è concesso alle coccole. Da Tonino, l’osteria antica dalle sue parti alla carne doc salendo Via Aniello Falcone. E poi le pizzerie dall’impasto che è arte. E all’angolo scudetto riservato a Marechiaro. Da Cicciotto. Come era anche con Spalletti. Tavolo vista Golfo e vista televisore per non perdersi mai nulla. Conte non perde. Vince. E Napoli con lui.

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