I due scudetti di Aurelio: presidente e imprenditore capace di cambiare

Uno scudetto può dovere qualcosa al caso. Due no. Con la seconda vittoria in campionato negli ultimi tre anni, e uno storico decennale contenente anche tre secondi e due terzi posti, Aurelio De Laurentiis si è definitivamente guadagnato un posto nella galleria dei grandi presidenti del calcio italiano. Anche perché i due titoli, firmati da Luciano Spalletti e, adesso, Antonio Conte, sono giunti partendo da premesse assai diverse, e avendo in comune soltanto la non dichiarazione dell’obiettivo a inizio stagione. Nell’estate del 2022 il Napoli taglia in modo robusto il monte stipendi perché De Laurentiis ha capito che gli ingaggi dei giocatori che si sono battuti con la Juventus nella seconda fase della sua lunga dittatura tecnica sono ormai fuori controllo. Kalidou Koulibaly è il simbolo di questo discorso: il Napoli ha resistito per anni alle richieste di mezza Premier per il miglior difensore della Serie A, ma l’ingaggio nel frattempo è salito e a 31 anni De Laurentiis ha l’ultima occasione per venderlo bene. Kalidou se ne va al Chelsea per 42 milioni, altri 22 arrivano dal Psg per Fabian Ruiz, i contratti di Insigne e Mertens non vengono rinnovati - decisioni molto impopolari - e il mercato in entrata registra gli arrivi di due sconosciuti o quasi: il georgiano Kvaratskhelia per l’attacco, il coreano Kim per la difesa. Un ridimensionamento evidente per i commentatori sbrigativi, mentre i più avvezzi alla lingua dell’economia parlano di consolidamento. In ogni caso, nessuno pensa che stia per arrivare l’anno dello scudetto a 90 punti, con sedici di vantaggio sulla seconda. Se esiste nella storia un titolo vinto all’insegna del risanamento, è assolutamente questo. Due estati dopo De Laurentiis, che dopo lo scudetto ha vissuto una stagione da incubo, la terza peggiore delle sue 18 in Serie A, capisce di dover spendere fuori bilancio. Lo fa per rimediare a un errore, il rinnovo di Osimhen a cifre esagerate, che di fatto ne bloccano la vendita, e il capitale col quale rifare la squadra doveva essere quello. Una volta ingaggiato Conte, De Laurentiis non se la sente nemmeno di accettare la ricchissima offerta estiva del Psg per la coppia Osimhen-Kvara: trattiene il fantasista georgiano e sterilizza lo stipendio del centravanti nigeriano prestandolo al Galatasaray. Ci pensassero loro mentre si prepara una soluzione per la prossima estate. E se mancano i soldi per acquisti necessari come Buongiorno, McTominay e David Neres, nel finale del mercato il presidente decide di anticiparli, accettando persino - per amore del nuovo tecnico - un’operazione poco sensata come l’acquisto del cartellino di Lukaku, che da anni il Chelsea era costretto a prestare. Certo, i 75 milioni incassati a gennaio per Kvara hanno poi ripianato i conti, riportandoli a quella linea equilibrata di galleggiamento che è stata il mantra di Aurelio per tutto il suo mandato presidenziale, e non mancherà di esserlo in futuro. Quando Conte parla di posto Champions come obiettivo richiestogli, non fa altro che sottolineare la priorità della partecipazione al ricchissimo torneo europeo per poter spendere sul mercato: negli ultimi dieci anni è successo sei volte, soltanto la Juve ha fatto meglio. Se vogliamo restare al linguaggio dell’economia, quindi, De Laurentiis ha vinto dopo un mercato rigoroso e uno espansivo, dando grande prova da imprenditore: chi sa variare il proprio approccio a seconda delle circostanze e ottiene comunque il massimo risultato è uno che sa fare il proprio mestiere. Quest’anno è cambiata anche la sua presenza sullo scenario, o meglio la sua assenza, frutto di un evidente accordo con Conte. Le modalità del divorzio da Spalletti, sottolineate di recente dal tecnico nella sua autobiografia, hanno insegnato qualcosa al presidente, che certamente continua a sentirsi un padreterno - e i risultati glielo consentono - ma ha capito che ribadirlo ogni giorno può essere controproducente. Conte ha parlato tanto quest’anno, lamentandosi di mille cose come suo costume: su novecento aveva ragione, sulle altre cento, beh, ci sarà un motivo se le grandi metropolitane del Nord producono scudetti a getto continuo mentre il Napoli in più di cent’anni ne ha portati a casa quattro . Vincere nel Centro-Sud è più difficile, per questo molti grandi allenatori a un certo punto della loro carriera sentono il bisogno di provarci . Ecco, davanti alle frequenti esternazioni del tecnico ogni risposta del presidente - non le manda a dire nemmeno lui, in genere - avrebbe appiccato il fuoco all’ambiente. Molto meglio rimandare a fine torneo, nei prossimi giorni, quando ci sarà da discutere la permanenza o meno di Conte nel club. Qualche anno fa, in margine a un convegno calcistico a Firenze, De Laurentiis ebbe la cortesia di invitare a cena alcuni giornalisti per discutere in modo informale delle sue idee riformatrici. Al di là della chiacchierata, il ricordo di quella serata è legato a una dotta tesi sulla preparazione del lampredotto, una leccornia toscana di cui il presidente va ghiotto, alla quale partecipò in veste di uditore pure lo chef del ristorante. Uno chef stellato. Occorre grande sicurezza in sé stessi per spiegare a uno chef stellato la corretta preparazione di un piatto, e a De Laurentiis questa sicurezza non manca. Del resto è soltanto con un carattere così che puoi marchiare due scudetti in una città come Napoli. Perché i primi due appartengono a Diego, ma i secondi due sono di Aurelio.

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Paolo Condò