A Como, sul campo della Libertas, Gigi Meroni vive ancora

21 grammi. È il peso che il medico statunitense Duncan MacDougall attribuì all’animo umano agli inizi del XX secolo. Secondo i suoi studi, ogni persona nel momento del trapasso perderebbe ben 21 grammi, una teoria che non è stata riconosciuta scientificamente, ma che ha fatto subito breccia nell’immaginario collettivo, poiché utile ad affermare l’esistenza reale dell’anima. Il regista messicano Alejandro González Iñárritu ne fu talmente affascinato da farci un film nel 2003, imprimendo su pellicola l’omonima sceneggiatura scritta dal connazionale Guillermo Arriaga Jordán e interpretata, nel ruolo di protagonista, da un mirabile Sean Penn. Rispettando questa logica, 21 sarebbero quindi i grammi che il corpo di Gigi Meroni perse 58 anni fa, quando la ‘farfalla granata’ spiccò il suo ultimo volo per assurgere al cielo e 'rispondere a una convocazione' che arrivò, ahi noi, troppo presto. Era il 15 ottobre 1967, una domenica, il giorno del pallone in Italia, quando un tragico e beffardo incidente torinese in Corso Re Umberto tolse la vita a colui che è stato il più grande talento del calcio comasco, diventato poi una stella in maglia genoana e granata, e capace di far sempre discutere milioni di italiani per il suo stile bizzarro, il suo gioco divertente e il suo sorriso scanzonato. George Best prima di George Best. Il quinto Beatles che amava dipingere la sera nel suo attico in Piazza Vittorio, a Torino, disegnare i propri vestiti , girare per le vie di Como a bordo della Balilla targata 777 o camminare con una gallina al guinzaglio in pieno centro. Meroni era un artista del pallone. Un 7, senza posizione in campo. Un amante del dribbling e di quelle finezze che per lui erano il palleggio e il bel tocco della palla. Un giocoliere che giocava con i calzettoni abbassati, come faceva il suo idolo Sivori e come ora fanno tanti fantasisti, da Dybala a Grealish. Un esteta del calcio. Un anticonformista che negli Anni ‘60 era entrato in simpatia a Luigi Tenco, nella cui folta chioma il cantautore di Cassine rivedeva lo stesso spirito ribelle che muoveva anche la sua. 21 grammi sono saliti al cielo 58 anni fa, ma molto più pesante è l’eredità che Meroni ha lasciato tutt’oggi. Un’eredità che si può ritrovare nei racconti di chi l’ha vissuto e, in maniera, più diretta e terrena nell’Oratorio di San Bartolomeo. Via Jacopo Rezia 4, a Como, è casa della Libertas, squadra in cui nacque il Meroni calciatore e che ogni anno celebra il ricordo di un campione che della sua città era follemente innamorato, tanto da tornarci quando ne aveva il tempo, anche soltanto per fermarsi la sera a comare con gli amici di una vita. Erba sintetica racchiusa in un perimetro di cemento, con una piccola tribuna per far sedere bambini e ragazzi, una chiesa a fare da sfondo e un muro con sopra impressi i murales di Gigi. Meroni e la Balilla. Meroni e la gallina. Meroni e il pallone. Oggi è questo che gli occhi incontrano quando si marca visita all’Oratorio di San Bartolomeo, mentre un tempo il campo da calcio era un misto di terra dura e sabbia e i muretti venivano utilizzati come sponde grazie alle quali sviluppare quegli uno-due con cui saltare il diretto marcatore e avanzare verso la porta. “Chi era dotato di tecnica, come lo era Gigi, riusciva sempre ad andare avanti nell’azione”, ricordava il suo amico Battista Ghioldi in un documentario trasmesso anni fa dalla Rai . “Qui è dove Gigi Meroni ha iniziato la sua carriera” ci racconta invece Enrico Bello, Presidente della Libertas. Siamo a bordo campo e Bello dà alcune direttive a dei giovani ragazzi, nei panni di educatori, prima di aprire la porta di una stanza in cui brilla una maglia azzurra indossata da Meroni in Nazionale. Ci sediamo e lui inizia a spiegare come la Libertas cerchi di tener vivo ogni giorno il ricordo di quel figlio che, più di chiunque altro, è stato capace di emozionare i comaschi. “Gigi ha giocato all’Oratorio di San Bartolomeo fino ai 13 anni, circa, poi è passato al Como e, di lì, al Genoa, al Torino e in Nazionale. Era un altro mondo, un’altra vita, anche se forse non è cambiato tutto così tanto, visto che anche oggi ci sono molti ragazzi che giocano su questo campo. Ragazzi di nazionalità diverse”. Il campo della Libertas è infatti il tipico rettangolo da oratorio italiano, in cui i più giovani si intrattengono nei fine settimana o in estate per giocare a calcio con gli amici, allora come adesso. “È chiaro che il tempo passa e che le persone, purtroppo, ci lasciano, ma se a Como parli di Gigi Meroni, gli occhi della gente si illuminano, così come pure a Genova e a Torino. Nella memoria collettiva rimane questo personaggio estroso, capace di far divertire. Gigi era diverso e noi proviamo sempre a onorarlo attraverso alcune iniziative. In passato, per esempio, abbiamo organizzato un quadrangolare in cui hanno partecipato ragazzi della Libertas, del Como, del Genoa e del Torino, ovvero le quattro squadre di cui Gigi ha vestito le maglie. La risposta è sempre stata positiva”, ricorda ancora Bello, con un velo di commozione e orgoglio negli occhi. “Di solito, nel mese di maggio proviamo a ricordare Meroni attraverso il torneo ‘Gigi nel Cuore’, che coinvolge i più piccoli, dalla scuola calcio ai pulcini. Un anno siamo riusciti addirittura a portare i bambini a giocare la fase finale del torneo allo Stadio Sinigaglia, riunendo oltre 400 ragazzi e i loro genitori. Vogliamo ricordare Meroni giocando a calcio, perché l’importante è continuare sempre a giocare”. Oltre alla sua famiglia e alla sua adorata Cristiana , ragazza polacca e figlia di giostrai di cui si innamorò follemente a Genova, Meroni aveva come inseparabile compagni cuoio e stoffa. Il primo identificava il pallone, ovviamente, il secondo il suo retaggio da disegnatore tessile e, in particolare, di foulard da donna. “Abbiamo la fortuna di avere Maria, la sorella di Gigi, che ci onora spesso della sua presenza quando organizziamo qualche evento commemorativo qui, nel luogo in cui è nato. È stata lei a regalarci, in occasione di un torneo, la maglia dell’Italia che abbiamo esposta qui. Noi abbiamo raccolto il testimone dell’Associazione gli Amici di Gigi, la quale aveva sviluppato per prima un torneo, cercando di non disperdere nel tempo un’immagine che fa parte del nostro passato, della nostra storia, ma anche del nostro presente”, spiega Bello, indicando la cornice in cui riposa la casacca azzurra di Meroni. Le sue incomprensioni con Edmondo Fabbri sono un ricordo lontano, in un luogo in cui si vogliono esaltare estro e libertà, aspetti che Meroni amava. “All’oratorio di San Bartolomeo vogliamo che i ragazzi possano continuare a giocare senza troppe regole, pur rispettando quelle necessarie. Nel 2017, a 50 anni dalla sua scomparsa, abbiamo anche organizzato una mostra dei cimeli di Gigi qui in oratorio, grazie all’aiuto della sua famiglia, e mi fa piacere ricordare che venne a visitarla pure Emiliano Mondonico”. Il Mondo a casa di Gigi. Quell’oratorio in cui Meroni vive ancora oggi e nel quale, è bello pensare, che i suoi 21 grammi continuino a duettare con il muretto, a dribblare lo scorrere del tempo e a esultare per un gol.

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A Como, sul campo della Libertas, Gigi Meroni vive ancora

Marco Garghentino