Dalla C allo scudetto, 19 anni di Napoli visto da bordocampo
il raccontoDal 26 settembre 2004, la prima partita al San Paolo del Napoli Soccer rilevato da De Laurentiis dopo il fallimento, fino all'estati napoletana di oggi per il terzo scudetto. 19 anni raccontati da una prospettiva particolare, fra aneddoti e ricordi
“Aurelio, posso chiamarti papà?”. Dal campo lo striscione si vedeva bene, esposto nel settore distinti, la tribuna opposta alla Posillipo. Quel giorno c’erano 50 mila spettatori per la prima partita del Napoli allo stadio San Paolo. Era il 26 settembre del 2004. In poche parole, con lo straordinario senso dell’umorismo che è da sempre prerogativa dei napoletani, un tifoso aveva rappresentato il sentimento di riconoscenza e gratitudine nei confronti del presidente Aurelio De Laurentiis che aveva raccolto il club dal fallimento. Con il passare degli anni il rapporto tra presidente e tifosi raramente è stato in sintonia con le buone intenzioni srotolate quel giorno in tribuna, eppure, quel pomeriggio di settembre fu scritta la prima pagina di una storia a lieto fine.
In questi anni a bordocampo sono passati in tanti, in panchina accanto alla mia postazione e sul terreno di gioco, davanti alle telecamere. Il primo anno ho ancora in mente l’intervista al Pampa Sosa, subito dopo la sconfitta con la Fermana. Aveva giocato pochi minuti, sufficienti però per capire che la serie A era ormai un lontano ricordo. Quel che restava della sua maglietta strappata copriva a malapena un vistoso graffio all’altezza delle costole.
A pochi metri, a bordocampo, c’era il presidente, al suo fianco il figlio Edoardo, giovanissimo. Quella sera in molti capirono che la promozione sarebbe stata tutt’altro che scontata. La finale persa contro l’Avellino è stato il momento più basso degli ultimi 19 anni. Era il 19 giugno del 2005.
Poi, dopo quel giorno, dal campo, ho visto crescere campioni come Hamsik, Mertens e Osimhen. Ho ascoltato il ruggito del San Paolo durante le accelerazioni di Lavezzi e Kvaratskhelia, ho sentito tremare la terra sotto i piedi per i gol di Cavani e Higuain, ma soprattutto per quelli de ‘El Tanque’ Denis al Milan e di Diawara al Chievo, all’ultimo respiro.
Ho visto il ‘tiro a giro’ di Lorenzo Insigne e Koulibaly irretire Mbappe con un leggendario recupero in scivolata durante la Champions.
Ho visto lacrime, di dolore e di gioia. Gli infortuni di Ghoulam e il pianto liberatorio di Paolo Cannavaro a Genova dopo la promozione in serie A. Ho visto Edi Reja, l’allenatore della doppia promozione, prendersi a ‘male parole’ con un tifoso del Chieti, separati solo da una rete metallica; Walter Mazzarri, l’uomo che ha riportato il Napoli in Champions, prendere a pugni tutte le panchine degli stadi italiani, ed esultare come un bambino per i gol di Hamsik e Cavani.
Ho ammirato lo stile di Benitez, mai una parola fuori posto, eccezion fatta in occasione della semifinale di Europa League contro il Dnipro. Raramente ho visto Maurizio Sarri sorridere; qualche volta serrare i pugni dopo una rete; lasciarsi andare mai, neanche a telecamere spente.
Mi sono sentito rivolgere sempre la stessa domanda da Carlo Ancelotti, al momento del suo ingresso in campo prima della partita: “Quanti ne hai indovinati della formazione?”. Il sopracciglio alzato e un lieve sorriso ad accompagnare la domanda. Un altro pianeta.
Ho percepito nitidamente il furore agonistico di Rino Gattuso, l’ex centrocampista che le partite le giocava nell’area tecnica come fosse ancora in campo. Ho visto Luciano Spalletti, l’allenatore del terzo scudetto. In piedi davanti alla sua panchina, spronare i suoi giocatori, sempre con le parole giuste, essenziale. Le mani in tasca, il capo chino. Apparentemente prigioniero dei suoi pensieri. In fondo, solo in attesa di compiere la più grande impresa della sua carriera.