L'esordio del secolo... con le scarpe strette: 40 anni la prima di Paolo Maldini in A

Facciamo un viaggio nel tempo, inseriamo la data: venerdì 4 gennaio 1985. Sì, l’esordio di Paolo Maldini sarà il 20 gennaio, ma questa è una storia con un prologo straordinario, ed è da lì che dobbiamo iniziare. Quel giorno, il 4, una imponente ondata di gelo proveniente dall’artico russo arrivò sul Mar Mediterraneo. Investì prima Sud e Centro Italia, con temperature che toccarono anche i -20 e forti nevicate. Poi si spostò al nord. Il paese era paralizzato. Un fenomeno eccezionale, con neve, temperature gelide, blackout in molte zone, caos e incidenti. La Lombardia fu una delle regioni più colpite. A Milano i primi fiocchi scesero dapprima lenti e romantici, in modo ingannevole, nella notte di domenica 13. Nevicò per 72 ore senza sosta. I mezzi per le emergenze erano pochi perché la maggior parte era stata inviata a Roma nei giorni precedenti, per far fronte anche lì a una nevicata sensazionale. Per liberare le strade furono usati i carrarmati e impiegati 650 militari, più un imprecisato ma alto numero di mani di volontari. Autobus, tram e treni erano fermi, le scuole e gli aeroporti chiusi, i tubi del gas congelati. Era impossibile muoversi, camminare, spostarsi. La neve spalata veniva caricata sui camion e portata nei campi fuori città. I cumuli, anneriti dallo smog, si sciolsero solo a primavera perché quello fu l’inverno più freddo degli ultimi 50 anni. È conosciuta come la leggendaria grande nevicata o la nevicata del secolo, perché fu la più imponente del XX° secolo. La ritroviamo in libri, canzoni, film. Ma il calcio non si fermò. Il 13 gennaio a San Siro Milan Como si disputò ugualmente a -12 gradi e una neve che non smise mai di scendere. A bordo campo erano state portate addirittura delle stufe a gas. Per la cronaca vinse il Como 2-1, e dato che i giocatori del Milan, al contrario degli avversari, non stavano in piedi, tutti pensarono che i tacchetti degli ospiti fossero speciali. Quelli che mancavano anche al sedicenne Paolo Maldini, giocatore della Primavera di Fabio Capello, in quei giorni aggregato con altri suoi pari età alla prima squadra di Nils Liedholm. L’allenatore svedese aveva 5 giocatori indisponibili e doveva preparare la trasferta di Udine. Anche Milanello quartier generale rossonero a Carnago , era nella morsa del gelo, ma ci si allenava ugualmente. Paolo non aveva gli scarpini con i tacchetti per giocare sui campi ghiacciati e li ottenne in prestito. Ma erano di due numeri più piccoli. Lui si allenò, senza fare storie. E domenica 20 gennaio partì con la prima squadra per andare a giocare allo stadio Friuli, con le unghie distrutte e i piedi doloranti, che tanto, pensava, devo stare seduto in panchina 90 minuti. Anche Udine era nella stretta del freddo, ma arrivava il Milan e lo stadio era pieno. Nessuno dei presenti però si aspettava di assistere a una giornata che sarebbe diventata storica per il pallone. Sergio Battistini, titolare in difesa con Filippo Galli e Alberico Evani, si infortunò nel corso del primo tempo e all’intervallo comunicò a Liedholm che non ce l’avrebbe fatta a tornare in campo. L’allenatore del Milan chiamò quel ragazzo di 16 anni e 208 giorni, quarto di sei figli con un cognome ingombrante e gli disse “Malda entri, vuoi giocare a destra o a sinistra?”. “Come vuole lei” rispose Maldini che teneva le scarpe slacciate per i piedi doloranti, ma improvvisamente non sentì più niente, e si apprestò a vivere quello che ancora oggi definisce come il momento più importante della sua carriera. Al Friuli però non c’era la sua famiglia. Nemmeno suo padre, Cesare, che invece, come secondo di Bearzot, era a San Siro a vedere la vittoria dell’Inter per 1-0 sull’Atalanta. Seppe dell’esordio tramite lo strumento iconico di quegli anni per il calcio, la radiolina, e a termine partita disse “Ha giocato bene? Allora sono contento, speriamo lo sia anche Liedholm”. Quell’Udinese Milan, con gli ammassi di neve a far da confine al campo e terminata 1-1, appartiene a quei tabellini senza tempo che segnano percorsi leggendari, quelli che ti fanno dire, con orgoglio, io c’ero. Il racconto di chi c’era Ma cosa ricorda, chi c’era, di quel momento? Chiamo Chicco Evani, che non esita e dice “Io me lo ricordo come fosse ieri. Per prima, la sensazione che mi dà quel campo. Lo stadio di Udine è uno di quei posti che mi ha sempre portato buone vibrazioni da giocatore e da allenatore, ma quel giorno siamo andati negli spogliatoi all’intervallo sotto di un gol. Ho chiesto al mio amico e compaesano Sergio Battistini, siamo entrambi di Massa, come stesse e lui mi ha fatto capire che non sarebbe riuscito a continuare. Il mister aveva deciso di far entrare Paolo. Si allenava con noi della prima squadra da un po’ assieme ad altri ragazzi della Primavera. Allora era diverso, era più semplice il rapporto tra un giocatore già arrivato e uno che iniziava in una società importante. Ricordo che andavamo tutti molto d’accordo, con lui, con Giuseppe Incocciati, con Andrea Icardi. Arrivava spesso a Milanello con Cesare, e faceva gruppo con Roberto Lorenzini e Alessandro Costacurta. L’emozione che avevano loro l’avevamo già vissuta noi. Paolo a differenza degli altri era più maturo, dimostrava grande personalità, la stessa con la quale entrò quel giorno, subito positivo e di aiuto alla squadra. Qualcuno avrebbe potuto avere dei dubbi, entra un giovane e pensi che possa essere complicato raddrizzare il risultato. Pareggiammo. Appena terminata la partita sono andato a fargli i complimenti”. Se a Evani sembra ieri, Filippo Galli invece ci pensa un attimo e dice “A me sembra una vita fa. Più che le immagini mi porto dentro due tipi di consapevolezza. Quella di allora, che l’esordio di Maldini fu una cosa molto naturale: non abbiamo mai pensato ‘è qui perché è il figlio di Cesare’. Anzi, eravamo coscienti del fatto che quel nome era una grande responsabilità, ma lui aveva già i comportamenti di un adulto. Era un Milan che si stava costruendo, e lo ha fatto anche con Paolo. E poi c’è la consapevolezza di oggi, che quello che allora a tutti è sembrato normalità, è stato l’inizio della carriera di un grande giocatore”. Con la maglia dell’Udinese, quel giorno, era in campo anche Attilio Tesser. “Io ricordo – mi dice – che da parte mia, dato che ricoprivo il suo ruolo, c’era ancora più curiosità nel capire come avrebbe giocato quel ragazzo, che per tutti allora era il figlio di Cesare. Avevamo meno conoscenza in quegli anni, meno video per studiare gli avversari. Ma Paolo, proprio per il cognome che portava, aveva destato in tutti un doppio interesse. E devo anche dire che, nonostante l’epoca social fosse molto lontana, tutti nell’ambiente sapevamo di lui, che sarebbe successo, che avrebbe esordito da lì a poco. Se ne parlava tanto. E c’è un momento su tutti che ho presente come fosse ora, l’applauso che gli fecero quando entrò. Posso dire io c’ero. Ho assistito a un momento speciale, in uno stadio che per me lo è sempre stato altrettanto, capace di sopravvivere al terremoto del 1976”. Carlo Liedholm è il figlio del Barone, del padre ha preziosi ricordi, la stessa voce e lo stesso intercalare, tanto che per un attimo si rimane sorpresi, ma ci sta, perché in fondo questo è un viaggio nel tempo. “Tra papà e Cesare Maldini – mi racconta – si è creato un bel rapporto di amicizia. Quello che mi aveva colpito era il profilo basso di Cesare. Quando mio padre gli disse che poteva farlo esordire in prima squadra non è che lui caldeggiò tanto, disse semplicemente ‘Ma sì, vedi come va’. Aveva talento per i giovani papà, fece esordire anche Franco Baresi a 18 anni”. Quando Paolo Maldini fece il suo debutto, Franco Baresi aveva 25 anni, un esordio con la prima squadra registrato 7 anni prima, e la sensazione che il ragazzo a cui un giorno avrebbe lasciato la fascia di capitano era destinato a cose importanti. “Era l’anno in cui ebbe il via un nuovo ciclo con il ritorno di Liedholm da Roma e iniziammo a giocare a zona. Paolo cominciò ad allenarsi con noi durante la stagione. Si distingueva per personalità e per qualità tecniche. Quel giorno entrò senza paura, da veterano, e lì si capì che aveva le doti per essere quel che poi abbiamo tutti scoperto: un predestinato”. Non è sempre vero che i giorni speciali iniziano come gli altri, a volte portano strani segnali. Ma nemmeno Paolo Maldini poteva pensare che la nevicata che guardava dalla finestra da ragazzino sarebbe stata lo sfondo del suo inizio. Un percorso leggendario cominciato al gelo e chiuso purtroppo nello stesso modo. Ma è un altro gelo. Un’altra storia.

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Roberta Noé