Lo scudetto del Milan: un viaggio lungo 11 anni

il commento
Paolo Condò

Paolo Condò

Dal campionato vinto con Allegri in panchina nel 2011 a quello di quest'anno targato Pioli. In mezzo 10 stagioni in cui è successo davvero di tutto: 6 allenatori, 2 cambi di proprietà, un viaggio all'inferno e ritorno. Ma ora il Diavolo è davvero tornato 

Se volete avere l’esatta dimensione di quel che è successo al Milan negli ultimi 11 anni, dallo scudetto numero 18 del 2011 a quello numero 19 che si celebra in queste ore, non c’è un modo migliore del prendere un foglio e disegnare il grafico - in posizione di classifica e in punti - di questi lunghi anni.

grafica milan scudetto

Quando eravamo Allegri

Impressionanti, vero? Si parte ovviamente dalla cima del campionato vinto da Allegri, l’ultimo scudetto della proprietà Berlusconi, per scendere leggermente nelle stagioni successive (la scansione è primo, secondo e terzo) e poi di colpo precipitare all’ottavo posto nel 2014, sprofondando infine al decimo nel 2015. Quello è il fondo, toccato al povero Pippo Inzaghi che, al debutto in panchina, si trovò a dover gestire una squadra mediocrissima, che non solo non aveva sostituito i tanti campioni invecchiati ma, davanti all’emergenza finanziaria che aveva toccato la proprietà nel 2012, era stata costretta a cedere gli ultimi gioielli della corona come Thiago Silva e Ibrahimovic. Sono gli anni in cui Allegri gestisce davvero bene la ritirata di Berlusconi, arrivando terzo nel campionato post-smobilitazione, grazie alla scoperta di El Shaarawy e al rilancio di Balotelli. Poi però la vena di Mario si inaridisce, il ritorno di uno sfiatato Kakà è la classica minestra riscaldata che non nutre, e in breve la star della squadra diventa Menez. Con tutto il rispetto…

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Il fondo

La stagione 2013-14, col tramonto di Allegri e la breve primavera di Seedorf, è anche l’ultima in Champions - si esce agli ottavi dall’Atletico Madrid - per un periodo insopportabilmente lungo (sette anni) per un club che continua a essere secondo soltanto al Real Madrid fra i plurivincitori della coppa più prestigiosa. E l’anno di Inzaghi è quello degli umilianti siparietti a Milanello con Berlusconi che incita ad attaccare una rosa stralunata e un giovane allenatore che vorrebbe essere lontano da lì mille miglia. È del tutto evidente come l’onda lunga del disimpegno sia giunta ormai a riva: dopo una lunga stagione di trionfi in Italia e in Europa, il Milan non regge più il passo finanziario delle squadre-Stato e degli altri giganti del calcio europeo. Che il club sia in vendita non è un mistero, che il panorama si riempia di mediatori e faccendieri nemmeno, e la scelta di Berlusconi di affidare il Milan a Yonghong Li, uno sconosciuto uomo d’affari cinese, continua a risultare inspiegabile a distanza di anni, in base ovviamente alle notizie rese pubbliche. Dura poco più di dodici mesi il suo regno, finché una rata certo non trascendentale - 30 milioni - del prestito contratto con Elliott non viene rimborsata, e il Milan passa armi e bagagli al fondo della famiglia Singer.

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Passiamo alle cose formali

A onor del vero i manager italiani di fiducia della proprietà cinese, Fassone e Mirabelli, avevano avviato una certa rinascita tecnica: l’ultimo Milan berlusconiano, quello di Mihajlovic (e Brocchi nel finale, perché Sinisa aveva rotto col patron) e poi di Montella, aveva portato a casa l’ultimo trofeo prima di questo scudetto - la Supercoppa italiana 2016 - e lanciato alcuni giovani del vivaio: Donnarumma, Locatelli, Calabria. Mirabelli sbaglia l’acquisto di Bonucci, rapidamente archiviato col ritorno alla Juve, ma non quelli di Kessié, fra gli uomini-chiave della rinascita, e di Calhanoglu.

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L’era Elliott

Assunti i pieni poteri, Elliott si muove in altro modo: chiama a Milano il manager che ha rilanciato l’Arsenal, Ivan Gazidis, e affida a Paolo Maldini e a Leonardo la responsabilità tecnica del club. Erano anni che Paolo, una leggenda rossonera, aspettava la chiamata: quello che è stato capace di fare è sotto gli occhi di tutti. Ugualmente, il primo mercato (Higuain, Paquetà, Piatek) è abbastanza infelice. Di tutt’altra qualità il secondo, con la collaborazione di Boban, che porta a Milanello la spina dorsale del Milan campione, da Theo Hernandez a Bennacer - l’eredità di Marco Giampaolo, durato soltanto sette giornate in un ambiente che non poteva aspettarlo - da Leao a Rebic, ai nonnetti terribili Ibrahimovic e Kjaer

Da Pioli alla pandemia

È particolarmente esatta, poi, la scelta del successore in panchina: Stefano Pioli stava per firmare per il Genoa, Maldini e Massara lo bloccano appena in tempo e, soprattutto, lo difendono quando Gazidis, dopo lo 0-5 subito sul campo dell’Atalanta a Natale, fa capire di aver fatto una scelta forte per la stagione successiva con Ralf Rangnick, il tedesco “incubatore” di talenti, di allenatori e persino di club che ha costruito il mondo calcistico della Red Bull. Sono giorni molto difficili, con l’intera filiera tecnica contraria all’idea, e con la separazione da Boban come showdown della situazione. Ma quando sembra ormai spacciato Pioli, sostenuto dal carisma di Ibrahimovic, riorganizza la squadra durante lo stop dovuto alla pandemia e la ripresenta in campo trasformata. Il Milan è la formazione migliore nel finale estivo di campionato, e Gazidis si convince di avere torto, mostrando la vera qualità del capo, quella di saper riconoscere un proprio errore in tempo utile per non patirne gli effetti.

L’ultimo passo

Da lì arriva l’ascesa verticale, perché l’anno scorso il Milan passa dal sesto al secondo posto, riguadagna il “suo” passaporto di Champions ed effettua una scelta difficile ma fortissima non inseguendo le richieste d’ingaggio di Donnarumma. Il mercato fa il resto: Maignan è un portiere dello stesso livello, dopo un anno di apprendistato Tonali sboccia, dietro Tomori si rivela un acquisto così azzeccato da azzerare i danni dell’infortunio di Kjaer, Leao esplode come talento più cristallino della serie A. Tra secondo e primo posto c’è soltanto un gradino, per quanto più alto degli altri: ma se ti rigiri adesso a guardarlo, averlo salito sembra la conseguenza del tutto naturale di una grande gestione.