L'alfabeto del calcio di Berlusconi: dalla A di Arena Civica alla Z di Zaccheroni
Silvio Berlusconi dalla A alla Z. Gli elicotteri, la Cavalcata delle Valchirie e il credo calcistico: difesa a quattro, "padroni del campo e del gioco", mai con un solo attaccante. L'Edilnord ("quando i miei ragazzi facevano 24 passaggi di fila"), i pupilli e Adriano Galliani. La chitarra da Giannino e l'utopia del 1986: "Ricordatevi che chi ci crede, vince"
di Marco Salami
- Che non è solo la prima lettera del suo alfabeto ma anche l'ouverture del suo nuovo Milan. Presentato nel 1986. In maniera trionfale, da film. Come sbattere i pugni su una scrivania. Il messaggio era farsi sentire, da chiunque. Quel giorno Berlusconi e la squadra atterrarono in elicottero sull'Arena di Milano, sulle note della Cavalcata delle Valchirie di Wagner. Quella di Apocalypse Now di Francis Ford Coppola.
- B come la Serie, nel paradosso del ritrovarsi all'inferno col diavolo come stemma e mantra, le fiamme che i tifosi videro per davvero con le retrocessioni del 1980 e del 1982, mentre l'Italia Mundial saliva in cima al pianeta calcio. B come Berlusconi, che salva una squadra sull'orlo del fallimento. B come Brianza, quella del Monza ma anche di Arcore, quartier generale dei summit più importanti.
- Perché i grandi allenatori della storia del Milan sono stati quattro: il primo fu Nereo Rocco, il parón delle prime due Coppe dei campioni Gli altri simboli si sono intrecciati con l'epopea sportiva di Berlusconi e, tutti, coi trionfi in Europa, la coppa manifesto del Milan. Sacchi (vedere lettera S), poi Capello, poi Carlo Ancelotti.
- Cioè il primo vero colpo dell'era Berlusconi. Nel 1986 dalla Roma. Scrive Galliani nella sua autobiografia: Daniele (sempre la D) Massaro è stato il primo che abbiamo sognato, Donadoni (altra D) un altro dei primissimi acquistati. Ma il primato spetta a lui.
- La squadra allenata negli anni Sessanta da Berlusconi. Perché, nel suo cuore da imprenditore, c'è sempre stata un'anima da allenatore. Diceva: "Vorrei che il Milan possa fare quel gioco che ora si dice ‘alla Barcellona’ ma che io praticavo da allenatore, nella squadra dei miei ragazzi: 24 passaggi di fila, mai più lunghi di quattro metri".
- Perché il Milan è sempre stata una questione di cuore. Perché il Milan è dei milanisti, slogan simbolo per gli allenatori: da Capello ad Ancelotti, passando per i suoi ex allievi Seedorf, Inzaghi e Brocchi, negli anni meno floridi. Nel 2010 Galliani disse sorridendo: "Anche Allegri è uno di noi, ha fatto una tournée estiva". E poi Tassotti, storico vice. Evani, eroe dell'Intercontinentale contro Higuita. Cesare Maldini, che allenò poco ma vinse un derby 6-0. Baresi, Massaro.
- E la loro storia insieme. Insieme al Milan e ancora al Monza. Braccio destro infaticabile. Mille aneddoti sui campioni presi in coppia. Uno su tutti: nel 2002 Ancelotti era del Parma, il Milan lo blocca un lunedì mattina mentre sta andando a firmare. Galliani suona il campanello di casa sua e lo convince davanti a una colazione con pane e salame.
- Le battute. Tante. Su e di. "Berlusconi? Sì, è molto bravo, capisce di calcio. Lui è stato allenatore dell’Edilnord" - disse di lui il barone Liedholm, primo allenatore dall'umorismo tutto nordico. Berlusconi, in compenso, sfornò perle come: "Tabarez? Sembra un cantante di Sanremo". Su Zaccheroni: "Lizzola era un bravissimo sarto e aveva un motto a proposito della buona stoffa: attenzione a che sarto la dai". L'apice nel 2014: "Ce l’avrei io l’allenatore giusto: Berlusconi!". Sipario.
- Cioè il Milan di Capello, quello dei quattro scudetti in cinque anni. Quello (stagione 1991-92) del campionato vinto senza mai perdere una singola partita. Un soprannome metafora di tutti i campioni che saranno, prima e dopo: dagli olandesi Van Basten, Gullit e Rijkaard al ministero della difesa: Tassotti, Baresi, Costacurta e Maldini. E poi, in ordine sparso: Boban, Savicevic, Baggio, Weah, Desailly.
- Figlio di Andriy, a cui Berlusconi fece da padrino al battesimo. Rapporto speciale, uno dei suoi pupilli: il compleanno lo stesso giorno, il 29 settembre. La prima estate italiana di Sheva passata in Sardegna: "Ha chiamato il presidente, dice che a Milanello fa troppo caldo, ti presta una delle sue ville" - scriveva l'ucraino nella sua autobiografia Forza Gentile. Quando il padre si ammalò, fu Berlusconi a mettere a sua disposizione i suoi medici di fiducia per il trapianto al cuore: "Per due settimane mi chiamò senza sosta".
- Uno dei campioni più amati. Diceva fosse "il figlio che tutte le madri vorrebbero avere e il marito che tutte le mogli sognano". Nel gennaio del 2009 il nuovo Manchester City dei petroldollari è pronto a fare follie: Milano rossonera è in tumulto, Berlusconi chiama in diretta Aldo Biscardi al Processo annunciando, con uno di quei colpi di teatro tanto amati, la permanenza al Milan: "Kakà è un ragazzo straordinario, ha dato ragione al cuore".
- Quello dei suoi giocatori: sempre perfetti, con uno stile da Milan. I più amati - da Sheva a Kakà, passando per Van Basten - erano acqua e sapone. Capelli corti, niente barba. Anche il Fenomeno Ronaldo aggiustò il look, parola sua: "Ero più comodo con quello di prima. Ma un neo-arrivato ascolta i consigli del suo presidente, deve farlo".
- Il grande rimpianto calcistico. Troppo anche per lui: "Parlandoci mi resi conto di una cosa, Maradona era Napoli - parola di Berlusconi in una recente intervista alla Gazzetta -. Le bandiere non si comprano e non si spostano. Sarebbe stato come prendere il cuore di un’intera città e trasferirlo a Milano. Non si poteva fare".
- Una città che si trasferisce in un'altra città. Barcellona sembrava Milano quel 24 maggio del 1989. Finale di Coppa Campioni contro lo Steaua. Non c'è storia: finisce 4-0. È la vittoria manifesto del suo Milan. Vincere subito a farlo grandiosamente.
- Tre, quando gli stranieri non potevano essere di più. Tutti dall'Olanda. Tre tulipani: prima Gullit e Van Basten, poi Rijkaard. Saranno loro i gol partita nelle due finali del 1989 (doppietta di Van Basten e doppietta di Gullit) e del 1990 (1-0 firmato Rijkaard).
- Perché Berlusconi osservava dall'alto delle poltroncine rosse di San Siro, ma la mente tattica scendeva idealmente fino a bordocampo: "Nell'ultima riunione tecnica prima della finale di Old Trafford del 2003 contro la Juventus c'erano tutti i giocatori in tuta, con un compagno vestito meglio di loro. Più distinto. Era Silvio Berlusconi. Ho distribuito i fogli con gli schemi - scriveva Ancelotti nel suo libro Preferisco la coppa - li ha voluti anche lui. Poi li ho ritrovati in un libro di Bruno Vespa: il presidente li aveva spacciati per suoi".
- La difesa a quattro. Più di un consiglio, un comandamento. Il suo credo calcistico, sintetizzato nella massima "padroni del campo e padroni del gioco". Anzi, del giuoco, con una u. Parola figlia di studi classici e antica, per un calcio moderno, nuovo. Mai con una sola punta: "Manderò una lettera, da lunedì qualsiasi tecnico del Milan sarà obbligato a giocare con almeno due attaccanti" - ipse dixit febbraio 2004, dopo un derby vinto da Ancelotti in rimonta da 0-2 (con Shevchenko unica punta) a 3-2 (con Tomasson per Rui Costa all'intervallo).
- Uno su tutti, Giannino. A Milano dal 1899, proprio come il Milan. Il posto degli affari di mercato e anche del cuore. L'Area 51 rossonera, non perché segreta ma perché, a quelle cene, gli extraterrestri del pallone siglavano contratti. Non tutti: nell'estate del 2006 Ibrahimovic firmò, ma con l'Inter: "Berlusconi era da Giannino, smise di suonare la chitarra e restò in silenzio per un'ora" - scriveva proprio Ibra nella sua autobiografia Adrenalina.
- L'uomo per dare vita all'utopia calcistica (vedere lettera U). Ex impiegato di un calzaturificio a Fusignano. Non aveva mai giocato calcio ma amava dire che "un grande fantino non è mai stato un cavallo". L'uomo che realizza la sua visione portando il Milan sul tetto d'Italia al primo anno, d'Europa al secondo e del mondo al terzo.
- 29 in 31 anni. E quel paragone tanto amato: ripetere di essere il presidente più vincente della storia del calcio, e che il secondo in classifica (nientemeno) dava il nome allo stadio più glorioso del mondo, Santiago Bernabeu.
- Quella nella dichiarazione di intenti del primo discorso, nel marzo del 1986: "Il Milan deve diventare la squadra più prestigiosa del mondo attraverso le vittorie dei più importanti trofei internazionali e in forza di un giuoco spettacolare nel rispetto degli avversari. Voglio un Milan coraggioso, in Italia e all'estero, padrone del campo e padrone del giuoco. Il bel giuoco dev'essere il nostro principale obiettivo. E ricordatevi che chi ci crede, vince".
- "Il calciatore che più ho amato? Se proprio devo indicarne uno - disse qualche anno fa al Corriere - scelgo Marco Van Basten, era il simbolo della bellezza del calcio come lo intendo io".
- Cioè l'uomo dello scudetto del centenario nel 1999, ma anche quello della difesa a tre che proprio non gli andava giù.