Le invenzioni tattiche di Thiago Motta tra genialità, errori e provocazioni

C’è stato un momento in cui Thiago Motta faceva discutere più di Pep Guardiola, che in quanto a sperimentazione non è secondo a nessuno. L’inventore del tiki-taka e del falso nueve o dei terzini che diventano mediani, impallidiva dinanzi al terremoto tattico generato da Thiago Motta sul rettangolo verde quando se ne uscì con l’idea del 2-7-2, il modulo più rivoluzionario della storia del calcio dopo il celebre 5-5-5 di Oronzo Canà. Visionario innanzitutto per un motivo, banalissimo: la somma fa 12, aggiungendo il portiere, e a vincere giocando con un uomo in più sono bravi tutti. Ma poi Thiago Motta svelò il trucco, e al contempo la sua natura di ricercatore del calcio, innovatore sempre aperto a soluzioni in apparenza stravaganti. La provocazione del 2-7-2 con portiere a centrocampo Bisogna tornare ai tempi in cui Motta – appesi gli scarpini a un muro dello spogliatoio del Psg – iniziò la sua carriera in panchina, proprio dalle giovanili del club parigino. Allenatore lo era già in campo, dicevano di lui i suoi mister ammirandone geometrie, tempi, senso tattico e carisma. Era il 2018 e adesso immaginatevi le facce e i "mon Dieu" dei suoi Under 19 quando entrò in spogliatoio e disegnò sulla lavagna un 2-7-2 e per di più con il portiere schierato a centrocampo. Il trucco c’è ma non si vede, dicevamo. Perché come spiegò lo stesso Thiago per giustificare la boutade “per me la squadra si può leggere anche partendo dalla fascia destra arrivando alla sinistra”. Nel senso che, posizionate le 11 calamite sulla lavagna con un classico 4-3-3 , è sufficiente immaginare di dividere il campo in tre zone longitudinalmente per vedere il 2-7-2. Due , sette , due . Chi ha detto che un modulo va letto viaggiando da porta a porta e seguendo l’ordine difesa-centrocampo-attacco? La convenzione, certo. Ma qui stava la grande provocazione di Thiago Motta: uscire dagli schemi per provare a inventare qualcosa di nuovo. Vedere con occhi diversi quello che c’è già. “Io il portiere lo conto in quei 7 in mezzo al campo. Per me l’attaccante è il primo difensore e il portiere il primo attaccante”, precisò Thiago Motta. “Dal portiere parte il gioco, con i piedi, e dalle punte il pressing offensivo per recuperare la palla”. Concetti che oggi sposa la maggior parte degli allenatori, ma quando Motta provò a spiegargli ricorrendo al 2-7-2 fu troppo forte la tentazione di farlo passare per un genio, un matto, o forse entrambe le cose. E il titolo fu: Thiago Motta vuole giocare con il 2-7-2. Il 4-2-4-0 "reale" Ecco, se in quel caso Motta volle volutamente “esagerare” per far passare un concetto, ultimamente gli si inizia a rimproverare il fatto di averci preso un po’ troppo gusto. Talvolta anche in situazioni in cui sperimentare è forse l’ultima cosa che andrebbe fatta. In questa stagione la sua Juventus è stata disegnata sempre con il 4-2-3-1, ma le varianti a partita in corso non sono mancate, così come i cambi di ruolo a cui ha sottoposto alcune pedine, che hanno certamente dimostrato tutta la loro capacità di adattamento, ma forse non hanno tratto beneficio da questi continui “sballottamenti”. Se il 2-7-2 rimase solo un disegno su un foglio ruotato di 90 gradi, il 4-2-4-0 è stato una – forse non proprio solida – realtà. Thiago Motta lo varò il 23 novembre 2024 quando a San Siro andò in scena un Milan-Juve 0-0 giustamente catalogato come una delle partite più brutte che si siano viste di recente, curiosamente a un mese di distanza da quell’Inter-Juve 4-4 che invece aveva infiammato quello stesso prato. Senza Vlahovic, senza Milik, insomma senza un centravanti vero, Motta contro i rossoneri stupì con l’invenzione di McKennie “falso nueve”, affiancato da Koopmeiners che saliva sulla stessa linea dell’americano. Con Conceiçao e Yildiz larghi sembrò un 4-2-4, ma le pochissime occasioni create resero evidente il fatto che in realtà la Juve attaccava con zero attaccanti. Alla fine del primo tempo si contavano appena 6 tocchi di palla bianconeri nell’area di rigore del Milan, praticamente una terra inesplorata per la truppa di Motta. Un copione che si è ripetuto simile in occasione di un altro 0-0 da sbadiglio, in Champions contro il Bruges, dove Motta ha rinunciato dall’inizio a Vlahovic preferendogli un non-centravanti come Nico Gonzalez in quel ruolo. Koopmeiners chiamato a “buttarsi dentro”, Mbangula e Weah larghi. Risultato, una tirata d’orecchi generale al reparto a fine partita, con Thiago che disse senza giri di parole di pretendere di più dagli attaccanti. Il "non nove" a rotazione Per provare a risolvere il problema del centravanti Motta ne ha provati diversi, cambiando di partita in partita o anche nella stessa partita. In Juve-Napoli 0-0 del 21 settembre 2024 Vlahovic nel primo tempo delude e dopo l’intervallo Thiago si presenta con Weah al posto di Dusan, al centro dell’attacco. Ci riprova il 27 novembre, ancora Weah centravanti contro l’Aston Villa, altro 0-0 che dimostrò che i geni del bomber non sono gli stessi di papà George. Ma l'elenco di quelli schierati nella casella del 9 comprende anche McKennie, Koopmeiners, Nico Gonzalez, tutti senza i risultati sperati. C’è stata persino la tentazione Yildiz, per ora provato solo al riparo da sguardi indiscreti, in allenamento. Non è nemmeno corretto parlare di "falso nove", perché non è con quelle intenzioni e quei compiti che Motta li schiera lì. Più giusto forse definirli semplicemente “non nove”. A McKennie manca solo la porta Ma se c’è un giocatore in grado di dare soddisfazione a un allenatore come Motta, quello è McKennie, con cui ha “giocato” a reinventarlo in quasi tutti i ruoli possibili, scoprendogliene forse uno nuovo. Non il centravanti, sebbene l’abbia schierato anche lì contro il Milan e l’Atalanta, ma il terzino destro. Invenzione, come capita spesso nella storia delle invenzioni, nata dalla necessità. Il 2 ottobre, a Lipsia, la Juventus ha da poco riacciuffato il pareggio quando Di Gregorio viene espulso. Siamo al 60’, bisogna inventarsi qualcosa. E quel qualcosa è McKennie terzino destro. Gli fa posto Savona, che esce per Douglas Luiz, con la rinuncia anche a Yildiz per inserire Perin tra i pali. E non escluderemmo che per un istante Thiago Motta abbia pensato di mandarci il tuttofare McKennie… Ad ogni modo, i bianconeri vanno sotto ma poi rimontano e vincono e alla fine l’allenatore, elogiato per quella mossa, non può che elogiare a sua volta “corsa e qualità tecniche” del texano, che gli permettono di destreggiarsi bene ovunque. E se la Juve non avesse rimontato? Probabilmente oggi si parlerebbe di esperimento fallito. Da terzino destro a sinistro è un attimo, e lì abbiamo ritrovato McKennie nell’ultima gara di Champions contro il Benfica, ma a quel punto non ha nemmeno fatto notizia. La notizia era Weah terzino destro. Esperimento, in questo caso sì, fallito miseramente. E su Thiago piovono critiche. Le intuizioni "fortunate" Sì, perché la fama del genio si costruisce anche così, con un pizzico di fortuna. La mossa folle che diventa geniale perché quel giocatore, quella sera, "funziona". In altre occasioni gli azzardi di Thiago Motta - se ancora vogliamo definire "azzardo" far giocare un ventenne - hanno pagato: soluzioni coraggiose che hanno portato a risultati concreti e applausi. Il 19 agosto, alla prima di campionato contro il Como, Motta schiera titolare il ventenne Mbangula, proveniente dalla NextGen, come ala sinistra. Dopo 23’ di Serie A fa gol, e allora Motta è un genio. Passano sette giorni e con il Verona ne lancia titolare un altro, Nicolò Savona, panchinando il capitano Danilo: gol all’esordio anche per lui, e Thiago è un mago. Quando si dice “hanno deciso gli episodi”, si intende anche questo.

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Vanni Spinella