L'evoluzione (sorprendente) dei direttori sportivi

Chi decide davvero nei club? Chi costruisce, chi pianifica, chi media tra campo e proprietà, tra risultati e visione? In un calcio sempre più strutturato e industriale, la figura del direttore sportivo è diventata centrale, anche se spesso invisibile. Eppure, oggi, il ruolo del DS non è più soltanto quello del talent scout o del mediatore di mercato: è molto di più. È visione sportiva, è governance, è coordinamento strategico. Le competenze richieste per questo tipo di ruolo stanno diventando sempre più ampie e infatti i club ormai non si fidano soltanto delle proprie conoscenze e della propria sensibilità: la ricerca spesso viene affidata anche a società specializzate che sanno analizzare senza filtri il valore del professionista. Anche per questo Football Benchmark ha deciso di fare un focus su questa figura e di mappare in maniera analitica i profili dei direttori sportivi nei cinque principali campionati europei – Premier League, Liga, Bundesliga, Serie A e Ligue 1 – tracciandone origini, competenze, durate e modelli operativi. Il primo dato che emerge è che, nonostante l’importanza strategica, si tratta di un ruolo fragile: la durata media è di 2,6 anni, sintomo di una pressione costante, spesso legata ai risultati. In Premier League si scende addirittura a 1,8. Solo in Liga si supera la soglia dei tre anni. Eppure a queste figure viene chiesto molto: coerenza sportiva, controllo del vivaio, sostenibilità finanziaria, equilibrio tra la dimensione tecnica e quella economica. L’identikit è complesso: servono competenze verticali e trasversali, conoscenze profonde del mercato e una leadership credibile sia all’interno che all’esterno del club. Non basta più sapere di calcio. Un altro elemento interessante che emerge dal report è che due terzi dei direttori sportivi attualmente in carica sono ex calciatori professionisti. La tendenza è molto marcata in Ligue 1 e nella Bundesliga, mentre in Premier League solo una minoranza proviene dal campo. Curioso notare che 1 DS su 5 oggi lavora per il club in cui ha anche giocato, con picchi in Ligue 1 e Bundesliga , seguiti da Liga , Premier League , e nessuno in Serie A. Ed è interessante vedere quanto queste dinamiche si riflettano in modo diverso nei vari campionati. In Premier League, ad esempio, la figura del direttore sportivo è arrivata tardi e oggi assume forme ibride, spesso a supporto di allenatori ancora molto centrali. In Francia, dove le strutture dirigenziali sono più snelle, la concentrazione delle decisioni resta spesso in mano alla proprietà. E poi c’è la Serie A. Il focus sulla nostra lega rivela alcuni tratti distintivi. Intanto la sorpresa della durata della carica è rilevante. Andando soltanto a memoria si potrebbe incorrere nell’errore di rendere il particolare generale. Invece il tasso di rotazione è alto, soprattutto se i risultati non sono soddisfacenti . L’Italia - oggi - è anche il campionato con il più alto tasso di ‘autarchia dirigenziale’: ben 18 direttori sportivi su 20 sono italiani. Una preferenza netta per figure che conoscano il contesto, che parlino la lingua del club , e che quindi sappiano muoversi tra le regole non scritte del sistema. È un calcio ancora molto identitario, dove sembra che la familiarità spesso valga più della provenienza internazionale. Ma questa scelta, se da un lato premia la conoscenza del territorio, dall’altro può rischiare di isolare la Serie A da un’evoluzione più globale del ruolo? In Premier League, ad esempio, solo 7 club hanno un direttore sportivo inglese: tutti gli altri arrivano da fuori, portando esperienze e metodi di lavoro diversi. In Italia invece si preferisce l’interno. Ma questo non impedisce all’Italia di avere un respiro internazionale. Anzi molti club acquistano più stranieri che italiani , hanno una rete molto vasta di conoscenze internazionali, si strutturano con uno scouting che va a cercare talento e opportunità in giro per il mondo. E poi ovviamente ci si avvale di figure in grado di tessere rapporti efficaci e produttivi fra club. È evidente che le questioni poi cambiano da club a club. La crescente diffusione delle proprietà multi-club – come quella dell’Udinese con il Watford – sta portando anche in Italia un cambio di paradigma. Figure come Gianluca Nani operano oggi su più livelli, con una visione sovranazionale che modifica i contorni tradizionali del ruolo. E alcune società, come per esempio il Parma, hanno cominciato ad affidare la guida strategica a CEO con competenze sportive, che affianca il DS in un ruolo più operativo. Un dato da non sottovalutare è anche l’età media dei direttori sportivi: nei cinque principali campionati europei è di 48,6 anni, con un minimo di 45,4 nella Liga e un massimo di 51,8 in Serie A. Anche questo segnala una certa idea di esperienza e maturità richiesta al ruolo in Italia, dove il percorso è spesso lungo e consolidato. Un altro aspetto interessante è quello delle promozioni interne. Nel complesso, il 30% circa dei DS è stato promosso internamente. Ma la Serie A non è tra le leghe più virtuose in questo senso. In Liga sono invece frequenti, soprattutto nei club attenti alla filiera giovanile. Valencia, Villarreal, Athletic Club e Real Sociedad sono esempi di società che lavorano molto su continuità e sviluppo interno. In Serie A accade meno spesso. Il modello prevalente resta quindi quello del DS esperto, pescato da altri club, più che quello cresciuto dentro la società. Anche questo è un indicatore di come venga vissuta la funzione: più come ruolo tecnico-decisionale che come figura strategica integrata nella visione a lungo termine del club. Lo studio di Football Benchmark non dà risposte definitive – e non potrebbe essere altrimenti – ma offre una mappa chiara di dove siamo e dove stiamo andando. Il punto vero, oggi, non è più cosa debba fare un direttore sportivo, ma come strutturare una leadership tecnica che sia coerente con l’identità, le ambizioni e il modello gestionale di ogni singolo club. Perché non esiste un format unico. E perché la vera sfida è creare strutture che sappiano resistere al tempo e ai risultati, dando continuità alle idee. Anche in Serie A.

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Luca Marchetti