Napoli, do you speak English?

Non c’è dubbio che l’MVP indiscusso della stagione trionfale del Napoli sia stato Scott McTominay. Non solo per lo straordinario contributo continuo durante tutto l’arco della stagione, ma anche per il tipo d’operazione chiusa dal Napoli. L’acquisto di un giocatore relativamente giovane - o nel suo ‘prime’ se prediligete un linguaggio molto attuale tra gli adolescenti di oggi - proveniente dal campionato più competitivo al mondo, la Premier League. Che il Napoli avesse fatto un affare, si era capito sin da subito in relazione a due elementi fondamentali: l’allenatore che lo ha voluto, Antonio Conte e il club di provenienza, il Manchester United. Quest’ultimo punto merita un breve inciso. Il Manchester United di questi tempi è una polveriera con una sorta di cartello all’ingresso ‘lasciate ogni speranza voi che entrate’. Un posto che a dispetto dell’immenso prestigio è al momento poco fertile per chi ha talento. Ecco perché era ed è più che lecito attendersi un exploit da chi lascia l’arrugginito centro sportivo di Carrington per cercare fortune altrove. Lo dimostra Sancho, arrivato per una cifra monstre dal Borussia Dortmund e mai valorizzato da Erik ten Hag. Il prestito al Chelsea ha parzialmente rispolverato il cristallo del suo talento, ma non sufficientemente per esercitare un riscatto. Il Napoli segue attentamente e potrebbe valutare di ‘risarcire’ Conte dopo l’affare Kvaraskhelia, lasciato andare al PSG senza un rimpiazzo all’altezza. Antonio Conte, dicevamo. Arrivato al Napoli con l’obiettivo di vincere stabilito entro un arco temporale di tre anni come rivelato nell’intervista esclusiva rilasciata a Federico Buffa Talks per rispondere alla domanda ad hoc del direttore di Sky Sport Federico Ferri. Un lasso temporale abbattuto dalla precocità di un successo tutt’altro che casuale e che ha ancora una volta messo in luce la qualità di ‘instant impact’ che gli inglesi gli riconobbero immediatamente nella sua esperienza inglese. È lì che Conte ha ulteriormente alzato la sua asticella. Non solo confrontandosi con una nuova cultura, in campo e fuori, ma studiandone i segreti, analizzandone le criticità. Conte ha trovato dentro di sé la risposta alla domanda che tutti si fanno: in cosa la Premier League è migliore della Serie A? E una volta colto il senso, non filosofico ma analitico, profondamente analitico, lo ha consolidato dentro di sé per le esigenze del momento e per eventuali esperienze future. Da quando c’è Conte il mercato del Napoli è ‘PremierLeague-centrico’. McTominay si è preso tutta la gloria ma non è l’unico. Billy Gilmour non ha brillato ma, una volta codificata la nuova realtà, può essere un fantastico valore aggiunto. Romelu Lukaku, sì impegnato con la Roma l’anno precedente e legato all’Italia in questa seconda fase della sua carriera, ma nato e sbocciato con l’imprinting della Premier League. Con una fisicità di cui molto spesso si è parlato, tendente a mimetizzarsi in un campionato come quello inglese, ma una qualità assoluta e diversa dal resto in un contesto come la Serie A. Philip Billing, acquisto invernale passato quasi sottotraccia, che oggi tutti a Napoli ricordano per il fondamentale gol del pareggio allo scadere nello scontro diretto contro l’Inter. Caratteristica principale: fisicità. Nonostante il ruolo, visto che Billing al Bournemouth ha giocato anche sottopunta o da numero 10. Il Napoli di Conte ha avuto subito un imprinting inglese, in perfetta armonia con la ferocia che ha sempre contraddistinto la sua figura di giocatore prima e di allenatore poi. Da freschi campioni d’Italia, mentre i media si affrettavano ad associare Conte ad altre panchine, allenatore e società avevano già messo in moto i motori della missione successiva: l’ulteriore salto di qualità. Che non poteva che far rima con Kevin De Bruyne, il calciatore più influente dell’ultimo decennio di Premier League. Un calciatore, possibilmente in una fase discendente della carriera, ma ancora perfettamente in grado di incidere col suo sconfinato talento, come dimostrano le sue ultime uscite con il Manchetser City. Un cervello a cui Conte vuole delegare il suo pensiero calcistico, l’uomo più affidabile che potesse esserci. Per referenze, chiedere a Pep Guardiola. Con la consapevolezza poi che il tempo passa per tutti, Conte ha già pensato a come compensare le eventuali defezioni fisiche di KDB mettendo gli occhi sul centrocampista del Brighton, Matt O’Riley, seguito con passione la scorsa estate dall’Atalanta di Gasperini a caccia del dopo Koopmeiners. Alla fine, O’Riley, dopo una stagione meravigliosa al Celtic di Glasgow, prese la via di Brighton dove solo parzialmente ha rispecchiato le grandi aspettative riposte in lui per colpa di un grave infortunio al ginocchio. Ora che è tornato in forma, può essere un ulteriore tassello Made in England per il centrocampo del Napoli. Per chiudere, Conte è sempre stato un maestro dell’over performance. Andare oltre le aspettative, sorprendere. Ma sa perfettamente che restare in cima alla montagna è più difficile che arrivarci e per questo ha studiato con la società del Napoli un piano granitico per restare al top. Se andare in Premier League si è rivelato per molte ragioni molto complicato, deve essere la Premier League ad andare da lui. Conte ha scelto questa via. E la città di Napoli può solo dire grazie. O forse più opportunamente, thanks.

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