Tour, il Pagellone dei primattori. Ivan mai così in Basso...

Ciclismo
E' cominciata così: Cadel Evans, vincitore del Tour, scatta nella crono decisiva
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Per Cadel Evans massimo dei voti, anzi: di più. Un 10 anche a Andy Schleck che ha emozionato con due imprese eroiche. Subito dietro c'è Re Contador, che merita 9. Delusione cocente è Basso: insufficiente. Meno male che c'era Cunego (7,5 per lui). LE FOTO

FOTO: il Galibier lascia i segni: le facce degli eroi - Immagini imperdibili dalla storia del Tour - Cipollini e il Tour: storie di vittorie e "bischerate" -

di PAOLO PAGANI

Apollo lo spietato, fratello fighetto di Ermes, a Delfi uccise il mostro Pitone obbedendo a un ordine di Zeus. Protetto e favorito anch'egli dagli dei, l’uomo degli antipodi Cadel Evans in un sabato pomeriggio estivo ha debellato in meno di un’ora sorte, malasorte, destino, avversari. Ha divorato il suo mostro personale, ha meravigliosamente risolto in extremis il giallo della maglia gialla all’ultima tappa. Come Apollo, abitato da una voglia di eccesso ma un filino più sudato, Cadel ha inflitto all’eroe giovane e bello Andy Schleck, spaventato di colpo dal suo stesso primato repentino, il primato di un giorno appena, la più bruciante delle Leggi. Quella del più forte, ovvio. E’ lui, già campione del mondo a Mendrisio nel 2009, lo sbranatore del Tour 2011. Da lui, che proprio come Ermes deve avere ricevuto in dono la politropìa o arte dell’assumere molte forme per assecondare la brama di Potere, deve partire allora il pagellone dei primattori di una Grande Boucle a orologeria, emozionante forse come mai, e decisa alla 25ma ora dalla cattiveria spettacolare di una possente prova contro le lancette.

- CADEL EVANS: voto 11. Ha un bel dire nel dopo-crono “finché non sarò a Parigi non ci crederò”. I 7 secondi di distacco dal vincitore di Grenoble, il tedesco Tony Martin, raccontano che questo inossidabile australiano classe ’77, prode guerriero digrignante ha compiuto l’Impresa. Beffando la giovinezza (classe ’85) di un Andy Schleck subito paralizzato da tanto sfoggio di tracotanza. Gli ha inflitto l’abisso temporale di due minuti e mezzo in un'ora scarsetta di gara, recuperando a metà dei 42 km totali i 57” di svantaggio dal lussemburghese. Che parevano fatali soltanto 24 ore prima, tu guarda la fugacità delle umane cose. Il primo australiano che vince un Tour de France. Compliments. Cadel ha attaccato sempre e ovunque. Ha recuperato quando sembrava perduto e zavorrato da salite disoneste, lui poco avvezzo per caratteristiche di telaio agli slanci leggeri in verticale. I Campi Elisi, oggi, gli siano dunque lievi. Ha strameritato, mostrando al mondo come si corre un Tour, che non è gara come le altre ma Odissea, traversata del dolore, polvere e rinascita, combattimento, tattica e strategia assieme. Immenso.

- ANDY SCHLECK: voto 10. L’eroe giovane bello & smilzo ha corso una Grande Boucle coi fiocchi, entusiasmando per sagacia, pazienza, freddezza, forza, coraggio, maturità. Sulle Alpi, lui pettuccio di pollo su un’anatomia bislunga, s’è per davvero trasformato in aquila. Sul Galibier, con la fuga solitaria di 60 km già entrata nell’albo delle leggende che un giorno sfoglierà ai nipotini, ha tolto il fiato agli aficionados francobollati alla tv. E solo un Voeckler ancora conscio di se stesso, quel giorno, gli negò per 15 smilzi e maledetti secondi l’onore della maglia gialla. Andy il tenerario s’è ripetuto il giorno appresso, fuggendo incollato a Contador per 92 km di tormento verso l’Alpe d’Huez. Sin lì coperto nel gruppo, protagonista di qualche stop and go provocatorio tanto per pestare le uova nel paniere del plotone, il giovane Schleck in due giornate di grazia e fuoco e fiamme sui monti s’è scoperto abitato dalla grandezza agonistica. Complice forse il sentirsi unfit, ancora inadatto al ruolo; o complice uno spaventoso Evans, solo all’ultimo giorno, il giorno del duello al sole decisivo, Andy il bello ha ceduto. Per stanchezza. Il secondo posto al Tour gli fa comunque onore imperituro. Splendido.

- ALBERTO CONTADOR: voto 9. Come l’assalto ai cancelli del Galibier per Schleck, così l’impennata d’orgoglio del Re momentaneamente travolto dal fato nella tappa mostruosamente bella dell’Alpe d’Huez consegnano il cannibale spagnolo ai quartieri altissimi di questo Tour edizione numero 98. Ha dominato da padrone il Giro più cattivo degli ultimi dieci anni. E’ arrivato in Francia con la pressione del favorito che può solo far brutta figura, perché da lui, campionissimo bulimico di trionfi, il mondo s’aspetta sempre e solo concorrenza maciullata, avversari sgretolati. Ha sofferto. E’ caduto. Non dal trono, no: è caduto in terra in avvio di Tour, nella settimana in cui gli asfalti di Francia sembravano lisciati da acqua e sapone per trastullo degli dei. Non ci fosse stato l’handicap del minuto e 40 perso subito, non avesse patìto come un cane le conseguenze dei capitomboli, sommati alle fatiche del Giro corso da satrapo imbattibile, chissà. Ha onorato anche lui la Grande Boucle. Ha spaventato tutti. Grandissimo.

- FRANK SCHLECK: voto 7,5. Resterà negli annali il giorno della fuga verso il Galibier del fratello minore, l’astuzia propiziata da un accordo tra parenti stretti. Colto furtivamente dalle telecamere. Lui, Frank, che al momento era terzo in generale a 1’59” appena dal leader provvisorio Voeckler, è l’Ulisse astuto che inganna i ciclopi. E trova nel frattelone bislungo, collocato a 4 minuti e rotti dalla vetta della generale, l’Achille Pié Veloce pronto a far fessi i troiani del gruppone. Lui, Frank, sussurra malandrino: vai avanti, scappa Andy, ché questi qua curano me con la scusa che sono terzo e si distraggono dalla tua impresa, vai, vola, stasera ci ritroviamo a festeggiare sul podio mano nella mano… Profezia che s’auto-avverava. Capolavoro tattico. Non scordiamo che Frank il furbo chiude il Tour in terza piazza dietro a due giganti. Mica pizza e fichi. Chiamalo fesso. Campione.

- DAMIANO CUNEGO: voto 7,5. Meriterebbe anche 8 per l’impegno. Ma insomma: se allo scrutinio finale il 7,5 va al terzo in classifica, qua non esageriamo con la munificenza. Il piccolo principe veneto fa una pernacchia (metaforica: quelle sonore le lasciamo a Bossi) a Ivan Basso, lo sopravanza in generale al 7° posto di un buon minuto e mezzo, si cava una gran bella soddisfazione, rispondendo da campione a chi lo dava per finito dopo aver vinto un Giro. E' stato in tutte le fughe, in tutte le azioni cruciali, in tutte le salite che contano. S’è difeso, ha rintuzzato. Ci ha persino provato, nell’ormai memorabile frazione dell’Alpe d’Huez ad andare addirittura a vincere. Solo che là davanti c’erano i mostri. Bisogna capirlo. Eccellente.

- LA NORVEGIA: voto 7,5. Strage di Oslo a parte, che è cronaca serissima e disperante, sono stati i due, gli unici due norvegesi in gara, a far gridare le gazzette. Thor Hushovd (mica si è campioni del mondo per caso) e il simpatico Edvald Boasson Hagen del Team Sky hanno messo in saccoccia due tappe ciascuno. Quattro tappe (in due) fanno un quinto del Tour in mano loro, nelle grinfie di due giovani cittadini di un Paese con 5 milioni d’abitanti in tutto e più renne che ciclisti per strada. Sontuoso, come uno scià d’altri tempi, Hushovd quando ha trionfato solitario in casacca iridata unta di fango a Gap, mentre alle sue spalle giungeva proprio il compatriota Boasson Hagen… Certezze assolute.

- THOMAS VOECKLER e SAMUEL SANCHEZ: voto 7 . Non si può trascurarli. Il primo, il francese Europcar, ha vestito la maglia gialla dieci giorni pieni e tondi. E qualcosa vorrà pur dire. E’ parso tornito nel ferro, mai stracco, impossibile slombarlo, presente in ogni fuga, incollato alla sua amata t-shirt gialla finché le forze lo hanno retto e la benzina gli ha spinto il propulsore. Lo spagnolo Euskaltel, d’altro canto, ha conquistato la maglia a pois che, al Tour, non significa la casacca di Scaramacai o dei clown al Barnum. E’ la corona del re degli scalatori. Un tatuaggio d’onore. Presente, Sanchez, finanche alla crono di Grenoble, dove ha figurato splendidamente. Altro che comparsa pronta a sciogliersi non appena la strada liscia. Tostissimi.

- IVAN BASSO: voto 5. E qua siamo alle dolentissime note, perciò scorciamo l’agonia e facciamola breve. Che figuraccia. Mai protagonista, Ivan l’ex Terribile (vincitore del Giro un anno fa, poi bye bye) partiva con la valigia dei buoni propositi piena di ambizioni, di sogni, di volontà di potenza. Invece un risicato ottavo piazzamento finale a sette minuti da Evans. Noi tutti ad aspettarlo, prima sui Pirenei, poi sulle Alpi. Nisba. Sarà stato anche il famoso incidente sull’Etna in allenamento, coi punti di sutura al volto nel mese di maggio. Ma qui bisognerà decidersi: non fenomenale a cronometro, tutt’altro che irresistibile in discesa, buono in salita (solo che non ne ha centrata mai una da mattatore), Ivan cambi obiettivi. Non è mai volato tanto Basso come quest’estate. Si concentri sui Giri, magari. O migliori dove patisce lacune. Ma la smetta di darcela a bere. Delusione cocente.

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