Simeoni: tutti sapevano di Armstrong, nessuno ha fatto nulla

Ciclismo
Armstrong e Simeoni assieme al Tour de France 2004
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L'INTERVISTA. “Lance mi ha penalizzato pesantemente. Sia a livello personale che sportivo ed economico”. Filippo Simeoni, 41 anni, ex corridore di Flaminia e Carrera, ci va giù duro. Il nemico storico del ciclista texano, da Sezze, vuota il sacco

di Gianluca Maggiacomo

“Armstrong? Mi ha penalizzato pesantemente. Sia a livello personale che sportivo ed economico”. Filippo Simeoni, 41 anni, ex corridore di Flaminia e Carrera, ci va giù duro. Lui è considerato un nemico storico del ciclista texano, soprattutto a causa della sua deposizione al processo contro il dottor Michele Ferrari. Campione d’Italia nel 2008 e un passato di doping con relativa squalifica. Simeoni si è ritirato nel 2009, dopo esser stato escluso dal Giro d’Italia in cui avrebbe corso con la maglia tricolore. Da allora gestisce un bar a Sezze, borgo arroccato sui monti Lepini, in provincia di Latina. E da dietro il bancone, tra un cappuccino e un cornetto, l’ex ciclista sta seguendo gli ultimi sviluppi della vicenda-Armstrong.

Nel rapporto dell’Usada si parla come del “più sofisticato sistema di doping mai visto”. Cosa ha provato quando ha letto queste parole?
"Un po’ mi è dispiaciuto perché ha creato problemi di immagine al ciclismo. Però credo che questo pronunciamento sia importante. Tutte queste cose nell’ambiente si sapevano. Dopo l’inasprimento della lotta al doping, con controlli più mirati, si era fatto molto, soprattutto contro il doping di massa. Però c’era il problema del doping d’elite, ovvero quello per atleti di un certo livello e con una buona disponibilità economica. Faccio un esempio: se prima molti usavano l’epo, poi, con controlli più duri, le squadre che erano organizzate in maniera più sofisticata e con medici all’altezza utilizzavano pratiche più furbe. E questo il dossier lo mette in evidenza".

Te l’aspettavi così vasto il sistema di doping?
"Sì, me lo aspettavo e lo sapevo".

C’è stato un momento, in questi giorni, in cui ha pensato:“Io ve l’avevo detto”?
"Sinceramente no, non mi interessa. Però io sapevo come stavano le cose. Sono stato sempre coerente e trasparente. Sempre. Anche quando ho deposto nel processo contro il medico Ferrari. Per cui, quello che sta venendo fuori non mi sorprende".

Già, il procedimento penale a Bologna contro Ferrari. Lei ha sempre detto che i suoi guai sportivi sono cominciati lì, vero?
"Sì, fui ascoltato come persona informata sui fatti. Io non feci altro che essere onesto con gli inquirenti. Mi avevano sequestrato delle agende in cui annotavo tutti i particolari sul mio passato di doping e sulla relazione con Ferrari. Ho confermato che ero andato dal dottore per chiedergli consigli sulla preparazione e lui mi espresse chiaramente il concetto che se volevo puntare a migliorarmi dovevo utilizzare certe sostanze. Io non ho fatto altro che confermare ciò che gli inquirenti già sapevano".

Qui però entra in scena Lance Armstrong che, in varie interviste, la definì “mentitore assoluto”.
"Sì, è esatto. E la cosa buffa è che sono stato attaccato da Armstrong senza che io l’avessi mai nominato. Mi ha detto che ero un mentitore assoluto e una persona poco credibile. Con il senno di poi posso dire che sono stato attaccato perché dicevo la verità. Il dossier conferma che Armstrong lavorava sempre con Ferrari e insieme governavano il ciclismo mondiale".

L’apice del suo pessimo rapporto con il texano fu raggiunto in una tappa del Tour de France del 2004. Come andarono le cose?
"Era la 18esima tappa, l’avevo preparata bene. Avevo studiato il percorso. Pronti, via e sei corridori vanno in fuga. Il gruppo era a circa un minuto. Dopo il trentesimo kilometro mi alzo per raggiungere i fuggitivi. Quando mi sono mosso ho sentito da dietro Armstrong gridare ai compagni di squadra di chiudere su di me. Loro, però, non ce la facevano perché erano stanchi dalla tappa del giorno prima e si mosse lui in prima persona. Quando l’ho visto arrivare ho continuato nella mia azione e in tre kilometri siamo ritornati sui primi. Una volta raggiunti i sei davanti, lui ha affiancato uno ad uno i corridori e ha cominciato a parlargli. Dopo 500 metri viene da me lo spagnolo Garcia Costa (uno dei fuggitivi, ndr) e mi dice: “Armstrong non vuole la tua presenza. Rialzati perché altrimenti lui rimane qui e da dietro ci vengono a prendere facendo finire la nostra fuga”. Io ho capito la situazione e ho rallentato, facendomi raggiungere dal gruppo. Quando siamo rimasti soli io e Armstrong, lui, con quella sua aria arrogante e presuntuosa, mi disse, in italiano, che avevo sbagliato a denunciare Ferrari e a querelare lui quando mi disse che ero un bugiardo. E aggiunse:”Io ho tempo e soldi e ti distruggo quando voglio”. Questo è stato un gesto bruttissimo, da punire. Chi governava il ciclismo doveva intervenire. Nessuno l’ha fatto e questo ha fatto capire che il fenomeno Armstrong stava bene a tutti".

Quanto ha influito sulla sua carriera l’essere considerato nemico del ciclista americano?

"Tanto. Mi ha penalizzato pesantemente, sia a livello personale, che a livello sportivo ed economico. Avevo delle buone qualità, riconosciutemi anche dal dottor Ferrari. Però quando mi sono esposto nel procedimento contro di lui sono stato tagliato fuori dal grande circuito internazionale. Suscitavo l’interesse di grandi manager, ma non mi hanno mai voluto in squadre importanti perché mi ritenevano un personaggio scomodo, uno che aveva infranto l’omertà e che era andato contro il sistema".

Nel 2008, però, diventa campione d’Italia. Malgrado ciò, l’anno successivo né lei né la sua squadra, la Ceramica Flaminia,venite invitata al giro. Andò così?
"E’ andata proprio così. Questo è un grande rammarico che mi porterò sempre dietro e l’ho dimostrato quando, per protestare contro quella esclusione, ho restituito la maglia tricolore".

Che rapporti hai oggi con il mondo del ciclismo?
"Non ne ho. L’esclusione dal Giro del 2009 mi ha talmente nauseato che mi ha fatto perdere l’amore per questo sport. Però quando hai la passione, prima o poi torna".

E nel suo caso è tornata?
"Sì, con i piccoli. Adesso seguo una associazione sportiva qui a Sezze. Ci sono 40 bambini dai 9 ai 13 anni. La loro genuinità sta facendo riaccendere la passione anche a me".

Dopo le ultime vicende di Armstrong, qualcuno nel mondo del ciclismo l’ha cercata?
"No. Mi hanno cercato solo i giornalisti, di cui pochi italiani, e basta".

Alla luce del rapporto dell’Usada, si senti un vincitore morale in questa storia?

"Assolutamente no. La mia riscossa morale l’ho avuta con la vittoria del campionato italiano nel 2008. La vicenda Armstrong mi tocca in maniera relativa. Spero solo che questo possa essere un momento chiave per ripartire. Bisogna avere il coraggio di andare fino in fondo e fare piazza pulita di tutti i personaggi che sono stati complici del sistema-Armstrong. Solo così il ciclismo può sopravvivere".