Quando Lance chiamò Pantani "elefantino": "Ma lo stimava"
CiclismoIl ricordo di Enrico Zaina, uno dei gregari che affiancò il Pirata negli anni più bui, tra il Giro del '99 e il Tour del 2000, e che conobbe bene anche Armstrong. "Marco trattato come un delinquente, ma l'americano non è un mostro"
di Alfredo Corallo
"Non mi è piaciuto come si è comportato ieri l'elefantino". Il cowboy che amava sparare sulla Croce Rossa. Certo della sua invulnerabilità (ora anche noi ne conosciamo il tallone d'Achille), già padrone del Tour, con 7 minuti su Jan Ullrich e oltre 9 di vantaggio sull'orgogliosa impotenza di Marco Pantani, eppure insaziabile "sciacallo" nello schernire Urbi et Orbi il Pirata con quel nomignolo che tanto lo infastidiva. Ma il povero Lance Armstrong non aveva perdonato all'irriducibile romagnolo la scoppola subita sul Courchevel e il suo sfogo al traguardo, che tratteneva dall'umiliazione del giorno prima sull'Izoard, quando il texano lo aveva staccato con un'azione al limite dell'irrisione nel momento del suo massimo sforzo. "Mi era rimasto sullo stomaco che mi fosse scattato in faccia - dirà a caldo Pantani - tuttavia è il leader e bisogna rispettarlo".
Senti chi parla - In quella conferenza stampa del 17 luglio 2000 Armstrong non si limitò al vezzeggiativo disneyano, ma tenne "elegantemente" a precisare che sul Mont Ventoux, nella tappa in cui arrivarono appaiati al termine di un duello epico, gli concesse la vittoria. "Di errori ne commettiamo tutti, io ne ho fatto uno grande: farlo passare - attaccò l'americano -. Quel pomeriggio non era lui il più forte, ero io. Ma l'ho lasciato vincere perché aveva trascorso un anno terribile e per come si era battuto su quelle montagne. Da allora il suo comportamento in gara e certe frasi che ha detto mi hanno molto deluso, pensavo avesse più classe. Gli ho fatto un regalo: ora so che non avrei dovuto, ma è una vergogna che Marco abbia mostrato il suo vero volto". Mille di questi boomerang.
L'affetto di un gregario - Il sogno dello scalatore italiano di far saltare il Tour de France, suo nel '98, si infrangerà sul Col de Chatillon-Cluses, sull'ultima, vera salita di quell'edizione della Grande Boucle, un paio di giorni più tardi. L'arrivo a Morzine fu un Calvario, in serata l'annuncio del ritiro, ufficialmente per un problema intestinale. "Quella mattina Marco era partito con l'idea di correre contro tutti - ricorda Enrico Zaina, fidato scudiero di Pantani alla Mercatone Uno - voleva sfidare l'impossibile, ma la sua corsa era terminata a Madonna di Campiglio nel '99, non si era ripreso dallo choc per l'esclusione dal Giro (squalificato per ematocrito alto alla penultima frazione con la maglia rosa sulle spalle, ndr). Trattato come il peggiore dei delinquenti, Dio solo sa quante ne ha passate, tra perquisizioni e Procure. E' stato ferito nel profondo, fu il canto del cigno".
Adieu - Anche Zaina, secondo al Giro d'Italia del '96 dietro Pavel Tonkov, chiuse col ciclismo professionistico. "Non mi divertivo più - confessa il bresciano - e il dispiacere per il declino fisico e morale di Marco mi convinse a smettere. Siamo rimasti amici, ho cercato di aiutarlo, ma non riusciva a liberarsi dal demone della droga. Però avrò sempre un bel ricordo di quell'ultimo abbraccio, a Faenza, nel parterre del Giro 2002, e del suo dolcissimo sorriso".
L'altro Lance - L'ex ciclista, oggi proprietario di un negozio di bici su misura a Concesio, nel paese di Mario Balotelli ("Un'altra bella bomba a mano") conobbe Armstrong nel 1995 in occasione della tragica morte di Fabio Casartelli, caduto nella discesa di Portet-d'Aspet il 18 luglio. Il giorno seguente lo statunitense commuoverà il mondo dedicando il successo al giovane comasco. "Ci trovammo entrambi in ospedale, davanti alla valigia di Fabio, piangendo come
due bambini - rammenta -. Ho conosciuto un ragazzo sensibile, con un'infanzia difficile, poi il tumore. Non lo sceriffo di cui s'è sempre detto, casomai un leader carismatico del gruppo che ho ammirato e non mi sento di giudicare. I suoi stessi
compagni, Landis, Hincapie, hanno fatto carte false per stare con lui e guadagnare un sacco di soldi, ma appena gli è convenuto l'hanno coperto di fango".
Resta la maxi-truffa dei 7 Tour vinti da dopato, come ha ammesso nell'intervista a Oprah Winfrey. "Certamente ha sbagliato - conclude Zaina - ma l'errore più grave credo sia stato tornare in pista dopo aver sconfitto la malattia, avrebbe dovuto rispettare di più la vita, sebbene abbia contribuito a raccogliere milioni per una giusta causa con la sua fondazione. Non è un mostro, anche Marco lo stimava".
"Non mi è piaciuto come si è comportato ieri l'elefantino". Il cowboy che amava sparare sulla Croce Rossa. Certo della sua invulnerabilità (ora anche noi ne conosciamo il tallone d'Achille), già padrone del Tour, con 7 minuti su Jan Ullrich e oltre 9 di vantaggio sull'orgogliosa impotenza di Marco Pantani, eppure insaziabile "sciacallo" nello schernire Urbi et Orbi il Pirata con quel nomignolo che tanto lo infastidiva. Ma il povero Lance Armstrong non aveva perdonato all'irriducibile romagnolo la scoppola subita sul Courchevel e il suo sfogo al traguardo, che tratteneva dall'umiliazione del giorno prima sull'Izoard, quando il texano lo aveva staccato con un'azione al limite dell'irrisione nel momento del suo massimo sforzo. "Mi era rimasto sullo stomaco che mi fosse scattato in faccia - dirà a caldo Pantani - tuttavia è il leader e bisogna rispettarlo".
Senti chi parla - In quella conferenza stampa del 17 luglio 2000 Armstrong non si limitò al vezzeggiativo disneyano, ma tenne "elegantemente" a precisare che sul Mont Ventoux, nella tappa in cui arrivarono appaiati al termine di un duello epico, gli concesse la vittoria. "Di errori ne commettiamo tutti, io ne ho fatto uno grande: farlo passare - attaccò l'americano -. Quel pomeriggio non era lui il più forte, ero io. Ma l'ho lasciato vincere perché aveva trascorso un anno terribile e per come si era battuto su quelle montagne. Da allora il suo comportamento in gara e certe frasi che ha detto mi hanno molto deluso, pensavo avesse più classe. Gli ho fatto un regalo: ora so che non avrei dovuto, ma è una vergogna che Marco abbia mostrato il suo vero volto". Mille di questi boomerang.
L'affetto di un gregario - Il sogno dello scalatore italiano di far saltare il Tour de France, suo nel '98, si infrangerà sul Col de Chatillon-Cluses, sull'ultima, vera salita di quell'edizione della Grande Boucle, un paio di giorni più tardi. L'arrivo a Morzine fu un Calvario, in serata l'annuncio del ritiro, ufficialmente per un problema intestinale. "Quella mattina Marco era partito con l'idea di correre contro tutti - ricorda Enrico Zaina, fidato scudiero di Pantani alla Mercatone Uno - voleva sfidare l'impossibile, ma la sua corsa era terminata a Madonna di Campiglio nel '99, non si era ripreso dallo choc per l'esclusione dal Giro (squalificato per ematocrito alto alla penultima frazione con la maglia rosa sulle spalle, ndr). Trattato come il peggiore dei delinquenti, Dio solo sa quante ne ha passate, tra perquisizioni e Procure. E' stato ferito nel profondo, fu il canto del cigno".
Adieu - Anche Zaina, secondo al Giro d'Italia del '96 dietro Pavel Tonkov, chiuse col ciclismo professionistico. "Non mi divertivo più - confessa il bresciano - e il dispiacere per il declino fisico e morale di Marco mi convinse a smettere. Siamo rimasti amici, ho cercato di aiutarlo, ma non riusciva a liberarsi dal demone della droga. Però avrò sempre un bel ricordo di quell'ultimo abbraccio, a Faenza, nel parterre del Giro 2002, e del suo dolcissimo sorriso".
L'altro Lance - L'ex ciclista, oggi proprietario di un negozio di bici su misura a Concesio, nel paese di Mario Balotelli ("Un'altra bella bomba a mano") conobbe Armstrong nel 1995 in occasione della tragica morte di Fabio Casartelli, caduto nella discesa di Portet-d'Aspet il 18 luglio. Il giorno seguente lo statunitense commuoverà il mondo dedicando il successo al giovane comasco. "Ci trovammo entrambi in ospedale, davanti alla valigia di Fabio, piangendo come
due bambini - rammenta -. Ho conosciuto un ragazzo sensibile, con un'infanzia difficile, poi il tumore. Non lo sceriffo di cui s'è sempre detto, casomai un leader carismatico del gruppo che ho ammirato e non mi sento di giudicare. I suoi stessi
compagni, Landis, Hincapie, hanno fatto carte false per stare con lui e guadagnare un sacco di soldi, ma appena gli è convenuto l'hanno coperto di fango".
Resta la maxi-truffa dei 7 Tour vinti da dopato, come ha ammesso nell'intervista a Oprah Winfrey. "Certamente ha sbagliato - conclude Zaina - ma l'errore più grave credo sia stato tornare in pista dopo aver sconfitto la malattia, avrebbe dovuto rispettare di più la vita, sebbene abbia contribuito a raccogliere milioni per una giusta causa con la sua fondazione. Non è un mostro, anche Marco lo stimava".