A 70 anni si ritira Patrick Lefevere: l’ultimo tirannosauro

“Ora sono un uomo libero”. – Patrick Lefevere “Il punto forte di Patrick è sempre stato quello di capire le esigenze dei suoi leader”. – Philippe Gilbert C’è una foto nel suo ufficio. È appesa accanto a un quadro modernista che ne sovrasta la scrivania, e lo ritrae nei suoi trascorsi di corridore, sorridente e con sulle spalle una corona d’alloro. “Mi piace quella foto. Perché ero giovane, vincevo, avevo dei bei capelli. Penso si capisca, da quella foto, che sono un tipo ambizioso”. Oh, altroché. E quella foto ci ricorda, anche, chi e cosa ha sempre sognato di essere: un campione. Non lo è stato in bici, solo un buon corridore: 4 vittorie in carriera, con la tappa di Valladolid alla Vuelta e la Kuurne-Bruxelles-Kuurne nel 1978 come apice in quattro stagioni da pro’. Ma lo è stato, eccome, giù di sella: anzi, un fuoriclasse. Sia in ammiraglia, sia alla scrivania davanti a quella foto. Meglio, l’ultimo tirannosauro. L’highlander di una specie da tempo ormai in via di estinzione: i padri-patron alla Manolo Saiz, Johan Bruyneel e Bjarne Riis, solo per citare i suoi coevi di comparabili carisma e palmarès. Gente vecchia scuola, con un’ispida moquette sullo stomaco. Straordinari esemplari che hanno dominato ere geologiche nel ciclismo di vertice. Nocchieri rotti a marosi d’ogni forza, eppure sempre in porto: in bonaccia come in tempesta. A 70 anni – e da 55 nell’ambiente – Patrick Lefevere, come il Big Ben di patruniana memoria, “ha detto stop”. Nessuno gli – e ci – credeva davvero quando, poco più di cinque anni fa, lui stesso parlò per la prima volta di ritiro. Si pensava a uno dei suoi soliti bluff. Difficile, se non impossibile, immaginare la carovana senza il suo veteranissimo pioniere e, con le sue sparate, a volte pure sceriffo. Lingua tagliente Sempre controverse, le sue intemerate. Da editorialista spesso divisivo, sulla sua rubrica per il quotidiano fiammingo Het Nieuwsblad. O più ancora da presidente della potente AIGCP, l’Associazione dei Gruppi sportivi professionistici. Nel suo non infallibile mirino organizzatori , enti, istituzioni e, ça va sans dire, i media. Ma soprattutto i suoi corridori speciali e i relativi entourage. Per referenze recenti, citofonare Sam Bennett, Madame Marion Rousse e Patrick Evenepoel . Quando erano circolate voci sempre più insistenti sul neo-iridato prossimo obiettivo della Ineos, e sempre più preso in mezzo tra le esternazioni del padre naturale e di quello putativo ciclistico, entrambi ex pro’ e dunque non certo verginelle al ballo delle debuttanti, il patron entrò duro, à la Lefevere: “Ho parlato con loro per dirgli che queste voci sulla Ineos devono finire. So che c’è stato un contatto dopo il Mondiale di Wollongong 2022, ma questi spifferi vanno fermati, perché creano molto nervosismo in squadra. Il padre di Remco dice che non ci sono mai stati discorsi concreti e vorrei ben vedere, dato che hanno un contratto con noi fino al 2026”. Quanto al pupillo Alaphilippe, “non mi piace l’immagine di Julian come gregario al 100% di Remco Evenepoel” aveva detto Lefevere il 9 gennaio 2024 presentando il calendario della nuova stagione. Non contento, nell’intervista incrociata con l’ex corridore e ora opinionista tv José De Cauwer, pubblicata il 19 febbraio sul settimanale satirico fiammingo Humo, aveva rincarato la dose: “Julian è un bravo ragazzo, ma dopo aver firmato il suo mega-contratto non si è più visto. Io adoro i miei corridori, ma bisogna essere giusti”. “Troppe feste, troppo alcool... Quando si invecchia, bisogna stare più attenti, allenarsi di più”, aveva infine rincarato il boss, deluso per il calo di rendimento del bicampione del mondo, che dal suo capo magari avrebbe gradito maggiore sostegno e comprensione dopo un 2022 trascorso più su asfalto e in infermeria che in sella. Lefevere poi sul per lui più accomodante Het Nieuwsblad aveva fatto parziale marcia indietro, chiarendo che “fuori contesto dell’intervista, le mie parole in inglese suonano più pesanti di quelle in neerlandese”. E che “non l’anno scorso , ma nel novembre 2022 ho preso da parte Julian Alaphilippe a Diegem per dirgli che le cose non potevano andare avanti così. ‘O ti lascio andare, o d’ora in poi faremo le cose in modo diverso’”. Loulou aveva incassato, e ottenuto un altro anno di fiducia. Solo che poi a Patrick era scappata la frizione buttando là che Julian “subisce il fascino di Marion, pure troppo”. E allora su Instagram la direttrice del Tour de France Femmes, tra l’altro ex ciclista professionista, non gliele aveva mandate a dire: “Quali che siano i sentimenti del signor Lefevere nei miei confronti, è inaccettabile attaccare la nostra vita privata come ha fatto lui. E no, non bevo alcolici, mai. Non festeggeremo neanche a Natale, perché con un bambino di tre anni , preferiamo essere in forma, la mattina. Non può farmi smettere di lavorare, come già mi aveva detto, per tenermi occupata e stare accanto a Julian per tutta la carriera. D’ora in poi, per favore, la smetta di parlare a sproposito e mostri più rispetto e... classe”. Tra l’altro, da che pulpito, visto che è notoria l’abitudine di Lefevere di celebrare i grandi successi brindando con un buon bicchiere che poi gli scioglie ancor di più quella sua scharpe tong , come la chiamano in patria. Per Patrick, del resto, è sempre stato tutto così: o bianco o nero, zero sfumature di grigio. Men che mai quelle dell’anonimo burocrate: memorabili, nonostante i successi in serie, le difficoltà nel reperire sponsor e far quadrare i bilanci, mai disponendo di mega-budget come quelli della concorrenza: su tutte Ineos Grenadiers, Red Bull-Bora-Hansgrohe, UAE Emirates, Visma-Lease a Bike, ma anche multinazionali di Stato come Astana, Bahrain Victorious, Movistar. Solo con l’arrivo del magnate ceco Zdenek Bakala, che dal 2010 ne ha rilevato la quota di maggioranza, ha potuto contare su una maggiore stabilità finanziaria. Mai però le sue squadre sono state quelle dove si guadagnava di più, semmai quelle in cui c’erano più garanzie di poter vincere. Ma le classiche, non i grandi giri – almeno fino all’avvento, nel 2019, dell’ultimo pallino, quell’Evenepoel che sin qui è stato l’unico capace di regalargliene uno, la Vuelta 2022. Già due anni fa Lefevere era stato vicino a cedere la squadra , come ha ricordato in un’intervista de L'Équipe lo scorso marzo. Ma è stato l’arrivo del suo successore designato, Jürgen Foré, all’inizio del 2024, a cambiare le cose. E ad accelerarle esponenzialmente. Patrick, marinaio troppo scafato ed esperto per non fiutare il cambio di vento, ha subito intuito che sarebbe stato l’uomo giusto per succedergli e la transizione è avvenuta senza problemi. Il patron era già meno coinvolto nell’aspetto sportivo, ma era comunque lui ad andare alla ricerca di sponsor, “sempre uno dei momenti più difficili”. “A volte eravamo coperti solo per un anno, ora non è più così, ma abbiamo già agenti che ci chiedono che cosa succederà nel 2028 , quando non siamo ancora nel 2025. Sono cose che mi stancano”. “Non voglio mentire: fisicamente non sono più la stessa persona di dieci anni fa”. – Patrick Lefevere “Decisione concertata” “Ogni giorno è il primo che mi resta della vita”, ama ripetere Patrick, che si considera “un sopravvissuto” da quando, nel 2001, ha vinto la sua gara più importante. Operato per un tumore al pancreas, vive senza duodeno e cistifellea. Ed è ai tempi della malattia che risale la fine del suo rapporto con la Mapei. Ma due decenni dopo, l’età, gli acciacchi, i viaggi e il logorio della vita moderna di un top manager World Tour non fanno sconti. “Tutti dicono che continuerò a essere presente – ha spiegato a Het Nieuwsblad –. Probabilmente sì, ma non nel modo in cui alcuni si aspettano. Non ho intenzione di starmene lì come un vecchio patetico o di venire a salutare tutti al raduno di partenza. Jürgen mi chiederà dei consigli, ma non me ne starò in disparte come un padrino a raccontare ai meccanici e al resto dello staff di come le cose fossero meglio prima. Sarebbe come entrare in scivolata a palla lontana, e non è nel mio stile. Venire dopo di me non è un dono, e io sono ben contento di farmi da parte. Non voglio mentire: fisicamente non sono più la stessa persona di dieci anni fa. La squadra è diventata così grande, con l'aggiunta delle donne . È troppo per una persona gestirne così tante, almeno per me”. “Non si tratta di un addio forzato – ha ribadito l’11 dicembre, all’indomani dell’annuncio che col nuovo anno avrebbe smesso – La vera ragione è che ho 70 anni, 55 di ciclismo, e penso siano abbastanza. È abbastanza per me e per la squadra. I tempi non sono stati decisi oggi, ma qualche settimana fa. Ne ho parlato con il signor Bakala e abbiamo preso questa decisione assieme, in modo concertato”. Quello scenario – per quanto inverosimile – è dunque oggi realtà. Ufficialmente dal 1° gennaio 2025, Patrick Lefevere – 70 anni il 6 gennaio – non è più il CEO della Soudal–Quick-Step, il gruppo sportivo da lui fondato nel 2003 sulle ceneri della Mapei, leggendaria corazzata da oltre 600 vittorie in dieci stagioni costruita da Giorgio Squinzi . E rinominato negli anni, a seconda dei co-title sponsor, Quick-Step–Davitamon , Quick-Step–Innergetic , Quick-Step , Omega Pharma, Omega Pharma–Quick-Step , Etixx–Quick-Step , Quick-Step Floors , Deceuninck-Quick Step , Quick-Step Alpha Vinyl Team e infine, dal 2023, appunto Soudal–Quick-Step. “Good luck, wolves”, ha ritwittato Lefevere su X a Capodanno dall’account ufficiale della squadra, dopo aver postato dal suo profilo una propria foto in completo azzurro-cielo per “the first day of my new life”. Trascorso in Sudafrica con i due figli, le rispettive compagne e la moglie. “Per la prima volta andremo in vacanza tutti insieme. Ora sono un uomo qualunque, non ho niente da dire”. Dal primo dell’anno, il suo adorato Wolfpack – dovrà azzannare corse e avversari – su strada e fuori – senza il suo storico capobranco a guidarli. Continuerà a seguirli anche nella imminente stagione di caccia, ma defilato. Con un ruolo di consulenza, non più in prima linea né operativo. Ma di certo ancora ululando, e non solo alla luna. Fine di un’èra Per 22 anni uno dei personaggi più influenti e carismatici del ciclismo, Lefevere è ‘solo’ sesto fra i veteranissimi della categoria, ma di gran lunga il più vittorioso. Stimato per difetto , il suo palmarès da manager – e solo a livello élite – recita: 981 vittorie; 124 tappe nei grandi giri: 32 al Giro, 51 al Tour, 41 alla Vuelta; Vuelta a España ; 22 monumenti: 8 Fiandre, 6 Parigi-Roubaix, 3 Milano-Sanremo, 3 Liegi-Bastogne-Liegi, 2 Lombardia; 7 mondiali in linea su strada: Boonen, Bettini , Kwiatkowski, Alaphilippe , Evenepoel; 2 mondiale a cronometro: Evenepoel; 3 oro olimpici su strada: Bettini, Evenepoel ; 4 mondiali cronosquadre. Ai tempi d’oro le sue squadre viaggiavano a 60 vittorie di media a stagione, e dire che in Belgio uno così contasse più del re, non solo è riduttivo: è fattuale. Da quelle parti possono anche non avere un governo per più di 5-600 giorni – è successo due volte in un decennio, 2010-2020 –, ma non stare senza campioni locali competitivi nelle classiche. E in questo, allestendo squadroni per le gare di un giorno, Lefevere è sempre stato un maestro. Quanto a stagioni da manager, è ‘solo’ sesto all-time e segue lo spagnolo Eusebio Unzué , i francesi Vincent Lavenu , che nell’agosto 2024, dopo 32 anni, è stato licenziato dalla ‘sua’ Decathlon AG2R La Mondial, Marc Madiot , Jean-René Bernaudeau e Stéphane Javalet . Certo, anche in Italia abbiamo avuto fino a tempi recenti veteranissimi dell’ammiraglia – dal mitico Bruno Reverberi a Beppe ‘Martino’ Martinelli, lui pure fresco di ritiro nel 2025 – ma niente di paragonabile, per impatto, palmarès e peso politico, rispetto al Godfather van de Koers. Il ‘Padrino delle corse’, non per niente il titolo del biopic in sei parti uscito nel 2023. «Hoge bomen vangen veel wind» – Proverbio fiammingo Tanto onore, tanti nemici Ovvio che in mezzo secolo di attività, e così clamorosi successi, sul suo operato i pissi-pissi si siano sprecati. Difficile attraversare mezzo secolo ai massimi livelli restando candidi come gigli e senza scheletri in un armadio di chissà quante ante, considerate le cifre in ballo e la bacheca. Occhio però a sostenere accuse senza avere solide prove, non solo circostanziali, a sostenerle. Soprattutto in materia di doping. A quelle – aperte – del 2006 e del 2007, l’ultimo tirannosauro, fiutando l’estinzione, tirò fuori gli artigli e in tribunale vinse la causa. E a fine 2009 fu risarcito con 500 mila euro , più il pagamento delle spese legali, dopo che il quotidiano fiammingo Het Laatste Nieuws fu costretto a ritrattare l’inchiesta, pubblicata due anni prima, su presunti illeciti commessi nella squadra. Ciclismo e auto usate, affari di famiglia “Le corse erano radicate nella mia famiglia da parte materna – ha raccontato nel marzo 2022 a Dries De Zaeytijd di Koers , la rivista annuale dell’omonimo museo del ciclismo di Roeselare – Mia zia Maria, sorella di mia madre, e suo marito André erano ciclisti accaniti. Da bambino mi era permesso di andare alle gare se mi accompagnavano loro con la Renault dello zio. Erano ancora i tempi in cui le maglie avevano le tasche sul davanti e le bici il doppio portaborracce sul manubrio. Le borracce erano bottiglie di alluminio e quando venivano lanciate tintinnavano a terra. Mi pareva un suono meraviglioso. Mi piacevano anche il fruscio dei tubolari al passaggio del gruppo e il tipico odore di olio canforato che si usava per i massaggi. Non ci volle molto per conquistarmi”. Originario di Moorslede, piccolo comune oggi di undicimila abitanti nelle Fiandre Occidentali, Lefevere inizia a correre nel 1970, a 15 anni, l’età minima prevista dai regolamenti dell’epoca. Lo zio André ne diventa il primo mentore, e un prezioso riferimento nei weekend. Per le gare infrasettimanali invece la giovane promessa può contare su nientemeno che Benoni Beheyt, campione del mondo 1963 nel famigerato ‘Tradimento di Ronsse’. La tragedia sportiva nazionale – che più belga non si può – del mondiale perso in casa da Rik Van Looy, l’Imperatore di Herentals, beffato in volata dal suo vassallo, poi reietto in patria , cui mai sarà perdonata l’onta di lesa maestà. “Dovevo cambiare la bicicletta da corsa – ricorda Patrick – Ero indeciso tra una Novy nuova di fabbrica e una seminuova, che era in vendita nel negozio di Benoni a Roeselare. Alla fine, scelsi quella del suo negozio. E così cominciai ad andare a trovarlo spesso. Col tempo, iniziammo ad allenarci insieme. Ricordo bene che teneva quasi sempre le mani alte sul manubrio, cosa ai tempi non comune. In salita, riuscivo a staccarlo. Ma in volata neanche ci provavo. Era un campione”. Quello che il giovane e ambizioso Lefevere, in bici, aveva sempre voluto essere. E non è mai stato. “Dove sono i vostri tifosi?” Per potersi allenare meglio e di più, Patrick lascia l’Heilig Hartcollege di Waregem per il più vicino Rijksinstituut voor Technisch Onderwijs di Roeselare. Insieme con il corregionale Johny Deblaere, partecipa a qualche garetta locale, via via sempre più lontane. “Quando ero al secondo anno, andammo a una corsa a Saint-Gérard, vicino a Mettet. Quel giorno andai a scuola in auto, in realtà un mini-van. Me lo aveva regalato mio cognato. La mattina avevamo già caricato bici e bagagli e poi, un quarto d’ora prima che la campanella suonasse, siamo scappati e abbiamo guidato a 150 km l’ora verso la Vallonia. Siamo arrivati a Saint-Gérard mezz’ora prima della partenza. Al via c’erano più di 200 corridori, ma Johny e io eravamo tra i più forti. Siamo entrati nella fuga decisiva e l’abbiamo conclusa bene. Primo io, Johny terzo. Dopo il traguardo un fotografo locale ci ha chiesto dove fossero i nostri tifosi. Non riusciva a credere che avessimo fatto tanta strada per una gara”. Quello stesso anno, il 1974, Patrick vince in solitaria la Gullegem Koers dei dilettanti, la ‘Corsa delle fiere’ con partenza e arrivo a Gullegem, comune alle porte di Wevelgem. Una classica minore ma di lunga tradizione locale a cui Lefevere terrà moltissimo anche da manager, al punto che le ultime cinque edizioni – nel 2020 fu annullata per Covid-19 – sono state vinte da corridori della sua Quick-Step: nell’ordine i belgi Yves Lampaert, Stan Van Tricht, Remco Evenepoel, Warre Vangheluwe e lo slovacco Martin Svrček. Sulla scia anche di quel successo, Patrick viene convocato per il mondiale che nel 1975 si disputa in Belgio, per i professionisti a Yvoir e per i dilettanti a Mettet, guarda caso la città vallone vicina a quella Saint-Gérard dove un fotografo locale aveva chiesto ai due forestieri sul podio: “Ou sont tes supporters?”. “Nel finale, vanno via in sei, senza belgi – ricorda – Avevano già un minuto di vantaggio quando mi avventurai da solo e riuscii a chiudere il buco. Ma a pochi chilometri dal traguardo, il gruppo rientrò con in testa i nostri Pol Verschuere e Jean-Luc Vandenbroucke . Non dico che avrei vinto, ma non si sa mai…”. Alla fine, il successo era andato al nederlandese André Gevers, davanti allo svedese Sven-Ake Nilsson e all’azzurro Roberto Ceruti, poi storico gregario di Beppe Saronni sia alla GiS, sia alla Del Tongo. Lefevere chiuse 24°, ma con la stessa ambizione – più forte del suo talento – che ancora oggi si capisce da quella foto appesa nel suo ufficio. Molteni o Flandria? EBO Quella e altre sue prestazioni però non passano inosservate agli addetti ai lavori. Nientemeno che la Molteni di Eddy Merckx è infatti pronta a offrirgli un contratto da pro’. “Dopo una gara a Huldenberg – rammenta – è venuto a parlarmi Robert Lelangue . Mi ha chiesto se mi interessasse correre per Eddy e mi disse che poteva offrirmi tredicimila franchi il mese. Naturalmente, era una cifra che poteva aumentare di molto perché Eddy vinceva praticamente ovunque. Ma da dilettante all’epoca guadagnavo circa 36 mila franchi il mese. A quei tempi era parecchio. E ne prendevo altri 16 mila con mia sorella , per trenta ore la settimana: il mio lavoro consisteva nel redigere rapporti sui danni ai veicoli incidentati. In più, avevo circa ventimila mensili in premi. Rifiutai anche l’offerta dalla Flandria. A quei tempi aveva una quarantina di corridori e io non volevo essere uno dei tanti. Preferivo restare dilettante. Finché poi Guido Reybrouck, diesse della EBO, riuscì a farmi girare la testa. Mi offrì un biennale da 22 mila franchi mensili. E così, nel 1976, passai professionista”. Il salto però era bello alto. Troppo, anche per la sua smisurata ambizione. Al punto da pensare di smettere già al debutto. “La mia prima gara fu il Gran Premio di Valencia. Mi si aprì un nuovo mondo. Senza entrare nei dettagli: le ‘farmacie’ spagnole erano molto frequentate dai professionisti più esperti. Non avevo idea che funzionasse così e mi sentii sprofondare. Fin quando mi si affiancò Willy Van Neste , che mi chiese: “Come stai, Feverke?”. Mi convinse a non guardare a quei vecchi professionisti e a seguire la mia strada. Con profitto, perché una settimana dopo vinsi una gara. Sono ancora grato a Willy per questo”. Era la prima semitappa della Vuelta a Levante, la Cocentaina-Liria di 149 km. 1978, l’anno magico Nel 1977, al più solo piazzamenti, come il terzo posto nel cronoprologo a squadre alla Tre Giorni di La Panne e il secondo alla Victor Standaert di Ninove dietro il connazionale Ronny Van De Vijver. Il suo anno magico, si fa per dire, è il 1978. Patrick si presenta in forma già a febbraio. Chiude sesto al Giro del Mediterraneo e 23° alla Omloop Het Volk, ma dopo aver lavorato duro per il suo capitano Fons van Katwijk. L’indomani, il 5 marzo, ecco il suo primo giorno di gloria. Vince la 33ª Kuurne-Bruxelles-Kuurne, allora denominata Omloop der Beide Vlaanderen . “All’epoca si andava da Kuurne a Roeselare attraverso la Rijksweg e poi a Moorslede, quindi si passava davanti a casa mia. E proprio lungo Rijksweg il gruppo si spezzò in tre ventagli. Naturalmente io ero nel terzo e pensai di tornarmene subito a casa. Ma un po’ più avanti il gruppo si era ricompattato. Così rimasi in gara. Poi, sulle côte delle Ardenne fiamminghe, mi ritrovai in testa. Al ritorno verso Kuurne rimanemmo io e Ludo Delcroix. Nel finale, ci ritrovammo un gruppetto di inseguitori subito dietro di noi a causa di un errore di percorso. Andai subito dal commissario di gara e mi disse che gli immediati inseguitori sarebbero stati depennati dall’ordine di arrivo. Nel caos Walter Planckaert tagliò per primo il traguardo, anche se ufficialmente non era più in gara. Nel frattempo, io sprintai con Delcroix per la vittoria. Lasciai uno spazio tra me e le transenne, dove lui voleva infilarsi. Si appoggiò col manubrio sui miei glutei, gridando di spostarmi ‘a destra’, cosa che ovviamente non feci. Così lui dovette staccarsi e rimontare, ma ormai era troppo tardi». Conta ché ti passa Come forse troppo tardi era arrivato, per Lefevere, quel suo primo successo importante. Sempre nel 1978 vincerà per distacco la quarta tappa della Vuelta, la León-Valladolid, con 30” sul nederlandese Fons van Katwijk, suo compagno alla Marc Zeepcentrale-Superia-IWC. Ma qualcosa, dentro, anche solo a livello inconscio, gli si era rotto. “Mi era diventato difficile fare tutti quei sacrifici, non mi piaceva più. Inoltre, il mio stipendio mensile era ancora lo stesso di quando ero neoprofessionista. Sognavo una bella casa più grande che non potevo permettermi. Non si smette a metà stagione, ma nella primavera del ’79 tirai i freni. Neanche finii la mia ultima gara, a Bonheiden . Bici nel bagagliaio e via. Non avevo un lavoro, non avevo niente. Per mia fortuna Marc De Windt, sponsor della squadra, la Marc Zeepcentrale, vide altre possibilità. Romain De Loof era il direttore sportivo all’epoca e si occupava di tutto. La squadra aveva un libro-paga, ma nessuno sapeva bene come le cose stessero andando. L’amministrazione era un disastro. De Windt era al corrente che mi ero occupato anche di contabilità e che parlavo varie lingue. Marc mi chiese se mi interessasse fare da secondo direttore sportivo e mettere ordine dietro le quinte. Potevo iniziare subito. Tre giorni dopo aver smesso di correre, avevo già cominciato la mia seconda carriera”. A scuola da manager Appesa la bici al chiodo dopo due stagioni alla EBO e altrettante alla Marc Zeep, Lefevere ha solo 24 anni quando comincia ad apprendere i rudimenti del mestiere di team manager. Arte poi affinata spesso alla corte di un maestro come Walter Godefroot in 13 anni fra Capri Sonne , Lotto , TVM , Domex e Weinmann prima di compiere, nel 1992, il grande passo: districare la matassa organizzativa della GB-MG Maglificio, formazione italo-belga . E ne impiegherà altri tre per trarre il meglio delle due anime e fonderle, siglando una partnership fra la catena di supermercati belga e il colosso chimico Mapei, nella super potenza che dominerà il decennio a venire. Con lui al debutto da team manager, la Mapei guida la classifica UCI con 81 vittorie nell’anno solare. Nel 1997 saranno 95, un record. Per 17 volte prima squadra per successi stagionali, 9 delle quali consecutive . Ma il vero climax sarà il podio alla Roubaix 1996 imposto al telefono, a suo dire, non dal patron Squinzi, ma dall’ammiraglia. La sua. “Sono stato solo io a decidere che dovesse essere Johan a vincere e sono stato solo io a dare loro l’ordine per la tripletta”, ha sempre ribadito Lefevere senza però mai sopire del tutto le polemiche. Certo, l’immagine di tre Mapei – il belga Johan Museeuw e gli italiani Gianluca Bortolami e Andrea Tafi – che al Velodromo neppure se la giocano e fingono che vada-bene-così-madama-la-marchesa – non fu un’immagine edificante. Ma pecunia non olet, e poi sia Tafi nel 1999, sia il compianto Franco Ballerini , che l’aveva vinta nel 1995 e la rivincerà nel 1998, avrebbero avuto altre opportunità. Quanto a Bortolami, si ‘accontenterà’ del Fiandre 2001. E una volta sdoganata, addio sdegno per la novità: a oggi, ammontano a 15 le triplette per le squadre di Lefevere, di cui ben 4 all’Inferno del Nord. Foré, nel nome di Noël Giusto un anno fa, di questi tempi, Lefevere e Foré erano fianco a fianco alla presentazione della squadra al ritiro di Calpe, in Spagna. Dodici mesi dopo, Patrick assicura di aver “trovato qualcuno in grado di sostituirmi”, un braccio destro arrivato da poco per imparare il mestiere. Un po’ come era capitato a lui negli anni con Godefroot. “Con Patrick abbiamo trovato un nostro modo di lavorare insieme l’anno scorso”, ha spiegato il 54enne Foré in conferenza stampa alla presenza del principale azionista Zdenek Bakala e dell’ex consulente legale Auret Van Zyl. “Abbiamo trascorso insieme il 2024, ci siamo preparati per il 2025 e siamo pronti ad affrontare grandi sfide”. Lefevere avrà il ruolo di membro onorario del consiglio, e resterà coinvolto nel ‘Wolfpack’, ma non con ruoli operativi. Il suo successore sa di ereditare un “abito pesante”, si è detto “orgoglioso e molto umile. Farò tutto il possibile per fare bene, ma a modo mio”, ma non è uno sprovveduto, né l’ultimo arrivato. È difficile venire dopo uno come Lefevere, e figurarsi provare a emularlo. In più, quella sua conferenza in PowerPoint di gennaio 2024 non fu proprio il punto forte della presentazione. Foré però ha cultura ciclistica ed è cresciuto nello stesso humus del predecessore, anzi persino più addentro. È di Eeklo, nelle Fiandre Orientali, la città dei fratelli Eric e Roger De Vlaeminck, ed è arrivato alla Soudal a gennaio 2024 dalla Deloitte, colosso britannico di consulenza e revisione, di cui era socio. È nato in una famiglia di ciclisti: suo padre Noël è stato uno dei migliori corridori belgi negli anni ’50-’60, ha vinto Wevelgem , Roubaix e Fiandre . Anche se non ha fatto carriera, anche Jürgen ha corso prima di passare subito al mondo delle aziende. Ha collaborato con la Flanders Classic che organizza grandi corse, tra cui il Fiandre, e con il team belga Lotto Dstny, a cui nel 2017 si candidò a CEO ma poi la scelta cadde su Paul De Geyter. “Se avrò domande, non esiterò a chiamare Patrick per un consiglio”, ha chiarito, guardandosi bene dall’annunciare chissà quali rivoluzioni. “Dovremo essere molto professionali, guadagnare qualche centimetro o millimetro qua e là. Non ci sono grande passi avanti da fare in ogni settore, ma tanti minimi dettagli”. Quanto agli eventuali appuntamenti con l’ex patron, farà bene a organizzarsi. Un aneddoto, di prima mano, vale più di tanti panegirici. Per la biografia del povero Frank Vandenbroucke, uno dei figliocci di Patrick più amati e ribelli, il giornalista britannico Andy McGrath è andato a intervistare Lefevere in quell’ufficio al civico 14 di Kouterstraat, a Wevelgem, dove ha sede la Decolef Lux SARL Belgian Branch di cui, là sì, il boss è ancora CEO. Il boss oltre che mattiniero è uno che non tollera ritardi, è puntuale ed è bene lo siano pure i suoi interlocutori: se l’appuntamento è alle 9.00, che le nove siano. Meglio presentarsi in tempo. E alla fine, prepararsi a parare il colpo. “Le parole con cui, dopo la piacevole intervista, mi ha congedato – scrive McGrath – sono state: ‘Non parlare male di me o te le suono’, seguite da un finto pugno allo stomaco. Scherzava, credo...”. A riguardare bene quella foto, non ne saremmo così sicuri. Letture consigliate: Andy McGrath Dio è morto Ascesa e cadute di Franck Vandenbroucke Mulatero Geert Vandenbon , Frederik Backelandt The Wolfpack Years 20 years of top cycling and winning Lannoo

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A 70 anni si ritira Patrick Lefevere: l’ultimo tirannosauro

Christian Giordano