Milano-Sanremo: Turchino, Cipressa e Poggio. La storia della Classicissima

Ore 4.30 del mattino del 14 aprile 1907. Davanti all’Osteria della Conca Fallata, ancora oggi presente lungo il Naviglio Pavese, scatta la prima edizione della Milano-Sanremo. Armando Cougnet, già creatore del Giro, aveva spinto il direttore della Gazzetta dello Sport a creare una corsa ciclistica sulla falsariga di quella automobilistica, già esistente, che portava le vetture da Milano alla Riviera, passando per Acqui Terme. Sono 33 i coraggiosi corridori che si apprestano a percorrere i 281 chilometri previsti. La pioggia è battente, il freddo più invernale che primaverile. A Pavia il gruppo è già spezzato, con gli otto favoriti in fuga: Gerbi attacca sul Turchino, dove l’acqua si trasforma in neve, ma viene ripreso prima da Garrigou e poi dal compagno di squadra Petit-Breton, che vince allo sprint la prima Sanremo della storia. Sabato 22 marzo andrà in scena l’edizione numero 116 della Classicissima, con partenza da Pavia e arrivo in via Roma. Qualcuno la definisce come la Monumento meno spettacolare, ma la Milano-Sanremo ha offerto in questo secolo alcuni spunti che sono rimasti nei libri di ciclismo. Tutti conosciamo a memoria i passaggi chiave: il tratto in pianura, lo scavallamento del Turchino che porta in Riviera, i passi e i due momenti chiave, la Cipressa e il Poggio, trampolino di lancio verso la città dei fiori. Con l’arrivo in via Roma, dove la differenza tra gloria e fallimento la fanno pochi millimetri. La variabile meteo: Sanremo 1910, la più dura di sempre Prima Monumento della stagione, il meteo è da sempre una delle variabili fondamentali della Sanremo. Pioggia, vento, freddo e neve sono state protagoniste tanto quanto i campioni del pedale. Una delle edizioni più dure, a detta degli stessi organizzatori, è stata quella del 1910. Pioggia a Pavia, grandine a Tortona e neve sul Turchino: leggenda narra che Cyrille Van Houwaert, belga che in quel momento era al comando della corsa, incrociò sul passo due sciatori… Fu il preludio al suo ritiro, giunto poco più tardi a causa del gelo. Eugène Christophe, che aveva scollinato secondo, chiese ospitalità in un albergo, per ripartire solo quando dalla finestra vide passare quattro corridori: li raggiunse e li staccò, arrivando solitario a Sanremo dopo 12 ore e 24 minuti. Partiti in 63 da Milano, arrivarono solamente in 4 in Riviera: gli altri chiesero rifugio e un pasto caldo durante il percorso. Follia e talento: Coppi e Chiappucci all'attacco al Turchino “Ordine d'arrivo: 1° Fausto Coppi... in attesa degli altri concorrenti trasmettiamo musica da ballo”. Nicolò Carosio non sapeva che quella frase, detta in radio, sarebbe stata utilizzata nei decenni a venire come testimonianza del dominio dell’Airone. Coppi aveva vinto l’ultimo Giro d’Italia prima che il Paese entrasse in guerra, ripetendosi tra le macerie, le case distrutte e i tifosi a bordo strada con i crampi della fame nel 1946, quando si corse la prima gara post-bellica. Fausto parte all’attacco dopo pochi chilometri dal via e a Binasco c’è già il drappello dei fuggitivi. Si arriva alle rampe del Turchino, dove il campione di Castellania prende il volo. Arriverà con 14’ di vantaggio su Teisseire e 24 sul gruppo, dove nulla aveva potuto Gino Bartali. Un’impresa da pioniere, irripetibile per molti, ma non per tutti. Nel 1991, esattamente 45 anni dopo, Claudio Chiappucci mise a segno la sua unica vittoria in una Monumento, attaccando proprio sul Turchino. “Spero di fare casino”, aveva detto alla partenza, quando tutti gli occhi erano puntati sul suo grande rivale Gianni Bugno. Sotto una pioggia battente e riparato da una nebbia gelida, il ‘Diablo’ parte a 140 chilometri dal traguardo, lasciando uno a uno tutti i compagni di fuga, con Sorensen ultimo a cedere sul Poggio. L’elogio alla follia del varesino, uno abituato a uscire dagli schemi. La Cipressa: quell’attacco di Pantani… “L’attacco della Cipressa”. Quante volte abbiamo ascoltato questa frasi dagli addetti. Punto cruciale di una gara che vede i corridori con 270 chilometri sulle gambe, 30 ancora da affrontare e un’ascesa di 5,6 km al 4,1% di pendenza media, che però sembra non finire più. Difficile vincere la Sanremo lì, ma qualcuno vi è riuscito. Inserita nel 1982, è stata subito decisiva nella vittoria del francese Marc Gomez, un outsider proiettato nella gloria da questa salita folle e rivoluzionaria, presa dall’Aurelia all’altezza di San Lorenzo al Mare, circondata da ulivi e dal profumo di salsedine. Francesco Moser vinse la Sanremo del suo magico 1984 grazie a una discesa a perdifiato che scremò il gruppo, Gianni Bugno attaccò sulla Cipressa per scrivere il suo nome nell’albo d’oro nel 1990. Per trovare l’ultima volta che la salita risultò decisiva bisogna risalire a quasi 30 anni fa, quando Colombo attaccò insieme a Hončenkov, Coppolillo e Sciandri per prendersi il successo più importante della carriera. Ma c’è un attacco diventato leggendario, a prescindere dal risultato, quello di Marco Pantani nel 1999. Il Pirata, fresco di doppietta Giro-Tour l’anno precedente, scattò mandando in delirio le migliaia di persone che si erano riversate in strada pur di vederlo qualche secondo. Pantani fece la differenza, ma la salita era troppo corta e facile e al termine della discesa fu riassorbito dal gruppo. Ma quel tentativo di sfuggire alla logica di un finale scontato è rimasto nell’immaginario collettivo, come quasi sempre quando si parla del mito romagnolo. Salita e discesa: il mito del Poggio Provate voi ad avere 290 chilometri nelle gambe e poi affrontare una rampa di 3,7 km a una pendenza media del 4%, con 30 curve e 4 tornanti... Il Poggio, salita che sovrasta la città di Sanremo, è ormai dagli anni Sessanta il crocevia della Classicissima. Inserita su indicazione del patron Vincenzo Torriani, stanco dei finali in volata e dell’astinenza di vittorie azzurre, l’ascesa fu subito decisiva. Salita e discesa del Poggio furono negli anni trampolino di lancio per i trionfi di Raymond Poulidor, Eddy Merckx, Alfons De Wolf, Giuseppe Saronni, Matej Mohorič e Vincenzo Nibali, che nel 2018 compie probabilmente il suo capolavoro. ‘Lo Squalo’ attacca in discesa e pennella le curve a velocità folle, come solo lui sa e può fare. Nibali resiste al rientro degli avversari e conquista la Monumento sicuramente meno adatta alle sue caratteristiche, diamante incastonato in una carriera straordinaria. Via Roma, dove si vola e il cerchio si chiude Dal Poggio a via Roma, non è una bestemmia affermare che questa è la mezz’ora più adrenalinica nella stagione ciclistica. Dove non c’è un’azione da finisseur, arrivano i velocisti. E che velocisti… I migliori nella storia hanno scritto il proprio nome nell’albo d’oro della Classicissima, a partire da quel giovane 21enne belga che nel 1966 stremò con un ritmo infernale i grandi favoriti della vigilia come Motta, Gimondi, Adorni e Van Looy, andando a vincere in volata davanti al campione italiano Durante e il connazionale Van Springel e diventando il più giovane vincitore della Classicissima. Il ‘Cannibale’ Eddy Merckx negli anni a seguire collezionò in tutto sette vittorie in undici edizioni: un record tuttora imbattuto e difficilmente battibile. L’Italia ha esultato con Petrucci, Bettini, Cipollini, Petacchi e Pozzato, la spagna con Freire , la Germania con Erik Zabel, che con quattro successi ha lo stesso numero di vittorie di un certo Gino Bartali. E che dire di Jasper Philipsen, campione dodici mesi fa davanti a Michael Matthews al fotofinish, al termine di una gara record , chiusa con un impressionante 46,112 km/h di velocità media? Terzo fu Tadej Pocagar, che ha nel mirino la Classica di Primavera da anni e che finora non l’ha mai vinta: il fenomeno sloveno sa che per entrare definitivamente nella leggenda deve arrivare in via Roma a braccia alzate. Pardon, aperte…

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