I leoni delle Fiandre: da Magni a Bettiol, le vittorie italiane alla Ronde

“Se morisse il re il giorno della Ronde non se ne accorgerebbe nessuno nelle Fiandre”. Parole di Lucien Buysse, vincitore del Tour del France del 1926 e pioniere del ciclismo belga, rilasciate al quotidiano Het Nieuwsblad nel 1955. Questo è il Giro delle Fiandre per un fiammingo, la Pasqua del ciclismo, che non a caso chiude la Settimana Santa preceduta dalla Gand-Wevelgem e dalla Dwoors Van Vlanderen. Fiumi di tifosi , fango, polvere, sudore, muri e pavé. Sono questi gli ingredienti di una corsa epica, giunta alla 109^ edizione, che ha visto nove vincitori italiani, usciti a braccia levate dal delirio sportivo del Koppenberg, dell’Oude Kwaremont e del Paterberg, alcuni tra i celebri muri che hanno segnato la storia di questo sport. Magni, l’autentico Leone delle Fiandre Il 18 aprile 1948 Fiorenzo Magni è alla partenza di una corsa di cui ha tanto sentito parlare, soprattutto nella settimana precedente. In Belgio per una serie di circuiti su pista, il terzo incomodo tra Bartali e Coppi si decide a salire fino a Gent da Bruxelles per provarci. Ad attenderlo c’era il pavé, le pietre, dove pedalare era quasi impossibile. Specialmente per gli italiani e per uno che veniva da una settimana nei velodromi. Quell’anno Magni si ritira, ma nel 1949 si ripresenta, questa volta preparato a dovere. Passista e discesista come se ne sono visti pochi nella storia, segue il consiglio del suo improvvisato meccanico fiammingo e si attacca alla ruota di Briek Schotte, un’autorità al Ronde come dimostrano i due successi con otto podi complessivi. Lo anticipa con uno scatto ai 200 metri dal traguardo. L’italiano ce l’ha fatta. Si ripete dodici mesi dopo, questa volta partendo dalla discesa dall’Edelareberg e dando la fucilata definitiva sul Grammont. Non contento Magni cala il tris, questa volta vincendo anche freddo, fango e pioggia , rifilando oltre cinque minuti al francese Bernard Gauthier e diventando il primo e unico corridore a vincere il Ronde per tre volte consecutive, unico e indiscutibile Leone delle Fiandre. Fenomeno Zandegù: batte Merckx e canta ‘O sole mio... Nel 1967 Eddy Merckx non era ancora ‘cannibale’, ma stava studiando per diventarlo. L’anno prima, all’esordio alla Ronde, si era ritirato dopo una rovinosa caduta. Tutto il Belgio era a ruota del suo ‘enfant prodige’ per spingerlo al successo. Tra di loro, con la maglia della Salvarani dell’indiscusso capitano Felice Gimondi, si era infiltrato anche Dino Zandegù, in missione per conto del suo direttore sportivo: marcare a uomo Merckx. Il belga prova in tutti i modi a scrollarsi questo italiano di dosso, ma non ci riesce. Freddo e nevischio scremano ulteriormente il gruppo, che perde alcuni dei grandi favoriti. Sul Grammont restano in tre: Zandegù, Merckx e Forè, ultimo tra i fuggitivi a resistere al forcing della coppia di inseguitori. A quel punto Dino ha il colpo di genio: prende in contropiede il ‘Cannibale’ e si invola verso il traguardo. Corre l’ultimo chilometro a tutta, in apnea. Rifilerà 20’’ a un imbufalito Merckx. “Vinco a braccio alzato, il destro, perché con il sinistro tengo il manubrio, ché non si sa mai", ricorderà anni dopo intervistato dalla ‘Gazzetta dello Sport’. E non è finita, perché durante la premiazione Zandegù improvvisa una versione di ‘’O sole mio’ che manda in visibilio i tanti emigranti italiani, in Belgio a spaccare le pietre in miniera. Sarà la prima di tante esibizioni canore... Argentin e Bugno, due frecce tricolori L’Italia attende ben 23 anni per avere un proprio rappresentante sul gradino più alto del podio alla Ronde. E’ il 1° aprile del 1990, ma non è uno scherzo. Sul traguardo di Meerbeke spunta la maglia tricolore di Moreno Argentin, uno che il Belgio lo conosce bene con le sue quattro affermazioni alla Liegi. L’azione decisiva parte da lontano, ai -50 km, sui muri di Grammont e Bosberg, quando il veneto e il belga Rudy Dhaenens fanno letteralmente il vuoto. Si arriva allo sprint, dove Argentin è nettamente più forte: fucilata ai 200 metri e arrivo a braccia alzate. C’era tanta Italia al via in quella edizione, con Fondriest , Ballerini e Gianni Bugno . Il monzese si rifarà quattro anni più tardi, nel giorno di Pasqua del 1994, in una corsa che non gli è mai piaciuta. I muri, il freddo, il pavé, non certo la superficie ideale da affrontare in bicicletta. Eppure quell’edizione, affrontata con un terribile nevischio in partenza, è un capolavoro di tattica e resistenza. La volata è tra le più drammatiche di sempre: Bugno è davanti, tanto sicuro di vincerla che alza il braccio al cielo. Dietro, però, quel marpione di Johan Museeuw tenta il colpo di reni e quasi vi riesce. Dopo minuti infiniti, il fotofinish certifica la vittoria di Bugno. Che anni dopo, intervistato da Pier Luigi Stagi per ‘Tuttobici’, ricorda così quei momenti: “Cosa mi è piaciuto di quel successo? Il momento, l’attimo in cui si taglia il traguardo. Un secondo dopo vorrei già scomparire, per non bearmi, per non mettermi in mostra, per non ostentare in pubblico”. Semplicemente Gianni. Bartoli, Bortolami e Tafi: i re del Nord L’Italia vive il suo periodo d’oro nelle classiche del Nord a cavallo tra gli anni Novanta e i primi Duemila. Interpreti straordinari, squadre votate alle corse in linea come la Mapei, un’istituzione in merito. Michele Bartoli domina il Fiandre del 1996 con un attacco poderoso sul Muro di Grammont, a una ventina di chilometri dal traguardo, confermando la superiorità sul Bosberg e arrivando a braccia levate sul traguardo di Meerbeke. Nel 2001 tocca invece a Gianluca Bortolami, che supera una partenza complicata da una caduta sotto la pioggia, quando rimane impigliato con le ruote della sua bici sui binari. Il lombardo non demorde, si infila nella fuga giusta e precede in un altro sprint drammatico, tra spinte sulle transenne e chiusure al limite del regolamento, Erik Dekker e Denis Zanette. L’Italia festeggia anche con Andrea Tafi, che a sorpresa si impone nel 2002 all’età di 36 anni, conquistando la terza monumento della carriera dopo Lombardia e Roubaix. In quella Mapei non è lui il capitano, ma l’azzurro resta sempre nel gruppo dei migliori, sul Taienberg e sul Kapelmuur fa la differenza e a quattro chilometri dal traguardo saluta i compagni di fuga per diventare l’unico italiano ad avere messo in bacheca sia la Ronde che la Roubaix. B come Belgio? No, come Ballan e Bettiol Non sentirsi bene e vincere la Ronde. Alessandro Ballan non avrebbe mai pensato di trovare una sorpresa così gradita dentro l’uovo di Pasqua del 2007. L’azzurro della Lampre era partito senza grandi aspettative, con una gamba poco performante. A un certo punto affianca il suo ‘angelo custode’, Fabio Baldato, gli comunica quasi la resa. Qui scatta qualcosa: la squadra si fa compatta intorno al suo capitano, non servono parole ma fatti. Ballan a questo punto decide di provarci, anche solo per ringraziarli. Sul Grammont chiede spazio a sua maestà Tom Boonen,che può solo prendergli il numero di targa. Ballan se ne va, fa il vuoto: una sparata simile la ripeterà dodici mesi più tardi e gli varrà la maglia arcobaleno. L’Italia resta a secco in terra fiamminga per dodici lunghi anni. A spezzare l’incantesimo è Alberto Bettiol, che nel 2019 attacca deciso al Vecchio Kwaremont, riprende i fuggitivi e si invola negli ultimi 20 chilometri in solitaria. Passato il Paterberg, il toscano resiste ai tentativi di rientro degli inseguitori: è la sua prima vittoria da professionista. Meglio di così, non poteva andare...

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