80 anni da 'Cannibale' della vittoria

Il Belgio non è un Paese grande, ma è di sicuro un grande Paese che ha dato alla storia personaggi del calibro di René Magritte, Georges Simenon, Maurice Maeterlinck, James Ensor. E che non ha fatto certo mancare il proprio significativo contributo neppure nello sport, regalandoci le imprese sublimi e leggendarie di uno dei più spettacolari campioni di ciclismo di tutti i tempi, probabilmente uno dei migliori ciclisti di sempre, sicuramente il più grande sportivo belga di ogni epoca: Edouard Louis Joseph Merckx, per tutti ‘Eddy’, rivelatosi al mondo l’11 maggio del 1965 al ‘Grote Prijs Stad Vilvoorde - Challenge Willy Decraen’, una corsa in linea che si disputa annualmente nelle Fiandre, dove - ancora 19enne e già campione iridato fra i dilettanti, prima di vedersi interrotta la carriera dal servizio militare - conquista il suo primo vero trionfo da professionista. Da lì in avanti Eddy non avrebbe mai più smesso di vincere. Figlio di una coppia di commercianti che gestiva un piccolo negozio di alimentari, frutta e verdura nel quartiere Woluwe-Saint Pierre di Bruxelles, ma nato il 17 giugno 1945 nella minuscola frazione del comune di Tielt-Winge, Meensel-Kiezegem, nella provincia belga del Brabante fiammingo, il giovane Eddy è del tutto diverso dai suoi due fratelli . È poco interessato allo studio e decisamente più attratto dalle biciclette. Già all’età di quattro anni i genitori gliene regalano una da strada, usata e oggettivamente grandicella per un bambino della sua età. Ma Eddy non si dà per vinto e ben presto impara a dominarla, un po’ come un cow boy doma uno stallone, prendendo a girarci in lungo e in largo la città. Senza per questo disdegnare altri sport, pur di stare lontano dalla scuola: il tennis, il calcio, il basket. Fino al giorno in cui riuscirà a convincere il padre a scommettere su quella che è la sua passione. A quattro anni Eddy ha il pallino per Stan Ockers, corridore belga ottimo su strada e decisamente capace anche come pistard, che era riuscito a vincere nel 1955 il mondiale a Frascati e poi anche la mitica Liegi-Bastogne-Liegi. Ma rimane choccato dalla sua morte violenta, avvenuta durante una gara su pista nello SportPalais di Anversa, quando cade fratturandosi il cranio e spira dopo due giorni di agonia. È il 29 settembre 1956. Quel giorno Eddy promette a se stesso che anche lui un giorno diventerà un corridore. Proprio come Ockers. Che non c’è più. E abbandonata la scuola inizia a inseguire il suo sogno e forse anche a elaborare il suo ‘mantra’ segreto, che rivelerà solo molti anni più tardi durante un’intervista. “Pedala quanto vuoi, quanto poco, quanto lungo o quanto corto ti senti. Ma pedala. La gara è vinta dal corridore che può soffrire di più”. E di pedalata in pedalata arriva così il giorno della sua prima vera gara ciclistica. Eddy ha sedici anni. È l’estate del 1961. Nel quartiere di Laeken, ex cittadina di Laken oramai incorporata da 40 anni dalla capitale Bruxelles, il 16 luglio il giovane Eddy si presenta alla sua prima punzonatura con i colori del club Evere Kerkhoek Sportif. Il debutto è incoraggiante, ma per ottenere la sua prima vittoria Eddy dovrà aspettare l’autunno, quando taglierà il traguardo davanti a tutti - il primo di ottobre - nella corsa di Petit-Enghien, nella provincia vallone dell’Hainaut, quando ancora la gara attraversava il piccolo villaggio di Marcq. L’anno successivo, il 1962, Eddy vince 23 corse, fra le quali quella che gli vale il titolo nazionale belga dei dilettanti. L’8 gennaio del 1963 ottiene la licenza di corridore dilettante, partecipa a 72 corse e conquista 28 successi fra strada e pista, incluso il titolo nazionale di americana per dilettanti, che bisserà nel 1964. Anno in cui di 72 gare se ne aggiudicherà 24, fra le quali la prova in linea dilettanti al mondiale su strada di Sallanches. Il 1964 è anche l’anno in cui il piccolo tifoso del povero Ockers, diventato oramai una realtà del ciclismo di grande tradizione belga, partecipa alla corsa olimpica su strada dei Giochi di Tokyo e - dopo avere tentato un attacco nelle fasi finali della gara - si piazza dodicesimo, ma già lascia ben chiaro intravedere ciò che diventerà nel prossimo futuro. Un futuro che inizierà nel 1965 fra i professionisti nella squadra Solo-Superia capitanata dal mitico Rik Van Looy, l’imperatore di Herentals’, vincitore in carriera delle cinque classiche Monumento e di due mondiali fra gli anni ’50 e ’60. È da qui che inizia la vita leggendaria di Eddy Merckx, che per tutti diventerà in pochi anni ‘il Cannibale’ per la sua capacità di dominare le corse lasciando solamente le briciole ai suoi avversari, vincendo tutto quello che c’era da vincere. È dopo il trionfo nel ‘GP Stad Vilvoorde’ che Eddy, con la sua magica penna a due ruote inizia a scrivere il suo straordinario romanzo. Un romanzo che porterà Eddy Merckx a dominare dalla strada al cross alla pista, vincendo ben quattro mondiali su strada e 525 corse in 1800 partecipazioni. Numeri da fantascienza che acquistano ancor più valore se gli si dà corpo riempiendoli di contenuti: 5 edizioni del Tour de France, 5 edizioni del Giro d’Italia, una Vuelta a España, 3 Parigi-Nizza, un Giro di Romandia, 4 Giri di Sardegna e ben 33 ‘classiche’ . Eddy Merckx è ad oggi uno dei soli sette corridori ad avere conquistato i tre grandi Giri e l’unico ad avere realizzato l’accoppiata Giro-Tour per tre volte. Solo un anno fa, Tadej Pogačar è riuscito a eguagliarne il tris Giro-Tour-Mondiale su strada. I suoi record sembrano immortali. Eddy Merckx ha indossato la maglia gialla per 111 volte e la maglia rosa per 77. Tra Giro e Tour ha vinto complessivamente 59 tappe. E ha vinto tutte e 5 le ‘classiche’ Monumento, come i due connazionali Roger De Vlaeminck e proprio quel Rik Van Looy che nel 1965 lo aveva accolto fra i professionisti, nella sua squadra, come chioccia. E che allòra sembrava così lontano e inimitabile. A tutto questo Eddy Merckx aggiunse per sette anni consecutivi il Super Prestige Pernod e un record sull’ora ottenuto con una bicicletta tradizionale ‘Colnago’, costruita appositamente per lui, con telaio arancione e rapporto 52x14, ‘leggera’ 5,750 kg, per un atleta devastante, che resistette per 28 anni agli assalti del tempo e degli sfidanti, dal 1972 al 2000: 49,431 km percorsi in 60’ al Velodromo ‘Augustin Melgar’ di Città del Messico, in un indimenticabile 25 ottobre. Alla fine di quella prestazione in molti sono certi che con una preparazione più mirata e un programma stagionale delle gare su strada meno esasperato, Merckx potrebbe già 53 anni fa aver superato i cinquanta chilometri in un’ora. Quando Eddy scende dalla bici però smorza ogni entusiasmo intorno a sé: “Non tenterò più il record dell’ora”. Fu quello l’ultimo record ‘umano’, ottenuto in condizioni pressoche ‘normali’. Quando nel gennaio 1984 Francesco Moser per due volte tenterà e batterà il record portandolo prima a 50,808 km, poi a 51,151 km, si aprirà l’era dei cardiofrequenzimetri, dei preparatori atletici, dei telai rivoluzionari, delle ruote lenticolari. Altro mondo, altri tempi. Campioni di generazioni diverse e di evoluzioni dello sport non comparabili. L’ultima corsa Eddy Merckx la corre nel 1977, al mondiale di San Cristòbal in Venezuela. Fra mille dubbi e troppe difficoltà. Eddy manca il piazzamento e comunica la volontà di ritirarsi dalle gare. Facciamo un inciso: quando nel 1998 uscirà in Italia il film ‘Radiofreccia’ diretto dal cantante Luciano Ligabue, al suo esordio nella regia, una delle frasi cult che rimarranno nella memoria degli spettatori sarà "da te stesso non scappi, neanche se sei Eddy Merckx". Così il personaggio interpretato da Stefano Accorsi sdoganerà per sempre la forza, la tenacia, la velocità del mitico ciclista belga. In quella frase c’è un po’ anche il senso del ritiro definitivo comunicato all’alba del 1978 da Eddy. Il campione oramai sente la fatica, a 32 anni ha capito di avere troppa difficoltà a recuperare fra una prestazione e l’altra. E poi ha voglia di stare più tempo con la moglie, Claudine Acou, e il figlio Axel, che ha quasi sei anni e farà il ciclista anche lui, facendo meglio del nonno Lucien Acou vincitore di due tappe al Tour, quando conquisterà un oro olimpico ad Atene nel 2004. Un piccolo eroe negli anni del doping selvaggio e di Lance Armstrong. Inutile dire che Merckx in Belgio venne a lungo considerato, ai suoi inizi, una sorta di eroe nazionale per essere stato nel 1968 il primo belga a vincere il Giro d'Italia, per i suoi team una gara più importante del Tour de France. Straordinario il successo al suo primo Tour nel 1969, quando vinse sei tappe, la classifica finale, la maglia di regolarità e la classifica di montagna e se fosse già esistita la maglia bianca di miglior giovane avrebbe vinto anche quella. Durante la salita del Tourmalet, nessuno fu in grado di stargli a ruota e si ritrovò a completare i restanti 140 km tutto solo, vincendo con otto minuti di vantaggio sui suoi inseguitori più vicini. Un uomo e un atleta d’altri tempi, Eddy Merckx seppe dimostrare il proprio stoicismo l’anno successivo nel corso di una bruttissima caduta durante una gara a Blois, continuando a vincere nonostante i fastidi ereditati dall’infortunio. Ma neppure a Merckx fu risparmiata la gogna mediatica e sportiva. Facciamo un altro salto negli archivi della sua vita. Nel 1969 Eddy cambia allenatore e sceglie il francese Fernand Wambst. In tutte le gare di inizio stagione il belga è un grande protagonista e arriva al Giro d’Italia in una condizione di forma smagliante. Ma prima della diciassettesima tappa - che il 2 giugno avrebbe portato la corsa da Celle Ligure a Pavia - gli viene comunicata l’esclusione dalla corsa perché positivo ai controlli antidoping svolti il giorno prima dai commissari dell’UCI. Eddy è in maglia rosa da cinque giorni, sta per partire per la sesta volta da leader del Giro, ha vinto quattro tappe e vola verso il successo finale. Ma arriva la mazzata: tracce di fencamfamina. Un prodotto con proprietà anoressizzanti e psicostimolanti. Un anfetaminico, insomma, che in commercio è acquistabile con i nomi di Ritolin, Euvitol oppure Reactivan. Una storia simile a tante altre storie già viste e ancora di là da venire. Il campione viene dunque allontanato dal Giro d’Italia. Per i belgi si tratta di un complotto contro il più forte. I quotidiani del suo Paese parlando di ‘colpo di teatro che decapita la corsa’ , ‘macchinazione ai danni di Merckx’ , ‘incredibile colpo di scena’ , ‘scandalo al Giro, chi ha drogato Merckx?’ , ‘una cabala mostruosa’ . In Italia la cosa ha una vasta eco: la carta stampata prende le difese di un campione che non ha bisogno di sotterfugi per vincere, la sanzione viene giudicata esagerata e assurda, la tappa incriminata viene vivisezionata e in quanto lineare e pianeggiante appare non giustificare le ricostruzioni dei commissari, la tv amplifica la notizia. Nel ‘Processo alla tappa’ di Sergio Zavoli, Eddy Merckx appare nella sua stanza d’albergo, in lacrime davanti al microfono della trasmissione, incapace di reagire. Ma sarà proprio da quella stanza numero 11 dell’Hotel Excelsior di Albisola Superiore che Eddy Merckx troverà la forza di reagire dopo un primo momento di comprensibile sconforto. È solo una questione di ore. Il belga ritrova la caparbietà delle grandi sfide e la forza d’animo che lo ha sempre contraddistinto… “quando la strada sale, non ti puoi nascondere”. E parte all’attacco, si alza sui pedali della propria coscienza e si difende con tutta la rabbia che ha in corpo, protesta la propria innocenza, accusa i commissari di avere svolto i controlli in maniera irregolare, chiede con forza di accertare che tanto le analisi che le controanalisi in effetti siano state effettuate senza che fosse presente un membro del suo team che avrebbe potuto garantire per lui. A favore di Merckx scende in campo anche lo storico direttore della corsa Vincenzo Torriani, Grande Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, chiedendo all’UCI di soprassedere. L’UCI però è irremovibile e Merckx deve tornare a casa. Lo fa a bordo di un Regio Aereo messogli a disposizione da Re Baldovino. Ma non è finita. La Faema, squadra di Eddy, decide di effettuare un controllo antidoping di parte, al quale il corridore risulta negativo. Cosa che induce l’allòra dirigente Vincenzo Giacotto - che aveva voluto in squadra sia Merckx che Patrick Sercu in coppia abilissimi ‘seigiornisti’ - a non prendere provvedimenti ‘dovuti’ nei confronti del suo atleta. Il Giro intanto proseguì e la maglia rosa passò ‘virtualmente’ sulle spalle di Felice Gimondi, il grande rivale-amico di Merckx, che rifiutò di indossarla e andò a vincerlo davanti a Claudio Michelotto e Italo Zilioli. Sin dal primo istante il campione di Sedrina aveva solidarizzato con Eddy Merckx. Anche a lui l’anno prima avevano riscontrato proprio della fencamfamina ma senza conseguenze. Eddy dirà molti anni dopo di essere stato incastrato, accusando un collega. Lo farà in una intervista rilasciata ad Aldo Cazzullo e Marco Bonarrigo per il ‘Corriere della Sera’, puntando il dito contro il tedesco Rudy Altig, scomparso nel 2016, che pare gli avesse offerto dei soldi per perdere quel Giro, ma non si sa per conto di chi. E al quale Eddy aveva risposto che ‘un Giro non si vende’. Cinquantacinque anni dopo, ormai, la verità si è perduta nelle nebbie del tempo. E forse non importa neanche più a lui andare fino in fondo. Ma Merckx - questo è certo - quel Giro avrebbe tanto voluto vincerlo. In ogni caso un’inchiesta supplementare richiesta da Adriano Rodoni , che addirittura chiamò in causa i Ministri degli Esteri di Italia e Belgio Pietro Nenni e Pierre Harmel, accertò la buona fede di Merckx e permise al belga di rientrare in tempo per il Tour de France. Quella vicenda lasciò comunque uno strascico al Giro e qualche tifoso italiano - anni dopo - aspettò di vedere Eddy in difficoltà per offenderlo. Nel 1974, sull’ultima salita delle Tre Cime di Lavaredo Giovanbattista Baronchelli stacca Merckx. I due stanno appassionando gli sportivi con un duello entusiasmante. In fuga c’è lo spagnolo José Manuel Fuente. ‘Tista’ Baronchelli ha la sua grande occasione di strappare la maglia rosa a Eddy e poi prepararsi a gestire le ultime tre fatiche del Giro controllando il belga. Quando Eddy passa il pubblico gli urla nelle orecchie “Merckx hai perso! Merckx sei finito!”. Ma Eddy non ci sta e trova ancora la forza di alzarsi sui pedali e stringere i denti producendosi in un recupero miracoloso di appena dodici secondi…, arrivando in cima alle spalle di Fuente e Baronchelli. “Dodici secondi… dodici… sono pochi, ma sufficienti”. E infatti bastarono a Merckx per tenersi stretto la maglia rosa e andare a vincere così l’ultimo dei suoi cinque giri d’Italia. In quegli anni il ciclismo italiano era fortissimo. Ma Merckx aveva una marcia in più e purtroppo sapeva come utilizzarla. Come detto, la sua ultima corsa Eddy Merckx la corre nel 1977, al mondiale di San Cristòbal in Venezuela. Anche se in realtà di addii ne celebra nel 1978 anche altri tre. Il 19 marzo, quando partecipa a Kemzeke, nel comune di Stekene, nelle Fiandre Orientali, al Circuito dei Paesi del Waas chiudendo dodicesimo. E poi il 18 maggio, indossando i colori del team C&A. Se vogliamo contestualizzare, è il momento storico in cui Bernard Hinault ha appena conquistato la Vuelta. Francesco Moser, quel pomeriggio stesso, al Giro, vince in Toscana una splendida cronometro e al Giro Felice Gimondi - con diligenza - è il regista nella Bianchi per aiutare Johann De Muynck. Il tempo è passato, il 10 febbraio è alle spalle e anche la sua ultima vittoria, nel Velodromo di Zurigo, in coppia con Patrick Sercu: un ‘Omnium’. Per chiudere il cerchio. Ma "da te stesso non scappi, neanche se sei Eddy Merckx"… anzi, soprattutto se sei Eddy Merckx. Papà Jules e mamma Maria Jenny Pittomvils invecchiano. Axel cresce, Sabrina è dietro l’angolo. A Eddy di lasciare il ciclismo e fare il pensionato non va proprio giù. Di stare in casa a lucidare le coppe e le medaglie non ha voglia. Ha vinto cinque Giri come Fausto Coppi, cinque Tour come Jacques Anquetil, tre mondiali come Alfredo Binda, una Milano-Sanremo in più di Costante Girardengo, questo rosario lo conosce a memoria ed è anche stufo di ripeterselo. La villetta alla periferia Nord di Bruxelles non è il massimo dell’allegria e i dolori sono presenti ogni giorno di più. Si mette a giocare con i dilettanti dell’Anderlecht e a ogni calcio che prende gli tornano in mente tutti i lividi di una vita: la caduta a quattro anni dalla primissima bicicletta, quando cadde in un fosso per inseguire una motocicletta; l’incidente di Blois, quando nella gara dietro motore successe un’ecatombe… “Era una gara di stayer dietro derny, un corridore dietro una moto in pista. Quella che precedeva il campione olimpico di Tokyo, il cecoslovacco Jiri Daler, sbandò e travolse me e il mio pilota e allenatore Fernand Wambst. Fernand morì sul colpo… io finii in ospedale con una commozione cerebrale grave e lo spostamento del bacino, che in salita da allòra mi ha reso meno forte di prima”; e poi quella caduta rovinosa sui Pirenei nel Tour del 1971, in una folle discesa con Luis Ocaña. Insomma, non si può andare avanti ad antidolorifici. Basta ciclismo attivo e calcio sì ma con molta moderazione. Ma si può vivere di bicicletta anche producendone. Ed ecco il primo colpo di genio di Eddy, diventare imprenditore di se stesso, creando delle biciclette da strada professionali ‘made in Belgium’ con il suo nome. E poi investire in nuove idee: direttore della squadra belga , direttore del Giro delle Fiandre e promoter del Giro del Qatar. Proprio del Giro del Qatar Eddy è diventato ‘comproprietario’ nel 2002 e lo è rimasto fino al 2016, anno della sua ultima edizione. Progetto poi accantonato alla vigilia dell’ingresso nel calendario dell’UCU World Tour per mancanza di sponsor. Ma Eddy non se ne dispiace più di tanto. Ha avuto modo di seguire la carriera di Axel e poi di diventare un nonno attento e premuroso una volta arrivato alla soglia dei settant’anni. E ora che ne festeggia ottanta sa che è il momento giusto per godersi il meritato riposo a Meise, dove vivono meno di ventimila anime ed è il cittadino più amato e più famoso. E dove aveva trovato il tempo anche di fondare una società ciclistica di successo. Nel 1996, il Re del Belgio lo ha nominato Barone, e nel 2005 è stato uno dei 111 candidati al titolo di Miglior belga della storia. Nel 2008 è diventato l'ambasciatore della nuova campagna del Fondo Damiano, un fondo librario pedagogico di oltre 5000 volumi. Citato nel film di culto "Stars and Watercarriers", primo documentario incentrato sul mondo del ciclismo, girato dal danese Jørgen Leth, diventato film di culto per i fans del ciclismo, riguardante l'edizione del Giro d'Italia 1973, nel 2009 ha scritto ‘Merckxissimo‘, un volume che contiene 25 testimonianze sulla sua carriera e le Poste del Belgio lo hanno omaggiato con una serie limitata di francobolli sulle sue imprese. Oggi, a ottant’anni non è più il ‘Cannibale’ e può confessare che quel soprannome gli venne affibbiato dalla figlia undicenne del compagno e rivale francese Christian Raymond, vincitore di una tappa al Tour del 1970. Una intuizione corretta, Eddy all’epoca non lasciava niente a nessuno. Non ha mai amato perdere. Forse è anche per questo che non ha mai tirato di boxe, nonostante qualcuno lo abbia creduto. In realtà ha indossato i guantoni solo una volta per andare a una festa di quartiere. E si era pure dipinto un occhio nero. Tifoso del Torino grazie o per colpa di Italo Zilioli e Vincenzino Scifo , Eddy Merckx in fondo deve tutto a una scommessa su se stesso. A quella prima gara vinta al Petit-Enghien, nella provincia vallone dell’Hainaut. Quel giorno la mamma gli disse che se fosse passato per primo sotto lo striscione del traguardo avrebbe potuto dedicarsi seriamente al ciclismo. Il tracciato di Halle, nelle Fiandre, castellanìa della contea di Hainaut, passa molto vicino alla Madonna Nera, la celebre Madonna di One-Lieve-Vrouwekerk, una scultura marmorea di Michelangelo, conservata nella chiesa di Nostra Signora a Bruges. Era il 1961, Eddy vinse e da allora non ha smesso più di farlo. Riscattando la vita difficile del padre, penultimo di undici fratelli cresciuto sotto l’invasione nazista, educato falegname e finito come commerciante per il quale Eddy faceva le consegne. Una vita dura sin da piccolo. Dura come il ciclismo. In fondo la bicicletta è sempre stata nel suo destino. Una vocazione e una sorte. Seduto adesso a godersi il presente accanto al suo prezioso baule di ricordi. Un atleta che nei suoi anni migliori, fra il 1969 e il 1975, è riuscito a conquistare il 45% delle corse alle quali ha partecipato. Nessuno mai come lui. Al quale è mancata solo una vittoria: la Parigi-Tours, antica semi-classica di fine stagione più adatta agli sprinter. Avrebbe potuto conquistarla nel 1968, ma decise di mettersi al servizio del suo fedele gregario Guido Reybrouck cedendogli la volata. Un gesto di grandissima generosità. Alla fine della carriera di Eddy Merckx, il fiammingo Noel Vantyghem, un carneade che vinse quella gara nel 1972, dichiarò alla stampa che “con Eddy formeremmo una coppia perfetta per dominare tutte le grandi classiche. Io ho vinto solo la Parigi-Tours, lui ha vinto tutto il resto…”

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