Il talento di Mr. Max: andare oltre i limiti delle proprie macchine

Spesso definiamo la Formula 1 come una perfetta sinergia tra uomo e macchina, il singolo e la squadra. Senza la monoposto migliore non si diventa campioni del mondo o quasi, lo dice l’albo d’oro. Non mancano comunque le eccezioni in cui l’imponderabile è successo. Negli anni ‘80 ad esempio, Piquet divenne campione 1981, realizzando tutti lui i punti, tranne uno, per la Brabham, terza forza del campionato alla fine. In Williams Reutemann e Jones si rubavano punti a vicenda e il rapporto era tutt’altro che idilliaco, ma ne riparliamo in fondo. Nel 1982, la vittoria finale di Rosberg arrivò per la tragedia di Zolder quando perse la vita Gilles Villeneuve e il drammatico incidente di Pironi in Germania, in una stagione in cui la Ferrari aveva la macchina nettamente più forte. Nel 1986 Prost vinse grazie alla guerra interna in Williams tra Piquet e Mansell. Lui con 4 vittorie contro le 9 dei suoi avversari. Il classico caso in cui tra i due litiganti il terzo gode. Venendo a noi, a tempi più vicini, Schumacher ci è andato vicino nel 1997 e nel 1998, Alonso nel 2010 e 2012, entrambi con Ferrari contro le macchine di Newey, da Williams a Red Bull, battendo poi le sue McLaren, negli anni 2000, nel caso di Schumacher. Non dimentichiamo che Verstappen è diventato campione del mondo con una squadra che nei costruttori è arrivata terza nel 2024 e seconda nel controverso 2021. Hamilton ha conquistato il mondiale nel 2008 con la Ferrari campione costruttori. In molti casi però c’è più equità di prestazioni, cioè il distacco tra le scuderie è minimo. Max Verstappen fa parte di quella schiera di piloti che hanno fatto capire di essere campioni pur guidando con una monoposto inferiore anche senza vincere il mondiale. Prima del poker di titoli vinti a cominciare dal 2021, ha infatti vissuto stagioni difficili. Dal 2016 al 2020, Max ha spesso guidato monoposto meno performanti rispetto alle Mercedes di Hamilton e Rosberg. Tuttavia, si è sempre fatto notare per la sua aggressività, il controllo totale della vettura e la capacità di estrarre il massimo da ogni situazione. Memorabile il suo GP del Brasile 2016, dove in condizioni di pioggia ha compiuto una serie di sorpassi mozzafiato che lo hanno già allora proiettato tra i grandi, grandi non perché campioni in quel momento, ma semplicemente perché grandi. Come Senna che ancor prima di diventare il simbolo della McLaren degli anni d’oro si fece notare alla guida della Lotus. La monoposto britannica, nonostante il suo blasone storico, non era all’altezza delle potenze dell’epoca come la Williams o la stessa McLaren. Eppure, Senna la portò alla vittoria in condizioni proibitive, come nel mitico GP del Portogallo 1985 sotto un diluvio universale. La sua capacità di guidare sull’acqua, già evidenziata nel ‘furto’ di Monaco 1984, con una sensibilità soprannaturale lo elevò a leggenda vivente già prima dei suoi tre titoli mondiali. O come Schumacher, Alonso e… Vettel con Ferrari. Schumacher, dopo i due titoli con la Benetton, accettò la sfida di riportare la Ferrari al vertice dopo anni bui. Il 1996 fu un anno difficile, con una monoposto fragile e poco competitiva. Eppure, al GP di Spagna, sotto una pioggia battente, il tedesco fece qualcosa di irreale: partito terzo, inflisse oltre un minuto al secondo classificato. Era la dimostrazione che il pilota poteva trascendere i limiti della macchina, tanto da giocarsi il campionato nei due anni successivi, nonostante l’imbarazzante superiorità della Williams. Alonso anche lui dopo i due titoli vinti con la Renault, ha vissuto stagioni da guerriero solitario. Indimenticabile il suo 2012 con la Ferrari: in quell’anno l’auto del Cavallino era obiettivamente inferiore alle Red Bull di Vettel e alla McLaren di Hamilton, eppure Alonso si giocò il titolo fino all’ultimo GP in Brasile. Ogni punto era una battaglia vinta con il coltello tra i denti, ogni sorpasso era un capolavoro di grinta e intelligenza tattica. Non vinse il mondiale, ma guadagnò - se ancora ce ne fosse bisogno - il rispetto eterno del paddock e degli appassionati. … Vettel, spesso criticato per aver dominato con la Red Bull in un’epoca di supremazia tecnica, ha mostrato il suo valore anche in condizioni più avverse. Basti pensare al 2015-2018 con la Ferrari, quando cercò di riportare il titolo a Maranello dopo più di un decennio. La SF70H e la SF71H erano buone macchine, ma non avevano la costanza e la raffinatezza aerodinamica delle Mercedes. Eppure, Seb riuscì a vincere gare memorabili e a tener viva la speranza iridata. Il suo evidente, improvviso, quanto imprevisto calo nel 2018 fece sì che le speranze si smorzarono per poi chiudere la carriera in Aston, ‘allontanato’ a suon di risultati dalla freschezza di Leclerc, altro pilota che ha fatto cose memorabili con dei ‘cancelli’, soprattutto in qualifica, ma lontano dalla possibilità di giocarsi il titolo in cui i più forti difficilmente fanno degli 0 in classifica di affidabilità. Oggi siamo qui a parlare delle magie di Verstappen, sembra però una scena mitica del film ‘Tre uomini e una gamba’. Partita Italia Marocco, “bello, bello, ma come abbiamo fatto a perdere 10 a 3?” Non ha certo ancora perso Max, ma a fronte dei suoi colpi da fenomeno, nel mondiale è terzo alle spalle di Piastri e Norris, staccato di 22 punti, per non parlare della Red Bull, terza con meno della metà dei punti della McLaren, fatti praticamente solo da Max. Sembra un film già visto con suo ‘suocero’ Nelson Piquet in quel 1981 travagliato dalle discussioni di regolamento, le mini gomme allora, le ali anteriori oggi, da Barcellona. La Williams era superiore, ma Reutemann fu boicottato per screzi interni con il pupillo Jones risalenti alla prima gara, quando l’argentino non volle cedere in Brasile la vittoria, come da ordini prestabiliti, la vittoria a Jones. All’ultima gara fu boicottato e Piquet riuscì così a conquistare il titolo per la prima volta. In McLaren c’è una gestione perfetta da ‘vogliamoci bene a tutti i costi’. Sembrano correre solo tra di loro, quasi non calcolando Max, non si prendono rischi se vedono che non possono batterlo. Il tempo ci dirà chi avrà ragione…

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Carlo Vanzini