Albert Camus, un portiere da Nobel: "Avrebbe amato Zoff"

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Albert Camus, a sinistra. A destra il libro di Emanuele Santi, "Il portiere e lo straniero"
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L'INTERVISTA. Emanuele Santi ha scavato nell'adolescenza del premio Nobel per la letteratura del '57: tra le strade di Algeri ha ricostruito l'adolescenza dello scrittore, portiere della juniores del RUA. Un'esperienza decisiva per la filosofia di Camus

di Luciano Cremona

Riuscite ad immaginarvi un premio Nobel per la letteratura con guanti da portiere, berretto, su un campo polveroso mentre si butta tra i piedi degli avversari per conquistare il pallone? Vi pare un'eresia? Beh, non lo è. Anzi. Proprio il suo essere portiere l'ha aiutato (ok, esageriamo) a vincere il Nobel. No,  non vi stiamo prendendo in giro. Albert Camus, scrittore, filosofo e drammaturgo francese, nato in Algeria nel 1913, a Mondovì, da giovane era il portiere della squadra juniores della sua università, il Racing Universitaire d'Alger. E proprio questa esperienza lo ha aiutato, per sua stessa ammissione, a costruire la sua identità e a trasferirla nei suoi scritti. Che gli sono valsi, nel 1957, il Premio Nobel per la letteratura "per la sua importante produzione letteraria, che con perspicace zelo, getta luce sui problemi della coscienza umana nel nostro tempo".

Dall'esperienza di Camus come portiere nelle giovanili è partita l'idea di Emanuele Santi, scrittore e lavoratore aeroportuale, classe '70, appassionato di calcio tanto quanto dello scrittore francese. Dal 2008 Santi tiene sulla rivista Left una rubrica, "Calcio mancino", in cui racconta storie di calcio: dal rigore di Panenka a Benito 'Veleno' Lorenzi e così via. Ci siamo capiti, insomma. Camus, la letteratura, il calcio, il ruolo di portiere, Algeri: è nato così, nel centenario della nascita dello scrittore, Il portiere e lo straniero (L'asino d'oro Edizioni, 138 p., 12 €), un chiaro riferimento al capolavoro dello scrittore francese, "Lo Straniero". E l'impresa, oltre che originale, è ardita e riuscita. Perché Santi, con questo libro, spiega che "Camus ha scritto Lo straniero in quel modo fantastico proprio perché, da ragazzo, ha giocato in porta".

Da Umberto Saba a Galeano, il portiere è da sempre il ruolo più letterario. Qui andiamo oltre: essere portiere ha aiutato Camus a scrivere in maniera fantastica?
"È così. Mi sono concentrato sull'adolescenza di Camus, sulla sua giovinezza vissuta per le strade di Algeri. Fare il portiere in quel momento storico della sua vita lo ha plasmato. Fin da ragazzo Albert ha difeso chi non aveva più difesa: lo ha fatto da portiere, fino a quando si è ammalato di tubercolosi. Poi ha proseguito scrivendo, sempre dalla parte degli indifesi. Fin dai primi reportage e poi per tutta la sua carriera. Estremo difensore".

La solitudine del portiere non ha età né categorie.
"Ed è stato così anche per Camus. Anzi in lui si sono fusi due aspetti: la solitudine del portiere, soprattutto quando va in trasferta e si mette alle spalle gli insulti dei tifosi avversari assiepati, e quella dello scrittore. Camus è cresciuto per le strade di Algeri, dove l’unico luogo in cui tutte le disuguaglianze venivano azzerate era il campo da calcio. E stando lì, ha capito la filosofia del gioco. E non solo. E la sua letteratura, le sue scelte politiche, hanno rispettato ciò".

Camus ha dichiarato: "Tutto ciò che ho appreso sulla morale e sugli uomini lo devo al calcio". Il calcio di oggi forse non avrebbe ispirato lo scrittore come invece ha fatto il suo Racing d’Alger.
"No, non gli sarebbe andato a genio. Il calcio di Camus è quello romantico, fatto di terra, polvere, quello delle strade di Algeri e del cortile del liceo. È quello che gli ha fatto scrivere Lo straniero come se l'opera fosse divisa in due tempi da 45 minuti e in cui sono tanti i riferimenti, più o meno velati, alle esperienze passate sul campo di pallone. Altri letterati hanno avuto il calcio, e in particolare il ruolo di portiere, come esperienza giovanile: Cesare Pavese e sir Arthur Conan Doyle".

Camus è cresciuto con il mito di Maurice Cottenet e di Ricardo Zamora. Quali potrebbero essere due portieri che lo avrebbero emozionato, che sarebbero rientrati nella sua visione di portiere-filosofo?
Il primo è Sepp Maier, il portiere delle tre Coppe dei Campioni col Bayern e dell'accoppiata Europeo-Mondiale con la Germania. Imbattibile, leggendario, beffato solo da quel rigore a cucchiaio di Panenka nel 1976. L'altro è Dino Zoff: a Camus sarebbe piaciuto sicuramente".

Una volta trasferitosi a Parigi, Camus si appassionò a un altro Racing, quello de France. Al giorno d’oggi quindi difficilmente tiferebbe per il Psg…
"Arrivò a Parigi e tifò subito per il Racing de France, dove giocavano i suoi amici, i fratelli Couard. Qualche anno dopo si lasciò andare ad una battuta: "Il calcio del Racing è scientifico: perdono scientificamente tutte le partite". Insomma, anche nel tifo Camus ha scelto, e al giorno d'oggi sceglierebbe, la squadra più indifesa. Albert ha rifiutato le ideologie, avrebbe rifiutato anche questo calcio. Si sarebbe ritrovato, di nuovo, solo: come quando era portiere, come quando scriveva. Come Meursault, il protagonista de Lo straniero, che affronta la ghigliottina come un portiere che attende tra i pali un pallone imparabile".