Da aeroporto di guerra a pista: la "mia Silverstone" per i 75 anni della Moto GP

Il Motomondiale riprende da dove è nato nel 1949, cioè la bellezza di 75 anni fa. No, non ha emesso il primo brontolio proprio a Silverstone, dove si tornerà a correre dopo la gara del Sachsenring e la sosta estiva, ma in Inghilterra sì. Era il 13 giugno del ’49 e un coraggioso che si chiamava Harold Daniell con una Norton vinse il primo GP in 500 della storia disputatosi sul Mountain Circuit dell’Isola di Man, una gara che aveva la lunghezza di 400 e più km e 59 partenti. Un’altra epoca, un altro mondo, altre moto, altri piloti, ma la stessa passione e la prima pagina di una storia che si dipana ancora oggi. Giusto che i 75 anni del Motomondiale, che allora si chiamava “Continental Circus” e si disputava su soli 6 Gran Premi - TT/Inghilterra, Berna/Svizzera, Assen/Olanda, Spa-Francorchamps/Belgio, Belfast/Ulster, Monza/Italia - si festeggino a Silverstone, un tracciato bello, storico, famoso, adeguato. Sì, io lo trovo adeguato non soltanto per la bellezza e il fascino, ma anche perché si tratta di un ex aeroporto militare costruito dalla RAF nel 1943, dal quale durante la seconda guerra mondiale partivano gli aerei da guerra. All’inizio il circuito era fatto dalle 3 piste di decollo/atterraggio disposte come i lati di un triangolo raccordate da 3 curve disegnate con balle di paglia. In ogni caso bellissimo che si sia trasformato un luogo costruito per fare la guerra in un posto dove si disputano adrenaliniche, ma pacifiche, gare di auto e moto, cioè gli unici duelli, lotte, battaglie che sarebbe bello esistessero, soprattutto oggi che il mondo è ancora insanguinato in molti luoghi. Insomma bello che anche nei motori lo sport sia ambasciatore di pace. E poi a Silverstone, nome di un villaggio lì vicino, si disputò nel 1950, un anno dopo le moto, il primo GP della storia del Mondiale di Formula 1. Le moto, invece arrivarono nell’ex aeroporto nel 1977, dopo che i grandi corsero per l’ultima volta in Tourist Trophy nel 1972, boicottandolo quasi tutti per la sua pericolosità dal ’73. Ci sta insomma che Dorna abbia deciso di sfruttare questa tappa per festeggiare la ricorrenza. Ci sarà una mostra di moto storiche, personaggi, ricorrenze e le squadre di MotoGP presenteranno delle livree ispirate al passato. Bene, bello e mi piacerebbe esserci perché sarebbe un modo per rivedere molte persone, piloti, tecnici, meccanici che hanno condiviso anni, se non decenni con me nel motomondiale. Anche oggi è così, nell’ambiente del paddock, quel villaggio composto da migliaia di persone e decine di professioni diverse che gira l’Europa e il mondo, non è difficile fare amicizia, comunque avere rapporti cordiali, rilassati, amichevoli con quasi tutti. Nei vecchi tempi, però, era ancora più facile. A Silverstone sono stato la prima volta nel 1979, un anno particolare perché in quella gara esordì l’inimmaginabile e fantascientifica Honda NR500. Era una moto che aveva 4 cilindri e pistoni ovali, 8 valvole, doppie bielle, due candele, due carburatori, due scarichi per cilindro. Telaio monoscocca , radiatori a sfioramento e il rosso del fuorigiri che iniziava a 20.000… Honda aveva fatto le cose in grande e affittato un hangar per gestire i continui cambi di motore, i numerosissimi tecnici presenti per cercare di rendere reale il sogno di battere i 2 tempi che già da qualche anno vincevano e dominavano, con un motore a 4 tempi. E con una tecnologia sia nella creatività, sia nell’uso dei materiali, davvero spaziale. Non sortì mai gli esiti sperati, nonostante sviluppi e investimenti fino ai primi anni ‘80, ma aver assistito dal vivo a quell’esordio nelle mani di Takazumi Katayama e Mick Grant resta uno dei miei ricordi preferiti. A fine anno collaborai alla stesura di un libro che come titolo aveva “20.000 giri” e in copertina la foto di quel mitico contagiri. Quella volta poi ci fu anche una delle più belle gare dell’epoca con un lungo, emozionante, indimenticabile duello tra Kenny Roberts campione della 500 con la Yamaha nel ’78-79 e Barry Sheene con la Suzuki che aveva vinto i titoli nel ‘76 e ’77, cioè prima del regno dell’americano, pure questo un segno dei tempi che stavano cambiando, di un motociclismo sempre più mondiale e meno europeo. Personaggi assoluti, fantastici, soprattutto l’inglese che era una specie di rock-star gentile, divertente che parlava 7 lingue. Una volta da Silverstone, dove si è corso fino al 1986 per poi andare a Donington Park, sono tornato - erano i primi anni ’80 - in camion ospitato da Peppino Pattoni, geniale, appassionatissimo costruttore artigianale milanese. Allora potevi dormire in tenda dentro al paddock, fare il giornalista ma farti dare un passaggio per andare e tornare. Il bello, al di là del viaggio con personaggi così iconici, è stato che il Pep si doveva fermare a Snetterton, uno dei tanti Club Circuit inglesi, immersi nel verde per far provare la sua 500 2T a 4 cilindri al giornalista Alan Cachcart. Siamo arrivati verso mezzanotte e davanti al cancello chiuso, abbiamo suonato. Al che si sono accese un po’ di luci ed è apparso nientepopodimeno di Alex George, un vecchio pilota britannico che viveva lì, dentro al circuito, e che possedeva un’officina per la manutenzione e la messa a punto delle moto di molti appassionati. Ad accoglierci anche il dobermann di Alex, lo stesso che nel ’79, ad Hockenheim, aveva mangiato le bistecche che avevo lasciato fuori dalla tenda per il giorno dopo. Allora sì, potevi portare i cani nel paddock. Lewis Hamilton lo fa anche oggi, ma nelle moto mai più visti. Ah, Pattoni è quello che per definire la differenza tra le moto a 4 tempi di qualche anno prima e quelle a 2 tempi che avevano preso il sopravvento diceva che quando gli davi gas ora facevano “Pepìn Pepìn Pepìn…” e invece prima “Patùn Patùn Patùn…”. Peppino Pattoni in un ricordo…

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